Capitolo X

 

L’offensiva ghibellina

 

Bonifacio VIII cercò, nell'ultimo anno della sua vita, di regolare stabilmente i rapporti fra i provinciali e la curia del rettore, riorganizzando l’amministrazione della Marca: provvide a tale scopo ad emanare una costituzione il 6 settembre 1303, la Coelestis patris familias[1], in cui erano presenti varie norme favorevoli alle comunità locali e riguardanti molteplici campi: libertà dei commerci[2]; tutela riguardo ai salari degli ufficiali della Curia[3]; garanzie personali dei citati in giudizio nelle cause civili o criminali[4]; sindacato dei pubblici ufficiali[5]; contributo dei comuni per la milizia provinciale e per la difesa del territorio[6]; onestà e regime delle composizioni[7]; lealtà nelle denunce penali[8]; tutela della giurisdizione comunale (prevenzione e potestà di cattura; beneficio di liberazione per parziale pagamento)[9]; diritto di difesa per i banditi[10]; responsabilità collettiva dei Comuni[11]; osservanza delle costituzioni e revisione degli statuti[12].

La costituzione pontificia fu accolta con favore dalle comunità della Marca, che apprezzarono il tentativo di ampliare le libertà e i diritti di cui godevano e la protezione che offriva contro l'ingiustificato arricchimento di rettori e altri funzionari ecclesiastici. Tuttavia il successore di Bonifacio VIII, papa Benedetto XI, il 14 gennaio 1304 la sospese, "sotto il pretesto che le disposizioni ivi emanate non erano state approvate dal Collegio dei Cardinali", ma in realtà per conservare i iura ecclesiae contro i Comuni[13].

Le città (in primis quelle ghibelline) non stettero però con le mani in mano e, creata una lega, detta "degli Amici della Marca" (Liga terrarum amicorum de Marchia), a cui aderirono cinquantadue comuni, manifestarono tutto il loro malcontento per l'abolizione della costituzione di papa Bonifacio. Nell'aprile 1305 fu offerto l'incarico di capitani dell'esercito della lega ai conti Speranza e Federico da Montefeltro[14], che subito utilizzarono le truppe a loro affidate contro i Malatesta che avevano occupato Fano[15]: la situazione era critica per la Curia che doveva fronteggiare quella che poteva trasformarsi da un momento all'altro in aperta ribellione.

 

La legazione di Guglielmo di Mende e Piliforte di Lombez (1305-1306)

Nel giugno 1305 venne eletto il nuovo papa, Clemente V, che subito si preoccupò di normalizzare la situazione della Marca: vennero pertanto qui inviati due legati, Guglielmo Durante vescovo di Mende (Gabalitanus) e Piliforte di Ravesteyn, abate di Lombez (Lunberiensis), che convocarono a Montolmo (oggi Corridonia) il 15 gennaio 1306 un parlamento, a cui partecipano tutti i comuni della Marca e che si concluse con il ripristino della bolla di Bonifacio VIII[16].

Ci è pervenuta la relazione che i due legati inviarono, alla fine del 1305, a papa Clemente V intorno alla loro azione nella Marca: "Quinquagintadue comunancie provincie Marchie posuerunt se in rebellione curie Marchionis tempore domini Benedicti pape XI, quia suspendit quoddam privilegium concessum eis a domino Bonifacio papa. - Esse elessero un capitano e si posero reciprocamente la taglia di 500 cavalieri e 20000 fanti. Dopo lunghe trattative essi giurarono di obbedire agli ordini dei Legati, che da parte loro rinnovarono quel privilegio. - Dictum autem privilegium fuit concessum propter reprimendas extorciones et opreciones officialium curie"[17].

La pace non era stata però dovunque assicurata, se, nella stessa relazione, si sottolineava l'impossibilità di pacificare i comuni della Marca settentrionale: "Nella Marca Anconitana ci sono fazioni espulse dalle città di Iesi, Fano, Pesaro, Senigallia, castello di Serra dei Conti e città di Urbino, nelle quali ci era stato dato pieno potere di tentare una pacificazione dal conte di Montefeltro e dai signori Malatesta; non abbiamo potuto però realizzare questo a causa della brevità del tempo, per cui crediamo che sia di nuovo ripresa la guerra tra quelle comunità dopo che siamo usciti dalla Marca"[18].

 

La Curia contro i Malatesta.

La Lega non venne però sciolta e anzi, negli anni successivi, venne utilizzata dai legati per piegare i grandi capi guelfi (cioè i Malatesta), che a parole erano favorevoli alla Chiesa ma che in pratica facevano (né più né meno dei loro avversari) i loro personali interessi[19].

I Malatesta in particolare avevano da poco eliminato a Rimini i concorrenti Parcitadi ed avevano esteso il loro dominio sulla vicina città marchigiana di Pesaro, dove aveva ricoperto la podesteria ininterrottamente Giovanni, detto Gianciotto, dal 1295 al 1304, anno nel quale morì. Subito i parenti di Rimini (Pandolfo fratello di Gianciotto e Ferrantino loro nipote) occuparono la città, di cui fu fatto signore Pandolfo[20]. Da Pesaro quindi, approfittando del vuoto di potere successivo alla scomparsa di Benedetto XI[21], occuparono anche le tre città di Fano, Senigallia e Fossombrone[22] e cercarono di impossessarsi anche di Jesi[23]. Ciò non poteva naturalmente essere tollerato dalla Curia: Giraldo de Tastis, vicario del rettore  Bertrando de Got (nominato il 10 marzo 1306 e nipote di papa Clemente V), allestì, anche con l'aiuto dei ghibellini marchigiani, un esercito contro tali città. Contemporaneamente all'inizio delle ostilità divamparono in esse lotte di fazione e scoppirarono moti popolari: in breve tempo i Malatesta furono costretti ad abbandonarle e a ritirarsi a Rimini[24].

 

Gli ultimi anni del pontificato di Clemente V

Le forze "guelfe" delle varie città del nord della Marca continuarono comunque a far riferimento ai Malatesta anche negli anni successivi. Anche a livello nazionale era difficile distinguere chiaramente i due schieramenti: la guelfa Firenze si opponeva al legato pontificio Napoleone Orsini; Arrigo VII di Lussemburgo scendeva in quegli anni in Italia prima con l'appoggio poi con l'opposizione del papato.

La situazione era particolarmente tesa a Fano, dove emerse in questo periodo tra i capi della fazione ghibellina, che si appoggiava ai Montefeltro di Urbino, Alberto della Tomba, che si impadronì per breve tempo della città e ne fu cacciato dal Rettore della Marca il 13 novembre 1311. Egli si rifugiò nei suoi castelli del contado aspettando la rivincita. Nel 1313, alla morte del rettore Vitale, Pandolfo Malatesta cercò di rioccupare Fano: il 14 febbraio vi entrò proditoriamente, uccise alcuni consiglieri comunali, spinse alla fuga i magistrati. Il Malatesta venne però poco dopo (12 aprile) costretto ad abbandonare Fano da una sollevazione popolare guidata da Alberto de' Petrucci della Tomba[25]. A sua volta costui, che aveva preso in mano il governo cittadino e lo esercitava tirannicamente esiliando i guelfi, fu cacciato dal rettore pontificio della Marca, che il 17 ottobre entrava a Fano, mentre Alberto si rifugiava nei suoi castelli del contado fanese[26]. Negli anni successivi, parte del contado rimase in mano ai ghibellini Aufreduccio di Alberto e Francesco di Ubertinello de' Petrucci della Tomba, collegati a Federico da Montefeltro[27].

La situazione fanese doveva trovare analogie in quella delle altre città della Marca settentrionale, dilaniate dalle lotte di fazione; in esse il conflitto si presentava ormai come endemico e il controllo del contado saltuario. Il tentativo papale di porsi sopra i partiti e opporsi a coloro che minacciavano la pace, di qualunque fazione fossero, dimostrava i suoi limiti e la situazione della Marca era prossima all'ingovernabilità.

 

Verso lo scontro

Morto nel 1314 Clemente V, il conclave per l'elezione del successore durò più di due anni e si concluse solo il 7 agosto 1316 con l'elezione di Giacomo di Cahors, che prese il nome di Giovanni XXII. Il 1 agosto fu nominato rettore della Marca Amelio di Lautrec, abate di San Saturnino di Tolosa e vescovo di Castres[28]. La situazione si era ulteriormente aggravata, nel periodo di interregno e le prime mosse del nuovo papa in campo religioso la resero addirittura esplosiva[29].

Federico da Montefeltro, prima che il vicario pontificio potesse esercitare il suo potere nella Marca, recuperò nel marzo 1317, con le truppe ghibelline degli Amici della Marca, Urbino ed espugnò Monte Cavallino, occupato dai Malatesta. S'impadronì quindi della città di Cagli, riconsegnata poi nello stesso anno ai funzionari ecclesiastici[30]. A Fano, per paura di occupazioni feltresche, furono richiamati Pietro e Giacomo da Carignano che, sebbene ghibellini, erano contrari ai Feltreschi e nemici di Aufreduccio dei Petrucci della Tomba, fautore di Federico da Montefeltro[31].

All'inizio di agosto 1318 la situazione sembrava sbloccata: fu stipulato quindi a Cagli un accorto tra il conte Speranza (che sottoscriveva anche per i figli, il cugino Federico e i figli di lui) e il rettore Amelio di Lautrec, in base al quale i Montefeltro promettevano di restituire i castelli di Primicilio e Pietralata alla Chiesa, di non recar molestia ai vicari designati dal Papa, di restituire gli ostaggi ottenuti da Cagli, di riammettere gli esuli ad Urbino, di non imporre tasse senza la debita approvazione[32]. Ma, non sappiamo per quali motivi, nel settembre la situazione precipitò: il Rettore promosse la formazione di una lega guelfa a cui aderirono le città di Camerino, San Severino e Matelica; i Malatesta rientravano inoltre a Pesaro[33]. Per risposta Urbino, Cagli, Fano e altre città delle Marche centrali e meridionali (Jesi, Fabriano, Osimo, Recanati) passarono definitivamente in mano ai ghibellini[34].

 

Giovanni XXII e la crociata contro i Ghibellini marchigiani

La parola stava ormai passando alle armi, ma prima piovvero sui ribelli le sanzioni del Rettore e la bolla pontificia del 25 agosto 1319, con la quale si intimò, dopo aver passato in rassegna le offese e gli eccessi dei ribelli[35], di desistere dalla criminale condotta, pena "scomunica e interdetto se entro trenta giorni non avessero restituito Urbino e suoi castelli e non si fossero presentati alla Curia; privazione di ogni privilegio e immunità - passati altri trenta giorni -, proscioglimento per vassalli e sudditi dal giuramento di fedeltà, confisca dei feudi...; dopo ulteriori trenta giorni di contumacia, boicottaggio commerciale, dichiarazione d'infamia con ripercussione su figli e nipoti fino alla quarta generazione, boicottaggio giuridico-morale con l'annullamento di ogni patto e la comminazione degli stessi anatemi per chiunque avesse ostato accostare i rei; dopo altri trenta giorni, deposizione da ogni carica e dignità con sentenza d'inabilità per il futuro, e autorizzazione per chiunque d'impadronirsi dei loro beni e delle loro persone[36]".

I Ghibellini però non ubbidirono agli ordini del papa, misero a soqquadro la Marca e l'Umbria ed occuparono Assisi (19 settembre 1318) e Spoleto (30 novembre 1318). Avrebbero anche, in questo lasso di tempo o nel periodo immediatamente precedente o successivo, catturato un funzionario della Curia Generale della Marca, tal Bonagrazia da Parma, insieme con il di lui figlio Gerardo, che furono per spregio orrendamente sfigurati e rimandati a colui che li aveva mandati[37].

La rivolta non cessò di svilupparsi nel 1320, anno in cui si istruirono i processi contro i Montefeltro e la città di Fano (in cui i ghibellini locali avevano introdotto gli Urbinati)[38], e, anche se è solo l'indicativo l'elenco delle città in rivolta[39] (dato che all'interno di ogni città si combattevano furiosamente le due fazioni guelfa e ghibellina e il potere poteva passare dall'una all'altra in breve periodo, mentre gli sconfitti si ritiravano nel contado preparando la rivincita), possiamo notare che aderirono alla sollevazione anche i vescovi di Pesaro, Cagli e Fossombrone: le imposizioni delle decime scontentava un po' tutti, compresi i massimi vertici del mondo ecclesiastico cittadino, spesso grandi proprietari terrieri di nobile origine[40].

Malgrado i successi dei Ghibellini, tuttavia nel corso del 1321 la situazione divenne progressivamente più favorevole per la Curia, le cui risorse finanziarie e militari erano illimitate: nell'estate l'esercito ecclesiastico, guidati da Pandolfo Malatesta, attaccava Urbino, facendo perno sui castelli di Montefabbri e Cavallino[41].

Nel frattempo, intorno alla metà di ottobre, era terminato il processo contro Federico da Montefeltro[42]: l'8 dicembre 1321  pertanto Giovanni XXII ordinò ai Legati di Romagna, Marca e Ducato di Spoleto di bandire una crociata contro il conte di Montefeltro, i suoi alleati e aderenti (città di Spoleto, Urbino, Osimo e Recanati), riconosciuti colpevoli di eresia e idolatria[43]. Nel bando della crociata si prevedeva, per quanti avessero preso la croce contro gli eretici, l'indulgenza che la Chiesa concedeva a coloro che andavano a combattere contro gli infedeli in Terra Santa[44].

 

La sconfitta dei Ghibellini

Nella prima parte del 1322 Fano abbandonò la lotta: dopo che i Feltreschi, uniti alle genti di Giacomo da Carignano, ebbero occupato la città, disordini nella stessa permisero a Cesanello del Cassero, sostenitore di Ferrantino, di occuparla; il potere passò poi presto nelle mani di Pandolfo Malatesta[45]. Qualche tempo dopo, nel 1324, Pandolfo era ricompensato dal papa con il possesso di alcuni castelli del Fanese[46].

Anche la situazione di Urbino, stretta da presso dalle milizie ecclesiastiche, all'inizio del 1322, era critica e l'arrivo del conte Federico (impegnato nel periodo precedente in Umbria) non riuscì a risollevarla. Anzi, nell'aprile, il popolo di Urbino (o una parte di esso)[47] si sollevò e nella rivolta furono uccisi lo stesso Federico e il figlio maggiore Guido, che ricopriva la carica di podestà[48]. La città cadde nelle mani dei Guelfi mentre i restanti figli di Federico e il conte Speranza si rifugiavano presso amici fedeli (Tarlati di Arezzo, Brancaleoni di Rocca Leonella, S. Marino)[49].

Nel maggio la ribellione era apparentemente soffocata anche  nella Marca meridionale: le truppe di Amelio di Lautrec entrarono, il 3 di quel mese, in Osimo, il 15 in Recanati.

 

Dopo la sconfitta

La partita sembrava chiusa a favore della Curia. In realtà un clima di stanchezza albergava in campo guelfo e si notavano, subito dopo la vittoria, segni di scontentezza. Nel dicembre del 1323 Amelio di Lautrec convocò i provinciali in parlamento a Macerata per chiedere uomini e denaro contro le comunità ancora in armi: si rifiutarono di mandare cavalli e soldati trenta tra città e terre della Marca (tra cui, nella nostra provincia), Fossombrone e Montesecco[50].

Anche la situazione dei ghibellini era meno catastrofica di quel che poteva sembrare: in Lombardia i Visconti tenevano testa alle forze inviate contro di loro dal Papa. Tra Marche, Umbria e Toscana un'altra area ghibellina si stava rafforzando grazie a Guido Tarlati, vescovo di Arezzo dal 1312, signore della stessa città dal 1321 e di Città di Castello dal 10 ottobre 1323 (scomunicato da Giovanni XXII nel 1324): gli Aretini avevano, in questi anni, a compensare il crollo delle fortune feltresche, occupato territori oltre l'Appennino, fino a Casteldelci, Mercatello e Cagli[51].

Grazie agli aiuti di costoro e dei ghibellini marchigiani, i Montefeltro attaccarono Urbino: in un primo momento la città resistette[52], poi, nell'estate 1324 i conti Speranza e Nolfo riuscirono ad occuparla[53]. Nello stesso periodo terminava ingloriosamente anche la crociata voluta da Giovanni XXII contro i Visconti di Milano.

Negli anni successivi proseguì la lotta tra le forze ghibelline marchigiane e quelle guelfe-ecclesiastiche, che non riuscirono a contenere l'offensiva sferrata dalle prime con l'aiuto di milizie aretine: il 9 agosto 1324 i conti Speranza e Nolfo di Montefeltro, insieme a truppe aretine, assalirono gli accampamenti ecclesiastici presso Monte Cavallino e Monte Fabbri, dove, sotto la guida di Ferrantino Malatesta, si erano radunati Riminesi, estrinseci urbinati e guelfi di Marche e Romagna. Ferrantino fece in tempo a fuggire ma il resto dell'esercito fu sconfitto tra il 9 e l'11 agosto: si contarono un centinaio di morti tra le truppe guelfe e più di seicento prigionieri, molti dei quali, coinvolti nella morte di Federico da Montefeltro, furono subito uccisi[54].

Gli anni successivi videro altri successi ghibellini: la battaglia di Osimo, nel maggio 1325; l'occupazione di Rocca Contrada, nel gennaio 1326. Alla fine del 1326 Perugia, la principale città guelfa in Italia centrale, firmava la pace con i Tarlati di Arezzo e  riconosceva le conquiste dei ghibellini nella regione marchigiana[55].

 

Nascita del Vicariato di Mondavio (1327)

Nell'aprile 1326 moriva Pandolfo Malatesta e gli subentrava nella signoria di Rimini Ferrantino, suo nipote[56]. Ne approfittarono i ghibellini fanesi che, guidati da Giacomo da Carignano, occuparono Fano, costringendo gli aderenti dei Malatesta, Guido di Carignano (fratello di Giacomo) e Ubertinello de' Petrucci della Tomba, a rifugiarsi nei castelli del contado[57]. La città fu poi, nel 1327, rioccupata da Guido da Carignano e da Galeotto di Pandolfo Malatesta[58]. Nel frattempo però il papa, accogliendo la richiesta dei castelli ribelli, aveva privato Fano della giurisdizione su diciotto castelli del contado, che, pertanto, da questo momento, pur prevalentemente in mano malatestiane (che controlleranno, salvo brevi periodi, anche le vicine città di Pesaro, Fano e Fossombrone, formarono entità amministrativa autonoma da quella fanese con il nome di "Vicariato di Mondavio" (o, anche, più brevemente, "Vicariato")[59].

 

Il rovesciamento delle alleanze successivo alla spedizione di Ludovico il Bavaro.

Nel gennaio 1327 Ludovico il Bavaro, l'imperatore che Giovanni XXII aveva già scomunicato l'11 luglio 1324, scese in Italia per assumere la corona del regno d'Italia e quella imperiale, galvanizzando, con la sua presenza, le forze ghibelline: nel corso del 1325 le forze guelfe di Firenze e Bologna furono sconfitte dai ghibellini (Azzone Visconti e Castruccio Castracani) rispettivamente ad Altopascio (23 settembre) e Zappolino (15 novembre). Nel gennaio 1327 Ludovico era a Trento, il 17 maggio a Milano, dove il 31 ebbe la corona di re d'Italia (31 maggio). A Roma, dove Ludovico entrò il 7 gennaio 1328, fu incoronato, il 17 febbraio, imperatore da due vescovi scismatici e da Sciarra Colonna a nome del popolo romano.

Da questo momento iniziò però la parabola discendente di Ludovico e si accentuarono i contrasti nello schieramento ghibellino. Il Bavaro, ritiratosi verso nord, abbandonerà definitivamente l'Italia nel dicembre 1330[60].

La scomparsa del Bavaro lasciò campo libero in Italia ad un avventuriero, il re di Boemia Giovanni di Lussemburgo. Sceso in Italia sul finire del 1330, dichiarò di venire a nome dell'Imperatore, del Papa e del Re di Francia con il compito di assicurare la pace. Molte città lombarde, sia guelfe sia ghibelline, sconvolte dalle lotte civili, gli fecero atto di omaggio e di dedizione e si appoggiò a lui, rappresentante imperiale, anche il Legato papale per l'Italia centrale, Bertrando del Poggetto, che cercava di restaurare l'autorità ecclesiastica nello Stato della Chiesa.

Contro di loro si formò una lega guelfo-ghibellina (lega di Castelbaldo, 8 ottobre 1331) comprendente Scaligeri di Verona, Visconti di Milano, Angioni di Napoli e Repubblica di Firenze, che suscitò lo sconcerto e lo stupore dei contemporanei, ma che segnava definitivamente la fine della netta contrapposizione guelfi - ghibellini: già da tempo  questi due termini si erano svuotati di ogni contenuto ideale e rappresentavano solo comode etichette per indicare schieramenti contrapposti aventi interessi locali da raggiungere o difendere.

Le forze del Legato e del re di Boemia furono presto superate da quelle della Lega: Giovanni fu il primo a disimpegnarsi e a ritornare Oltralpe; il cardinal Bertrando fu invece sconfitto il 14 aprile 1333 a Ferrara e ciò provocò l'insurrezione della Romagna: il 28 marzo 1334 il Legato veniva cacciato anche da Bologna[61].

 

Il rovesciamento delle alleanze nella nostra provincia

Le vicende nazionali scompaginarono gli schieramenti anche nella nostra provincia. Nella zona montana si schierarono su fronti contrapposti le tradizionali forze ghibelline, da una parte i Tarlati (che avevano occupato territori al di qua della catena appenninica fino a Cagli, S. Agata, Mercatello, zone in cui avevano interessi anche le famiglie di tradizione ghibellina dell'area, che quindi non vedevano di buon occhio l'estendersi dell'area di influenza aretina), dall'altra i Montefeltro, i Brancaleoni, Sgaraglino da Pietracuta e Nerio della Faggiola: i primi erano collegati alla lega di Castelbaldo; i secondi fedeli a re Giovanni e quindi, paradossalmente, al Legato pontificio[62].

Lungo la costa si contrapponevano al Legato (e alle forze "lealiste", in primis quelle "ghibelline" che facevano capo ai Montefeltro) i Malatesta di Rimini[63]. Tra 1331 e 1332 Bertrando costrinse Ferrantino a consegnare la città di Rimini e il contado ai rappresentanti papali, ma ciò non fu accettato da suo figlio Malatestino che, fino al maggio 1332, guidò la resistenza agli eserciti ecclesiastici nella Marca e nel contado di Rimini[64]. La città fu poi rioccupata dai Malatesta di entrambi i rami (Ferrantino, Malatesta e Galeotto), ora tutti su posizioni antilegatizie, il 22 settembre 1333[65].

 

Alti e bassi dei Malatesta

Le operazioni belliche interessarono, dal 1334, varie zone della provincia  e vedono due teatri principali di guerra: la zona costiera, in mano ai Malatesta, e quella montana, controllata almeno in parte dagli Aretini.

Nel 1334 le genti del Rettore della Marca occuparono Fossombrone[66], città assegnata ai Malatesta nel 1332, quando il ramo di Pesaro militava nello schieramento ecclesiastico. Da questa città, le milizie fossombronesi ed ecclesiastiche assalirono il 3 marzo 1334 il castello di Cuccurano, posto presso la via Flaminia, dove però furono affrontate dalle forze fanesi guidate da Guido da Carignano (aderente al partito malatestiano che allora controllava la città di Fano) e pesantemente sconfitte[67].

Fu la volta quindi dei Malatesta (Galeotto, Malatesta e Ferrantino), uniti a Giacomo da Carignano, che assalirono, il 21 dello stesso mese, Fossombrone, occupandone la parte bassa e avendo, a patti, la rocca[68].

A questo punto però emersero i contrasti in seno alla famiglia Malatesta, che solo l'azione contro il Legato di Romagna e contro le forze ecclesiastiche delle Marche avevano posto in secondo piano. Il 3 giugno 1334, mentre Ferrantino si trovava presso Paderno, a monte di Sarsina, con l'esercito, Malatesta e Galeotto fecero entrare a Rimini uomini armati provenienti da Ravenna che presero il controllo della città e imprigionarono i figli di Ferrantino (Ferrantino, Malatestino e Guido)[69]; Galeotto e Malatesta furono nominati capitani, difensori e signori della città.

Ferrantino naturalmente non accettò il fatto compiuto e, occupati vari luoghi del Riminese e, insieme ai Montefeltro, iniziò una guerra che avrebbe insanguinato i possessi malatestiani per dieci anni[70].

La situazione riminese ebbe ripercussioni anche nel Fanese (il Pesarese già da tempo era nelle mani di Galeotto e Malatesta), dove operava Giacomo da Carignano, collegato a Galeotto e Malatesta. Una parte del contado però, in mano ai Petrucci della Tomba (antimalatestiani), sfuggiva completamente al loro controllo e anche nella stessa famiglia dei Da Carignano alcuni esponenti, come Teresino, che resse la città nel 1337-1338, si opponevano ad una troppo stretta dipendenza dai signori di Rimini. Nel 1338 comunque, allontanati i Da Carignano dal governo della città, Galeotto Malatesta vi impose la sua signoria[71].

Il principale fatto d'arme avvenuto nel contado fanese fu la battaglia, avvenuta il 12 marzo 1335 presso la Tomba, in cui Galasso da Montefeltro, Ferrantino Malatesta e Antoniuccio della Tomba sconfissero Guido da Carignano e Malatesta da Rimini: per quanto rovinosa, questa sconfitta non modificò comunque la situazione fanese (la città ai Malatesta e ai suoi aderenti, alcuni castelli agli estrinseci)[72].

Anche tra i Montefeltro, anch'essi rappresentati da due rami facenti capo al conte Speranza (fratello del defunto conte Federico) e a Nolfo e ai suoi fratelli (figli del conte Federico), esplosero i contrasti. Nolfo infatti fu informato da Ferrantino Malatesta che il conte Speranza stava organizzando una congiura con l'appoggio di Aretini e Riminesi con l'intenzione di impossessarsi del potere. Prevenne quindi lo zio e, nell'agosto 1334, dopo una violenta zuffa, riuscì ad espellere da Urbino Speranza con figli e nipoti[73].

 

La guerra contro i Tarlati

Nel frattempo infuriava la guerra anche nella parte montana della provincia, dove i Montefeltro e altri signori feudali si scontravano con i Tarlati che, come detto, controllavano ampie zone al di qua degli Appennini, compresa la città di Cagli.

La guerra aperta era iniziata nel 1332, quando Ribaldo di Gattara e Neri della Faggiola avevano spogliato dei beni Paoluccio della Faggiola (fratello di Neri ma imparentato con i Tarlati) e compiuto incursioni contro i possedimenti aretini nel Montefeltro[74]. Nel dicembre 1334 i Tarlati riuscivano a conquistare, dopo  più di cinque mesi di assedio, Casteldelci, possesso di Neri della Faggiola[75]; nell'aprile 1335 però Neri della Faggiola, i Montefeltro, Ferrantino Malatesta e i Perugini riuscirono a strappare ai Tarlati l'importante città di Borgo San Sepolcro, uno dei cardini della loro signoria[76].

L'offensiva dei coalizzati non si fermò e per tutto il 1335 i Tarlati dovettero registrare continui insuccessi: nel dicembre essi persero anche il castello di Sant'Agata (Feltria), occupato da Uguccione, figlio di Neri della Faggiola (nello scontro perse la vita anche Galassino Tarlati)[77]. Fu quindi la volta di Casteldelci e Mercatello, recuperate nel gennaio 1337 da Neri della Faggiola[78]: ormai il dominio dei Tarlati si stava sgretolando[79] e pertanto in quell'anno furono costretti ad abbandonare Cagli (che entrò nell'area di interesse di Perugia) e a sottomettersi a Firenze, nel marzo 1337[80].

 

La guerra contro i Malatesta

Fu più duro lo scontro, per le forze ecclesiastiche e "lealiste", con i Malatesta di Rimini e si concluse sostanzialmente con un insuccesso.

Il 4 dicembre 1334 era morto papa Giovanni XXII ed era stato eletto, il 20 dello stesso mese, Benedetto XII, che, con l'intenzione di porre un po' d'ordine nelle province dello Stato della Chiesa, si schierò in primo luogo contro i Malatesta, da qualche anno alla testa della rivolta contro i funzionari pontifici nella Romagna e nella Marca. Vennero pertanto dapprima rivolti loro aspri rimproveri per aver occupato le città della Marca e essersi opposti agli ufficiali della Chiesa[81]; poi furon intentati i processi e ci si appoggiò decisamente a quelle forze, come i Montefeltro, che si opponevano alla famiglia riminese[82]. Nel frattempo continuava la guerra interna alla famiglia Malatesta tra Ferrantino (collegato ai Montefeltro) da una parte e Galasso e Malatesta dall’altra.

L'8 giugno 1337 fu firmata, con la mediazione di Ostasio da Polenta e Mercenario da Monteverde, una tregua che sarebbe dovuta durare per ben dieci anni[83], e che, come era prevedibile, fu subito infranta: nel 1338 sono ricordati scontri tra Pesaresi e Urbinati; nel 1338 i Montefeltro riuscirono a conquistare la città di S. Leo, che da più di trent'anni era tenuta, per il vescovo di S. Leo (signore della città, ma residente, da questo periodo, a Talamello[84]), da una famiglia "guelfa" del luogo, i signori della Petrella (presumibilmente schierati con le forze riminesi-aretine)[85]; nel 1340 i Malatesta tentarono di rimettere in Urbino il conte Speranza e gli altri esuli, ma il tentativo non ebbe successo[86].

Nel 1341, in connessione alla nascita della lega contro Firenze promossa dall'Arcivescovo Giovanni Visconti di Milano (che poi ottenne scarsissimi risultati) una pace placò per qualche tempo il contrasto tra Malatesta e Montefeltro[87].

 

La pace

Finalmente si giunse alla pace: i Malatesta si sottomisero al legato pontificio, che li assolveva dalle censure in cui erano incorse, e pagarono tremila fiorini per la ribellione di quegli anni; si riconoscevano sudditi di papa Clemente VI (subentrato nel 1342 a Benedetto XII) e conservavano tutti i territori venuti nelle loro mani negli anni precedenti[88]. Poco prima un accordo tra Galeotto e Malatesta da una parte e Ferrantino dall'altra, nel maggio dello stesso anno, poneva fine alla guerra civile in seno alla famiglia[89].

In questi anni la famiglia riminese riesce anche a reprimere l'ennesima insurrezione a Fano, Tra ottobre 1342 e gennaio 1343 il territorio riminese fu percorso da mercenari della compagnia di ventura del Duca Gualtieri, assoldati da una lega a cui partecipara anche Francesco Ordelaffi, capitano di Cesena e Forlì: Teresino da Carignano e il rettore della Marca approfittarono delle difficoltà malatestiane per far ribellare la città metaurense (controllata da Malatesta, signore di Rimini). Subito venne da Pesaro, con un migliaio di cavalieri, Pandolfo, figlio di Malatesta, e occupò la rocca della città, aspettando quindi gli aiuti da parte del padre. Ben presto i Malatesta eliminarono anche le sacche di resistenza dai ribelli mantenute intorno ai castelli di Carignano, Bargni e Serrungarina: tutto il contado fanese era ora nelle sue mani[90].

Da ricordare infine che, la signoria della varie città fu spartita nel 1343 tra i diversi rappresentanti del ramo riuscito vincitore nelle recenti guerre sostenute: Malatesta ebbe Rimini e Fossombrone; Galeotto Fano; Pandolfo (figlio di Malatesta) Pesaro[91].



[1]La costituzione Coelestis patris familias di Bonifacio VIII del 6 settembre 1303 è stata pubblicata integralmente in A. THEINER, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Roma 1862, vol. I, n. 571, p. 391. Vds. anche U. ALOISI, Sulla formazione storica del Liber Constitutionum Sancte Matris Ecclesie (1357), in "Atti e Memorie di Storia patria per le Marche", n.s., vol II (1905), pp. 369-421.

[2]Aloisi, Sulla formazione, pp. 373-377. Veniva accordato il permesso di "trasportare, vendere, comperare vettovaglie, tanto dentro la Marca che fuori, senza speciale permesso del Rettore o dei suoi officiali, purché ciò non avvenga con persona o con luoghi ribelli... Il pontefice raccomanda ancora che i pubblici ufficiali comperino a giusto prezzo le vettovaglie a loro necessarie".

[3]Aloisi, Sulla formazione, pp. 377-378: "... il Pontefice vuole che i provinciali non siano vessati dagli immoderata et inusitata salaria di questi pubblici ufficiali e che tutta questa delicata materia sia sottratta interamente all'arbitrio del Rettore e dei suoi giudici, tanto che passa a disciplinare i salari del notaio del Rettore e di quello del Tesoriere, ai quali nelle costituzioni della provincia, che ricorda e implicitamente approva, non era stato provveduto".

[4]Aloisi, Sulla formazione, pp. 278-800. "Bonifacio VIII dispose quindi che tali persone non potessero essere detenute, quando vogliono prestare cauzione, nei casi in cui, per la qualità del delitto o della causa, questa sia richiesta; quando poi, non potendo prestare idonea cauzione sia necessario metterle sotto sicura custodia, fissa per la loro spesa quotidiana la somma di due soldi di moneta usuale, senz'altro aggravio né per l'ingresso né per l'uscita dal carcere"

[5]Aloisi, Sulla formazione, pp. 380-381. Il Pontefice, per combattere gli abusi dei funzionari della Curia, dispone che "... tutti i giudici e notari, terminando il loro officio, per solito annuale, debbano presentarsi innanzi al Rettore e far residenza per dieci giorni in Curia per le eventuali discolpe".

[6]Aloisi, Sulla formazione, pp. 382-383."I Comuni occupati nelle faccende interne in generale si rifiutavano di muovere in armi contro un altro Comune o di mandare le proprie milizie in servizio della Curia a difesa di luoghi forti distanti dal loro territorio e preferivano il più delle volte di farsi condannare a forti somme di denaro, fiduciosi che l'assoluzione e una vantaggiosa composizione non avrebbero tardato a sollevarli... Bonifacio disciplina la facoltà concessa ai Comuni di riscattarsi, mediante una proporzionale somma di denaro, dall'obbligo di convocare l'esercito a richiesta del Rettore, disponendo che tal somma di denaro debba esigersi solo pro rata temporis in cui l'esercito fosse in armi e debba essere restituita per mancata adunanza".

[7]Aloisi, Sulla formazione, pp. 383-384. Prevedeva anche il divieto di costringere le parti alla composizioni dei loro contrasti

[8]Aloisi, Sulla formazione, pp. 384-385. Veniva proibito al rettore di ricevere "denunce occulte o da chi fosse privo di interesse"; se la denuncia cadeva "per difetto di prova, il denunciante doveva essere condannato alle spese e alle altre pene enunciate dal diritto"

[9]Aloisi, Sulla formazione, pp. 385-389. Erano frequenti i litigi su giurisdizione tra i magistrati comunali e i superiori. "In quella molteplicità di giurisdizioni... vigeva la regola della prevenzione. Bonifacio stabilisce che in materia penale e per quei reati, che ai magistrati municipali erano riservati jure vel consuetudine, questi potessero con prevalenza procedere, se avessero prevenuto la Curia del Rettore anche di un giorno o di un'ora"; erano presenti anche altre norme favorevoli ai Comuni.

[10]Aloisi, Sulla formazione, pp. 390-400.  Bonifacio dispone che siano ammessi i procuratori e i difensori legittimi di coloro che erano stati colpiti della pena del bando.

[11]Aloisi, Sulla formazione, pp. 401-406. "Bonifacio riconosce giusto quanto dal Rettore era stato stabilito contro coloro che avessero osato ostacolare gli appelli o in altro modo agito in pregiudizio e in offesa della giurisdizione del Rettore, dei Giudici, degli altri officiali e della Sede apostolica, ma determina che della colpa del podestà o di altri reggiori di terre non si renda responsabile l'intero Comune, a meno che da parte di esso non sia intevenuto consenso o conferma". Viene quindi rifiutato il principio della responsabilità collettiva.

[12]Aloisi, Sulla formazione, pp. 411-414. Prevedeva, tra altre norme, la limitazione delle pene spirituali (scomunica, interdetto), comminate spesso dai rettori provinciali alle città ribelli.

[13]Aloisi, Sulla formazione, p. 414.

[14]Leonhard, Ancona, p. 157; G. FRANCESCHINI, I Montefeltro, Varese 1970, pp. 184-185.

[15]Federico e Speranza da Montefeltro, con le truppe della Lega,  nel 1305 attaccarono anche il contado di Fano occupando vari castelli, tra cui Serrungarina e Monte Campanaro, sperando di impadronirsi della città con l'aiuto degli intrinseci. In A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Novilara, castello del contado di Pesaro, Pesaro 1777, p. 27 è ricordato l'appello del comune di Matelica, del 9 dicembre 1305, che era stato multato per aver aiutato i due capi ghibellini e in particolare per cepisse, derobasse, et detinere Castra Serre Longarine, et Montis Campanarii, et alia Castra districtus dicte Civitatis (sc. Fano). Nel ricorso si affermava che si era limitato a porgere aiuto ad alcuni nobili, contro i tiranni, cioè i Malatesta, che opprimevano Fano (G. FRANCESCHINI, Del conte Speranza di Montefeltro e della sua discendenza, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie VII - volume VI (1951), pp. 61-77, a pag. 63).

[16]Carile, Pesaro, p. 40; Leonhard, Ancona, p.167.

[17]G. LUZZATTO, Notizie di storia marchigiana nelle ricerche del Davidsohn per la storia di Firenze, in "Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti", anno II (1902), pp. 309-311. Si tratta della Relatio brevis episcopi Mimatensis et abbatis Lomberiensis citata anche, e riportata ampiamente, da U. ALOISI, Sulla formazione storica del Liber Constitutionum Sancte Matris Ecclesie (1357), in "Atti e Memorie di Storia patria per le Marche", nuova serie, vol. II (Ancona 1905), pp. 369-421, alle pagine 416-418.

[18]Luzzatto, Notizie, p. 310: In Marchia Anconitana sunt partes expulse a civitatibus Esii, Fani, Pensauri, Senegallie, Castri Serre comitis et a civitate Urbini, a quibus omnibus et a comite Montisfeltri et a dominis de Malatesta erat nobis data plena potestas pacificandi eosdem, set non potuimus perficiere propter temporis brevitatem, unde guerram postquam exivimus de Marchia inceptam esse credidimus inter eos.

[19]A. POLVERARI, Senigallia nella storia, Senigallia 1979-1981, vol II, p. 153; Pari, Malatesta da Verucchio, p. 249.

[20]S. PARI, La signoria di Malatesta da Verucchio, Rimini 1998, p. 246. Questo è il testo dello storico pesarese cinquecentesco Diplovatazio (riportato da A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Gradara, terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775, p. 69 e A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, Venezia 1989, pp. 3-54, a pag. 40): Hoc anno 1304, Sede Vacante per mortem Benedicti XI, dominus Pandulfus filius Domini Malatestae de Veruculo Arim. Dioc., Dominus Ferrantinus nepos d. Domini Malatestae, filius Domini Malatestini de Malatesti de Arimino cum favore multorum Civium Pisaurensium, cum multitudinem complicium, fautorum et amicorum occupaverunt Civitatem Pisauri, quae zelo Sanctae Matris Ecclesiae permanebat, et fit Dominus Pandulfus de voluntate Domini Malatestae sui Patris Dominus Pisauris.

[21]Benedetto XI muore il 7 luglio 1304; il successore, Clemente V, il primo dei papi avignonesi, sarebbe stato eletto, a causa della discordia del collegio dei cardinali, il 5 giugno 1305 (e consacrato il 14 novembre 1305).

[22]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 246, seguendo il Diplovatazio. L'occupazione avvenne destruendo palatia, domus, turres, vinea, arbores et maxime Pisauri, ipsasque civitates et cives earum sub iugo iniquo eorum dominio nitebantur.  In tale anno è generalmente datato l'uccisione, avvenuta a tradimento, di Guido del Cassero e Angiolello da Carignano, i "due maggior di Fano" ricordati da Dante, sul mare di Cattolica presso Fiorenzuola di Focara ad opera di sicari di Malatestino Malatesta (DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia - Inferno, c. XXVIII, vv. 76-90).

[23]Pari, Malatesta da Verucchio, p. 248: "Una volta impossessatisi di Fano, Senigallia e Fossombrone, approfittando del vuoto di potere creatosi anche a causa della lunga vacanza della sede apostolica dopo la morte di Benedetto XI, pare che i Malatesti si spingessero fino a Jesi: non occuparono la città, come dice il Diplovatazio, ma documenti confermano la presenza di una congiura a Jesi per consegnare la città a Ferrantino Malatesta".

[24]Il Diplovatazio, riportato da Olivieri, Gradara, p. 70, sottolinea l'intervento dell'esercito del Rettore della Marca: Hoc anno (1306) Dominus Bernardus Rector Generalis praedictus tamquam pastor iustitiae congregavit exercitum contra Dominos Malatestas occupatores et detentores Pisauri et aliarum Civitatem videlicet Senogalliae, Fani, Porisempronii... et eos de Civitate Pisauri et aliis Civitatibus et tota Provincia Marchiae expulit. Secondo gli Annales Caesenates (ANONIMO, Annales Caesenates, in "Rerum Italicarum Scriptores", vol. XIV, Milano 1729, coll. 1085-1186), col. 1127 d-e la sollevazione popolare avvenne in giugno a Fano e in agosto a Pesaro: De expulsione Pandulphi de Marchia. Millesimo CCCVI die sabbati mensis julii in hora nonae, seu in transitu ipsius horae populus Fani armata manu expulit de ipsa civitate Pandulphum de Malatestis eorum potestatem, qui sociatus erat quingentis militibus, et CCC peditibus, eique C equos armigeros accepit. Item die mercurii indictione III augusti proxime subsequentis, quasi hora nonae ipsum Pandolphum popolus civitatis Pisauri expulit de dicta civitate cum gente sua, quasi eodem modo, qui erat etiam ipsus civitatis potestas, et tunc amisit etiam Sinigalliam

[25]P.M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, vol. I, p. 244.

[26]Amiani, Memorie istoriche I, p. 245; Olivieri, Novilara, pp. 28-29.

[27]Amiani, Memorie istoriche, I, p. 246.

[28]ALOISI U., Sulla formazione storica del Liber Constitutionum Sancte Matris Ecclesie (1357), in "Atti e Memorie di storia patria per le Marche", n.s., vol IV, Ancona 1907, pp. 129-167, a pag. 132; Franceschini, Montefeltro, pp. 193-194. Amelio di Lautrec avrebbe conservato tale incarico per largo tratto del pontificato di Giovanni XXII.

[29]Nell'ottobre 1317 e nel gennaio 1318 furono emanate le bolle che condannavano i "fraticelli". Tutto l'ordine francescano era in subbuglio. Nella Marca il Francescanesimo aveva profonde radici.

[30]Franceschini, Montefeltro, p. 194;  Amiani, Memorie istoriche, I, p. 247. G. FRANCESCHINI, Documenti e regesti per servire alla storia dello Stato d'Urbino e dei conti di Montefeltro, vol. I (1202-1375), Urbino 1982, n. 10, p. 112 (lettera del 26 novembre 1317 di Giovanni XXII a Federico da Montefeltro in cui lo ringrazia di aver restituito Cagli e lo esorta di fare altrettanto con Urbino).

[31]Amiani, Memorie istoriche, I, p. 247.

[32]Franceschini, Montefeltro, pp. 194-195.

[33]Diplovatazio, in Olivieri, Gradara, p. 70: Hoc anno 1318 Dominus Pandulfus et Dominus Ferrantinus iterum et de novo cum consilio et favore complicium et amicorum coeperunt Civitatem Pisauri, et fiunt Domini majoris partis Marchiae Anconitanae; et ita hoc anno Civitas Pisauri in manus Domini Pandulfi devenit. Ma vds. l'osservazione dell'Olivieri alla stessa pagina: "Se pure non accadde ciò più tardi, veggendo io nell'Archivio di S. Domenico che il dì Ultimo di Aprile del 1319 era podestà di Pesaro non Pandolfo o alcun altro dei Malatesti, ma Niccolò da Trevigi".

[34]Franceschini, Montefeltro, pp. 196: "Amelio di Lautrec, che profittando dell'assenza del conte Federico era andato a Urbino per tentare di sollevare la città, a stento si salvò dall'indignazione popolare. Un suo fratello fu in quegli stessi giorni trucidato a Recanati". Alla presa di Cagli parteciparono Federico da Montefeltro col figlio Guido, Scavolino di Cecco di Pietracuta, Puccio di Bellabranca dei Brancaleoni della Rocca, i Brancaleoni di Castel Pecorari e altri: vds. A. TARDUCCI, Piobbico e i Brancaleoni, Cagli 1897, pp. 64-66.

[35]Ricavabili dalla lettera inviata dal papa ai Montefeltro e agli Urbinati il 24 agosto 1319 e riportata in Franceschini, Montefeltro, p. 201:  si accusavano Urbinati e Montefeltro di aver messo al bando e spogliato i fedeli della Chiesa; Federico da Montefeltro di aver assunto la guida di Osimani, Recanatesi e estrinseci di Jesi nella campagna contro il castello di Apiro, di aver proibito ad un certo Marchese, baiuolo del rettore Amelio di Lautrec, l'entrata in Urbino e di aver impedito a quest'ultimo di esercitare la sua giurisdizione nella città; Guido di Montefeltro di aver assalito il castello di San Donato, posto nel contado di Urbino.

[36]Franceschini, Documenti, nr. 104, pp. 113-119; A. GATTUCCI, Giovanni XXII e il ghibellinismo italiano: il processo per eresia ed idolatria, e l'assassinio di Federico di Montefeltro (1322), in  AAVV," Studi storici in onore di Raffaele Molinelli", Urbino 1998,  pp. 143-180), a pag. 154.

[37]Franceschini, Montefeltro, pp. 201-202;  Gattucci, Giovanni XXII, p. 155.

[38]Il 1 ottobre 1320 si promulgavano i processi istruiti sia contro il conte Federico sia contro la città di Fano (venivano citati il podestà di Fano, Brancaleone da Cignano, Bolognino del Cassero, Upizzino da Serrungarina e il Consiglio tutto di Fano per aver introdotto nella città Federico da Montefeltro e suo figlio Guido, sottraendo la città all'obbedienza della Chiesa (Franceschini, Montefeltro, pp. 203 e 211).

[39]Franceschini, Montefeltro, p. 206: "Della coalizione ghibellina capitanata dal conte Federico facevano parte Urbino, Cagli, Fano, Jesi, Fabriano, Osimo, Recanati, Fermo, Assisi e Spoleto". Essa era sostenuta dall'esterno dal vescovo Guido Tarlati, signore di Arezzo, San Sepolcro, Città di Castello e di una cinquantina di castelli di maggiore o minore importanza. Naturalmente Pandolfo Malatesta era schierato con gli ecclesiastici e militava al servizio del Rettore della Marca (vds. L. TONINI, Storia di Rimini, appendice di documenti al volume IV, Rimini 1880, n. XVII, pp. 48-49: Frammento di un trattato tra Pandolfo Malatesta e il Rettore della Marca - 24 febbraio 1321).

[40]G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. I, Fossombrone 1903, vol. II, pp. 213 e 290; Franceschini, Documenti, n. 120, pp. 134-136: lettera del 25 gennaio 1322 di Giovanni XXII al Rettore della Marca perché affidi a persone fidate l'amministrazione della Chiesa di Fano, di quella di Cagli e dell'Abbazia di S. Paterniano, dato che i prelati in questione erano accusati di aver parteggiato per Federico da Montefeltro ed i suoi seguaci.

[41]Franceschini, Montefeltro, pp. 211-212; G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, p. 88. Vds. Franceschini, Documenti, n. 114, p. 131: il 22 novembre 1321 Giovanni XXII scrisse a Branca Brancaleoni encomiandolo per aver preso le armi contro Federico da Montefeltro e incitandolo a prostrare la superbia dei ribelli.

[42]Il processo era stato pieno di  irregolarità ed abusi, opportunamente messi in luce da Franceschini e Gattucci. Fu annullato dalla stessa Curia qualche anno dopo. Gattucci, Giovanni XXII, p. 163: "Federico da Montefeltro non era uno stinco di santo: era tuttavia un nemico politico e non un pervertito nella fede".

[43]Franceschini, Montefeltro, pp. 202, 213, 277; Gattucci, Giovanni XXII, p. 164; Franceschini,  Documenti, p. 273, nota 124

[44]Franceschini, Montefeltro, p. 213; Gattucci, Giovanni XXII, p. 164. I Ghibellini della Marca non furono gli unici ad essere considerati eretici dalla Santa Sede e ad essere oggetto di provvedimenti tanto gravi quali una crociata (si tendeva ormai in Curia a considerare i nemici politici nemici religiose e ad applicare a quelli gli stessi metodi usati del debellare questi: in quello stesso tempo (16 dicembre 1321) il papa aveva infatti iniziato un processo, sempre per eresia, contro i Visconti, potenti signori ghibellini di Milano, conclusosi (14 marzo 1322) con la condanna e la proclamazione, anche in questo caso, di una crociata (2 febbraio 1323). Questa però, a differenza di quella marchigiana, che qualche successo, come vedremo, ottenne, si concluse con una bruciante disfatta dell'esercito ecclesiastico (Vaprio, febbraio 1324): vds. F. COGNASSO, I Visconti, Varese 1966,  pp. 134-148.

[45]Su tali avvenimenti Amiani, Memorie istoriche, I, pp. 250-3 (che li attribuisce al 1321): Cesanello, presa la città, non volle però consegnarla a Ferrantino. Costui quindi, per l'autorità che aveva dal papa, lo dichiarò ribelle alla Chiesa e, posto l'assedio alla città, lo catturò e lo fece decapitare nella pubblica piazza. Vds. anche Anonimo, Annales Caesenates, coll. 1085-1086: De morte Cesenelli, et proditione Fani. Sub dicto millesimo (CCCXXI)  die ... (tra il 2 e il 22)  dicti mensis  (aprile) accepta fuit civitas Fani per Populum dicta civitatis proditionaliter et ceperunt Cesenellum, qui eam regebat, ipsumque dederunt in manus Pandulphi de Malatestis, et etiam civitatem tradiderunt sibi, qui Pandulphus ipsum Cesenellum fecit decapitari. Gli avvenimenti predetti non avvennero però nel 1321 ma nel 1322: vds. Franceschini, Documenti n. 120, pp. 134-136 (Il 25 gennaio 1322 Giovanni XXII scrive al Rettore della Marca perché, privati del governo della loro chiesa Jacopo, vescovo di Fano, Pietro, vescovo di Cagli, Tommaso, abate di S. Paterniano, affidi a persone pie e probe l'amministrazione di quelle: i prelati erano accusati di aver favorito Federico da Montefeltro e i suoi seguaci); Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pagg. LXVIII-LXIX (lettera di Giovanni XXII del febbraio 1322 diretta al Rettore di Romagna perché ammonisca la Repubblica di Venezia a desistere dall'unione con i Fanesi ribelli alla Santa Sede); Tonini, Rimini, appendice di documenti al vol. IV, n. XXVII, pp. 66-68 (Giovanni XXII esorta i Veneziani perché cessino di dare ajuto ai Fanesi contro i Riminesi - 6 febbraio 1322) e n. XXVIII, pp. 68-70 (Giovanni XXII accetta la discolpa del Doge di Venezia e lo esorta a non favorire i Fanesi contro Riminesi e Malatesta - 15 maggio 1322). Dopo la morte di Cesenello del Cassero, il governo di Fano fu dato a Guido da Carignano, partigiano di Pandolfo Malatesta (Amiani, Memorie istoriche,  I, p. 254).

[46]Tonini, Rimini, Appendice di documenti al capitolo IV, n. XLVII, pp. 94-95: Giovanni XXII concede a Pandolfo Malatesti il governo di Montesano (sic), Ordiano (sic) ed altri Castelli del Fanese - 1 ottobre 1324.

[47]Nel 1325 "Guglielmo Fulcosio, ufficiale di Amelio di Lautrec, Rettore della Marca di Ancona, chiedeva l'assoluzione per la parte da lui avuta come protagonista nella morte di Federico da Montefeltro: lo aveva convinto a uscire dal suo palazzo per farlo cadere nelle mani del popolaccio debitamente istruito ad essere il boia del suo signore" (Gattucci, Giovanni XXII, p. 167): il documento è ivi, pagg. 169-173.

[48]Franceschini, Montefeltro, pp. 215 e 277; Gattucci, Giovanni XXII, p. 167. Il due aprile per Giovanni Villani; il 22 aprile per gli Annales Caesenates, col 1140 c:  Sub dicto Millesimo  (CCCXXI)  die jovis XXII dictis mensis aprilis populus urbinas  proditionaltier rumore levato in terra per eos, acceperunt civitatem urbini Comiti Frederico de Monteferetro, qui eam regebat, ipsumque comitem una cum filio suo, qui erat Potestas dictae civitatis, et interfecerunt crudeliter, irruentes in eos in medio plateae dictae civitatis.

[49]Franceschini, Montefeltro, pp. 221 e 277; P. PALAZZINI,  Storia di un feudo ecclesiastico e dei suoi signori: Rocca Leonella di Cagli, in "Studia Picena" XVIII (1948), pp. 127-166, a p. 132.

[50]Aloisi, Sulla formazione storica del Liber Constitutionum Sancte Matris Ecclesie (1357), in Atti e Memorie di storia patria per le Marche, n.s.,  vol. V (Ancona  1908), pp. 270-271.

[51]Franceschini, Montefeltro, pp. 221-222 e 277.

[52]Franceschini, Documenti, n. 128, pp. 139-140: Lettera di Giovanni XXII della prima metà del 1323 al Consiglio, al Popolo e al Comune della Città di Urbino, congratulandosi per aver espulso Nolfo del fu Federico, che aveva cercato di ribellare la città alla Chiesa

[53]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1142 a: De reditu Comitis Speranzae. Sub dictu millesimo (1324) de mense julii dominus comes Speranza cum filiis comitis Federici rediit de voluntate communis et populi civitatis Urbini.

[54]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1142 a-d.

[55]Franceschini, Montefeltro, pp. 224-225: "Sui primi del 1327 le città marchigiane, esclusa Ancona, erano quasi tutte fedeli a quella parte ch'era capitanata dai Montefeltro".

[56]Franceschini, Malatesta, p. 91.

[57]Amiani, Memorie istoriche,  I, pp. 255-257.

[58]Amiani, Memorie istoriche,  I, p. 257.

[59]I castelli sono Monterolo, Montevecchio, Fratte, Torre, S. Vito, Montalfoglio, S. Lorenzo, Collalto, Isola Gualteresca, Reforzate, S. Bartolo, Barchi, Rupoli, Mondavio, Orciano, S. Giorgio, Lubicaria, Piagge (POLVERARI A., Mondavio, dalle origini alla fine del Ducato d'Urbino, Ostra Vetere 1984 , pp. 70-71). Nel 1328 a Fano fu fatta la pace tra Guelfi e Ghibellini: abbiamo nei successivi anni, fino al 1338, un'eclissi del potere malatestiano su Fano (che devono lottare in Romagna per conservare Rimini, anche contro il Legato) e un'egemonia di Guido da Carignano, loro collegato. Parte del contado era però controllato dalla famiglia dei Petrucci (Amiani, Memorie istoriche,  I, p. 257 ss).

[60]Il Bavaro provvide a rifornire di diplomi imperiali i suoi sostenitori italiani, tra cui i Faggiola,  che dominavano  le terre dell'alta Val Marecchia, e i Montefeltro. Le menzioni di castelli e terre ci permettono di valutare quale erano i loro interessi e la loro zona di influenza. Possiamo ricordare il ripristino del comitato urbinate (ancora in mano a funzionari ecclesiastici, almeno de jure, perché doveva essere in gran parte in mano ai Montefeltro) (Franceschini, Documenti, n. 142, pp. 149-151, del 27 marzo 1328); la concessione a Ranieri (Neri) della Faggiola, figlio d'Uguccione, di settantadue castelli e ville poste nelle diocesi di Sarsina, Montefeltro, Massa di Verona e Massa Trabaria (L. DOMINICI, S. Agata Feltria illustrata, Novafeltria 1959, p. 165, datato 28 marzo 1328); la concessione di vari castelli a Neri e Paoluccio della Faggiola (Dominici, S. Agata Feltria, pp. 165-166: datato 15 febbraio 1329). Per i Montefeltro vds. anche Theiner, Codex, I, pp. 544-555 e F. UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, Firenze 1859, vol. II, doc. n. 2 bis, pp. 497-500.

[61]Franceschini,  Malatesta, p. 104.

[62]Franceschini, Montefeltro, p. 229: "Il 17 agosto 1333 un commissario pontificio assolveva le città di Urbino, Osimo, Fermo, Jesi, Fabriano, Serra de' Conti, Serra S. Quirico e altre dalle censure in cui erano incorse per essersi schierate con Ludovico il Bavaro. Il 27 agosto furono assolti dalle censure i conti di Montefeltro". In una lettera data 21 settembre 1334, Giovanni XXII dava ordine al Rettore della Marca di indagare e riferire per quale causa la città di Urbino fosse privata del Contado e se riuscisse utile di restituirglielo, come in antecedenza (Franceschini, Documenti, n. 154, p. 160). Con lo schieramento "lealista" era schierato anche il potente comune umbro di Perugia, ostile ai Tarlati.

[63]In questo periodo i Malatesta si presentavano divisi in due rami: quello "di Rimini", guidato da Ferrantino, contrario all'ingerenza del Rettore; quello "di Pesaro", capitanato da Malatesta e Galeotto, cugini di Ferrantino e vicini alle posizioni del Rettore. Essi conservarono il controllo di Pesaro e Fano e ottengono, nel maggio 1332, la custodia di Fossombrone, di ventitré castelli del contado di Fano, di varie altre località nelle diocesi feretrana e riminese. Vds. Franceschini, Malatesta, pp. 97-98; Vernarecci, Fossombrone, I, p. 291.

[64]Franceschini, Malatesta, pp. 97-101. Tonini, Rimini, Appendice di documenti al vol. IV, n. LXXV, p. 124: Papa Giovanni XXII ordina al Legato di procedere contro Malatestino invasore di Monte le Vecchie nel Pesarese, e di altri luoghi nel Fanese e nella Marca - 14 febbraio 1332.

[65]Franceschini, Malatesta, pp. 102-103.

[66]Si è seguito strettamente la narrazione presentata dagli Annales Caesenates. Diversa la successione degli avvenimenti, e non sempre chiaro lo svolgimento anche per fraintendimento della fonte menzionata, in Amiani e Vernarecci.

[67]Anonimo, Annales Caesenates, coll. 1157 e - 1158 a: De conflictu Forosemproniensium, et gente Marchionis. Millesimo CCCXXXIV die III martii Forosempronienses cum gente Marchionis, quae tunc in Marchia pro Ecclesia Romana adstabat, ad castrum Cucurani de Comitatu Fani more praedonico equitarunt. Quod quidam dominus Guido de Carignano cum Fanensibus hoc audiens, accessit viriliter contra eos, et ipsos posuit in conflictum, occidendo et capiendo multos ex eis, et inter alia XXV equi sibi assignati fuere. Vds. anche Amiani I, Memorie istoriche, I, p. 261; Vernarecci, Fossombrone, I pp. 291-293.

[68]Anonimo, Annales Caesenates, col 1159 a. Vds. anche Vernarecci, Fossombrone, I p. 293 e Amiani, Memorie istoriche,  I, 261.

[69]Franceschini, Montefeltro, p.  234; Franceschini, Malatesta, pp. 104-105. Ferrantino fu poi liberato e raggiunse il padre che nel frattempo si era rifugiato a Urbino; Malatestino e Guido morirono nelle prigioni malatestiane. Il Chronicon Ariminense e il Diplovatazio assegnano la cattura di Ferrantino e fratelli all'anno successivo (Oliveri, Gradara, p. 73).

[70]Franceschini, Montefeltro, p. 234.

[71]Amiani, Memorie istoriche,  I, pp.  264-265.

[72]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1163 a: De sconficta de Tomba. Apud castrum Tombae comitatus Fani die XII martii dicti anni (1335) Antoniuccius de Tomba cum Gallasso comite de Monteferetro, et Ferrantino de Malatestis, debellavit dominum Guidonem de Carignano, et dominum Malatestam de Malatestis, multis ex eorum gente occisis, et multis etiam captivatis. Vds. anche Franceschini, Montefeltro, p. 234; Franceschini, Malatesta, p. 106; Vernarecci, Fossombrone, I, p. 294.

[73]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1161 a-b: De expulsione comitis Speranzae de Urbino. Seminatore zizaniae seminante, et domino Pietro de Tarlatis cum domino Malatesta de Malatestis operante, divisionem passa est domus magnifica Feretrana; nam Speranza comes dictorum Domini Petri, et domini Malatestae consilio et auxilio sultus, Nolfum, et fratres, filios quondam comitis Federici, de Urbino expellere voluit, vel necare. Quod idem Nulfus sentiens per insinuationem Ferrantini de Malatestis, ad cujus manus talis tractatus literae pervenerunt, dicto Speranzae pervenit; ita quod cum ipso Ferrantino die mensis Augusti anni praedicti (1334) inito proelio, ipsum Speranzam et magnum guarnimentum, quem clandestine in domibus suis habebat, expulit de Urbino, pluribus ad proelium interfectis.

[74]F.V. LOMBARDI, La contea di Carpegna, Urbania 1977; Lanciarini, Tiferno, p. 263.

[75]Anonimo, Annales Caesenates, col 1162 a-b.

[76]Anonimo, Annales Caesenates, col 1163 c-d: 8 aprile 1335.

[77]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1166 a.

[78]Anonimo, Annales Caesenates, col 1175 d-e: De recuperatione Castri Illicis, et Mercatelli per Nerium. Birrus capitaneus Castri Illicis pro domino Petro Saccone scripsit ei, ut sibi stipendium et victualia mitteret, quas sibi diu cessaverat ministrare: alioquin castrum redderet Nerio de Faziolo. Ipso domino Petro non ministrante praedicta, idem Birrus accepto stipendio suo castrum reddidit Nerio antedicto die XVI januarii anni praedicti (1337). Post paucos autem dies castellani de Mercatello se reddiderunt dicto Nerio, consentientibus Arnoldo, et aliis forensibus ibi existentibus pro domino Petro, tamquam omni ejus suffragio destitutum.

[79]Lanciarini, Tiferno, p. 267: "In data 10 marzo 1337 Benedetto XII scriveva ai Perugini e al rettore della Marca, invitandoli a riacquistare la città di Cagli, il castello di Mercatello ed alcuni altri luoghi, ingiustamente occupati da Pietro di Pietramala. Con lettera 17 agosto 1337 scriveva al Rettore della Marca Anconitana, ricordando Mercatello, che era stata usurpata, Benedetto XII così esprimevasi: Come tu chiedesti, scriviamo ai diletti figli del Comune di Perugia, affinché, a mezzo di Nerio della Faggiuola e di Branchino dei Brancaleoni, facciano, a nome nostro e della predetta Chiesa Romana, tornare sotto la tua giurisdizione il castello di Mercatello".

[80]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1176 a.

[81]Tonini, Rimini, Appendice di documenti al vol. IV, nn.  XCV p. 149 (Lettera di Benedetto XII al Rettore della Marca perché proceda contro i Malatesti invasori dei diritti della Chiesa in quella provincia - 25 agosto 1339) e XCVI p. 150-152 (Benedetto XII inculca al Rettore di Romagna di procedere contro i ribelli di Romagna, fra i quali i Malatesti - 22 giugno 1340). Vernarecci, Fossombrone, I, pp. 298-299: dal maggio 1335 al 1340, quando fu lanciato l'interdetto contro le terre dei Malatesta.

[82]Nel 1342 Teresino da Carignano, con l'aiuto del Marchese della Marca, cerca di occupare Fano ma la tenne solo per pochi giorni: il 13 dicembre 1342 era di nuovo dei Malatesta (Amiani, Memorie istoriche, I, 268). Nel frattempo i Montefeltro erano annoverati tra i fedeli della Chiesa: Tonini, Rimini, Appendice  di documenti al vol. IV, n. XCVII, pp. 152-153 (Benedetto XII loda gli Urbinati per aver resistito ai Malatesti che tentano di impossessarsi di Urbino - 12 luglio 1340). Vds. anche Franceschini, Documenti n. 159, pp. 165-166

[83]Franceschini, Malatesta, 107. Anonimo, Annales Caesenates, col. 1176 a-b.

[84]F.V. LOMBARDI., Mille anni di Medioevo, in AAVV, "Il Montefeltro", vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, alle pagg. 107 e 134. La curia feretrana sarebbe rimasta a Talamello fino al 1460.

[85]Anonimo, Annales Caesenates, col. 1177 e - 1178 a. Vds. anche Franceschini, Montefeltro, p. 236.

[86]Franceschini, Montefeltro, p. 237. Vds. anche Carile, Pesaro, p. 42.

[87]Franceschini, Montefeltro, p.  237.

[88]Franceschini, Malatesta, p. 111: "Anche se sottomissione alla Chiesa, in realtà la Curia si era piegata a riconoscere e sancire l'autorità dei Malatesta su Rimini".

[89]Franceschini, Malatesta, pp.  99 ("Ferrantino ottenne di tornare in patria, dove si spense quale privato cittadino il 12 novembre 1353") e 110-111; Franceschini, Montefeltro, p. 239.

[90]Anonimo, Chronicon Estense, in “Rerum Italicarum Scriptores”, XV, III, I, Città di Castello 1908; II Bologna 1937, p. 115, rr. 10-19: Terexinus filius quondam domini Guidonis de Carignano, civis civitatis Fani, cum auxilio marchionis Marchie, de conscientia multorum civium dicte civitatis, acepit in se civitatem Fani quam rebellavit domino Malateste de Arimini: quod aiudiens Pandulfus filius dicti domini Malateste, qui dominabatur civitatis Pexari, recessit inde, et cum toto posse equitavit Fanum, et intravit in quodam castro dicte civitatis, quod erat a latere maris; deinde exiens portam et pontem dicti castri, intravit civitatem Fani, viriliter bellans cum civibus civitatis ,quare mortui sunt ex eis civibus multi, qui erant rebelles. Deinde recedens cum suis reversus est in castro predicto, ibi exstens tanto quod dominus Malatesta eius pater sibi dixerit auxilium. Franceschini, Malatesta, p. 110; P. SANCHIONI - M. PIERBONI, Da Tavernelle a Serrungarina per Brisighella, Urbania 1993, p. 125.

[91]Franceschini, Malatesta, p.  110; Vernarecci, Fossombrone, I, p. 297.