Capitolo XI

 

Il cardinale Albornoz

 

L'epidemia di peste del 1348.

Nel 1348 un'epidemia di peste, portata in Italia da navi genovesi provenienti dal Mar Nero, si diffuse in ogni parte della Penisola causando almeno tre milioni di morti (su undici milioni di abitanti circa, presenti allora nel nostro Paese)[1]. Anche la nostra provincia ne fu naturalmente colpita, anche se non è possibile presentare dati completi per ogni città e terra di essa. I cronisti romagnoli ricordano la generalis mortalitas per Universum.

L'anonimo autore degli Annales Caesanetes, ricorda che Millesimo CCCXLVIII indictione prima de mense Junii generalis mortalitas per universum orbem dominare incoepit, et duravit quasi usque ad Nativitatem de mense Decembris dicti anni[2].

L'anonimo autore del Chronicon Ariminense, dopo l'indicazione dell'elevato numero dei morti (Morì di tre persone due), perplesso annota che prima morì la plebaglia e poi gli altri Grandi, fuorché i Tiranni e Grandi Signori non morì nessuno[3].

Tra i Montefeltro, invece, ci furono morti anche nella famiglia comitale, tra cui Niccolò, figlio naturale del conte Federico da Montefeltro, colui che era riuscito a conquistare, qualche anno prima, S. Leo[4].

Ma naturalmente era più colpita la popolazione. Alcuni dati possono indicare l'incidenza dell'epidemia nella nostra zona: a Rimini si contarono 2400 morti[5]; a Pesaro nella prima metà del Trecento sono ricordati 2500 “fumanti”; nel 1440 solo 1632 famiglie[6]. Più difficili da valutare i dati delle altre città, in cui il crollo demografico fu comunque consistente.

 

I Malatesta alla conquista della Marca (1347-1351)

Nel frattempo i Malatesta intraprendevano una politica che li portò, nell'arco di cinque anni, a conquistare quasi tutta la Marca e a creare una tra le più vaste signorie in quel momento esistenti in Italia.

Fino al 1347 infatti i Malatesta avevano limitato i loro interessi alle quattro città marchigiane di Pesaro, Fano, Senigallia e Fossombrone, e ne avevano progressivamente assunto il controllo. Ora però essi rivolsero la loro attenzione al resto della Marca e riuscirono in pochi anni ad impadronirsene anche approfittando del fatto che Firenze, Perugia, Roma, Urbino erano impegnate nella guerra che l'arcivescovo Giovanni, signore di Bologna dal 1350, muoveva in quegli anni contro la lega guelfa di Toscana.

Nel maggio 1347 era scoppiata una guerra tra Anconitani e Gozzolino, signore di Osimo. I primi ingaggiarono i Malatesta per guidare il loro esercito: il 27 maggio le forze anconitane erano già entrate in Osimo e la cittadella della città, in cui si era rifugiato Gozzolino, si arrese nel mese di agosto[7].

Soffocata nel 1348 una ribellione scoppiata nel Vicariato, dovuta all'eccessivo prelievo fiscale e al malgoverno che tali comunità dovevano subire[8], i Malatesta continuarono l’espansione nella Marca centrale e meridionale occupando una serie di città: nel maggio Galeotto fu designato capitano e successivamente signore di Ascoli; poco dopo Galeotto e Malatesta si impadronirono del potere a Ripatransone; sconfissero quindi Gentile da Mogliano, signore di Fermo e riuscirono, il 6 dicembre, ad occupare anche Ancona[9].

Il 10 gennaio 1349, Malatesta Ungaro, figlio di Malatesta, occupava Jesi e, intorno allo stesso periodo, la famiglia riminese ottenne il potere a Osimo. Seguirono quindi, negli anni 1350-1351 Cingoli e Arcevia[10]: quasi tutta la Marca era caduta nelle loro mani[11], e nessuno, né la Curia né il Legato, si era opposto.

 

Le guerre dell'arcivescovo Giovanni

Nel frattempo i Montefeltro e le altre signorie feudali si erano collegate all'arcivescovo e signore di Milano Giovanni Visconti che, impossessatosi di Bologna il 23 ottobre 1350, aveva suscitato l'ostilità di Firenze[12].

La guerra tra Viscontei e Fiorentini scoppiò nel 1351. Il contado di Firenze fu devastato da un esercito partito da Bologna; l'offensiva si spense però senza che Giovanni Visconti d'Oleggio, capitano del popolo di Bologna e capo dell'esercito attaccante, ottenesse risultati di qualche rilievo nell'ottobre dello stesso anno[13]. Nel frattempo la guerra divampava anche su altri fronti. Facendo perno sullo Stato di Urbino (dove nel frattempo erano morti Galasso e suo figlio Guido e reggevano lo stato i tre fratelli Nolfo, Enrico e Feltrano) e sulle famiglie “ghibelline” della montagna tra Marche, Umbria, Romagna e Toscana, i Viscontei attaccarono il territorio di Perugia e di Arezzo (entrambe legate a Firenze e aderenti alla taglia guelfa) e si impadronirono di Cagli, Gubbio, S. Sepolcro, Anghiari e di tutto il Casentino[14].

Con la primavera del 1352 la guerra riprese: un altro esercito scese da Bologna a saccheggiare il contado di Firenze; varie milizie operavano in Umbria; Tanuccio degli Ubaldini della Carda, uno dei capitani del conte Nolfo di Montefeltro, occupava Orvieto[15]. Ma anche questo caso i risultati non furono decisivi e nell'inverno si intavolarono trattative di pace, che furono concluse a Sarzana il 31 marzo 1353: i Visconti promettevano di non impegnarsi in Toscana, i Fiorentini oltre l'Appennino[16].

Negli atti della pace di Sarzana vennero elencati anche i vari possedimenti delle signorie marchigiane: da notare che, nella nostra provincia, si presentavano abbastanza ampie sia le zone controllate da Neri della Faggiola (figlio del grande Uguccione, importante capo ghibellino nato presso Casteldelci e attivo in Toscana e nel Veneto nei primi decenni del secolo XIV), che controllava settantuno tra terre e castelli nelle vallate di Savio, Marecchia, Metauro e Foglia[17], sia quelle in mano ai Montefeltro, che ratificarono la pace, nel maggio 1353, per sé, i loro seguaci e le città di Urbino, San Leo e Cagli, il castello di Nidastore nel contado di Fossombrone e quello di Francavilla nella diocesi di Fermo[18].

 

Segnali di crisi per lo Stato malatestiano

Nel frattempo continuava il tentativo dei Malatesta di unificare tutta la Marca, dove era rimasto a loro ostile solo Gentile da Magliano, signore di Fermo. A suo sostegno giunse alla fine del 1352 la compagnia di ventura del famoso Fra Moriale, che doveva regolare con Malatesta vecchi conti in sospeso: egli costrinse l'esercito malatestiano ad abbandonare l'assedio di Fermo e si mise a saccheggiare i territori sottoposti alla famiglia riminese, non allontanandosi se non nell'agosto dell'anno successivo, dopo che Malatesta gli promise quarantamila fiorini per abbandonare il territorio[19]. Fu una vera e propria umiliazione per coloro che sembravano aver nelle loro mani il controllo pieno della regione marchigiana.

Bisognava inoltre aspettarsi la reazione del papa, dato che l'occupazione dell'intera Marca si configurava, agli occhi della Curia, come una palese violazione dei diritti sovrani della Chiesa.

Innocenzo IV, infatti, invitò il 4 luglio 1354 Malatesta e suo fratello Galeotto a presentarsi in Curia per rispondere dell'indebita occupazione delle città marchigiane[20] e, non avendo costoro aderito, giunse ad impartire loro la scomunica il 12 dicembre dello stesso anno[21].

 

La guerra contro i Malatesta

Ormai la situazione dello Stato della Chiesa era di pieno sfacelo e servivano azioni energiche per riportarvi ordine, anche perché erano sempre più forti le richieste di un ritorno della sede papale in Italia. L'uomo scelto per tale compito da Innocenzo VI fu il cardinale spagnolo Egidio Alvarez Carrillo de Albornoz che, nominato il 30 giugno 1353 legato della Sede Apostolica in Italia e vicario generale terrarum et provinciarum Romane Ecclesie in Italiane partibus citra Regnum Siciliae, giunto in Italia con pochi denari e uomini (ma dotato di indubbie capacità diplomatiche e militari), riuscì, appoggiandosi ai piccoli signori e alle minori comunità, spaventati dall'espansione degli stati regionali (Milano, Firenze), o delle medie signorie (Malatesta, Montefeltro, Ordelaffi), a recuperare e riorganizzare i territori dello Stato della Chiesa nei successivi quindici anni (dal 30 giugno 1353 al 23 agosto 1357 e dal 18 settembre 1358 al 23 agosto 1367, data della sua morte) [22].

Sistemata la situazione a Gubbio nel giugno 1354[23], il Legato rivolse la sua attenzione alla Marca, dove era necessario attaccare i Malatesta, nel frattempo alleatisi a Gentile da Magliano, signore di Fermo, più timoroso del Legato che dei nemici di ieri. Il 29 aprile 1355 l'Albornoz riusci a sconfiggere Galeotto a Paderno, presso Ancona, e a farlo prigioniero[24]. Sconfitti dalla forza delle armi, i Malatesta sottoscrissero con il legato, il 2 giugno 1355, un trattato che li obbligava a cedere gran parte delle terre delle Marche indebitamente occupate (ma non Rimini, Pesaro, Fano e Fossombrone, per le quali città ottenevano il vicariato in temporalibus per dieci anni per il censo annuo di 8000 fiorini, ridotto poi a 6000), e si obbligavano a prestar servizio militare con 180 cavalieri in armi per tre mesi l'anno a loro spese[25]. Era sicuramente una sconfitta per la potente famiglia riminese, ma il nucleo principale della loro signoria (Rimini e le tre città della Marca settentrionale) rimaneva nelle loro mani e anzi, con il conferimento del vicariato, ottenevano un titolo che ufficializzava e legittimava il loro potere nelle città: la loro signoria, conquistata con la forza, non poteva essere più contestata dai loro avversari politici.

L'Albornoz saggiamente non volle annientare la potenza dei Malatesta ma, dopo averne ridimensionato il potere, si servì di loro, negli anni successivi, per la sua politica di recupero delle terre dello Stato della Chiesa che ancora sfuggivano al suo controllo. E i Malatesta ottennero ancora ulteriori vantaggi: il 10 aprile 1356 Galeotto, il vinto di Paderno, fu creato Gonfaloniere di S. Chiesa[26]; l'8 gennaio 1358 Galeotto e Malatesta ottennero in vicariato per sette anni e mezzo alcune terre e castelli in diocesi di Rimini, Fano e Fossombrone non compresi nelle precedenti investiture[27].

 

L'Albornoz e i Montefeltro

Eliminato il pericolo costituito dai Malatesta, l'Albornoz si interessò anche dei conti di Montefeltro, del cui comportamento si lamentava particolarmente Francesco dei Brancaleoni di Piobbico, vescovo di Urbino. Il Legato li citò a comparire davanti alla sua persona[28], ed essi ritennero opportuno, dopo aver visto ciò che era accaduto ai Malatesta, piegarsi: il 20 giugno 1355 a Gubbio i conti Nolfo ed Enrico riconobbero d'aver offeso la Chiesa, di aver tenuto illegalmente città e castelli, chiesero l'assoluzione apostolica e giurarono obbedienza[29]. A questa sottomissione fece seguito quella del comune di Urbino, effettuata l'8 luglio dello stesso anno[30].

Il 26 luglio 1355  seguì l'accordo tra i conti di Montefeltro e il Legato: i primi non ebbero il vicariato in temporalibus, come i Malatesta, ma la custodia civitatis[31] di Urbino, Cagli e delle altre terre che fino a quel momento avevano posseduto, e contemporaneamente riconoscevano al Legato il diritto di designare il podestà di Urbino e di Cagli ed accettavano la riammissione degli esuli nelle città (che doveva però avvenire in modo tale da non turbare l'ordine pubblico)[32].

Le condizioni offerte ai Montefeltro erano senza dubbio meno generose di quelle che erano state concesse ai Malatesta, ma bisogna tener presente che la forza militare e l'importanza economica della signoria dei secondi erano indubbiamente  superiori a quelle dei primi (senza contare che i secondi inoltre avevano militato, in tempi non lontani, nel blocco guelfo, i primi in quello ghibellino).

 

Le Constitutiones Sanctae Matris Ecclesiae

La riunificazione politico-amministrativa, ancora in parte da completare, fu accompagnata dall'unificazione legislativa. Nei giorni 30 aprile e 2 e 3 maggio 1357[33] si tenne poi a Fano il Parlamento generale in cui furono promulgate le Constitutiones Sanctae Matris Ecclesiae (conosciute come Constitutiones Aegidianae), l'opera legislativa che rimase la base dell'ordinamento dello Stato della Chiesa, pur con aggiunte e ammodernamenti, fino alla riforma del cardinal Consalvi del 1816.

Le Aegidiane, che si basavano in gran parte su una raccolta di leggi in vigore nella Marca di Ancona (Liber Marchigianum)[34],  furono pubblicate nello stesso 1357 con valore nell'intero Stato della Chiesa[35]. Ma il testo definitivo dell'opera fu realizzato alcuni anni dopo, nel 1363 o forse nel 1364, quando, a seguito a difficoltà insorte nell'applicazione del Corpus, esso fu rivisto e reinterpretato con le novelle, promulgate quasi tutte certamente tra la fine di febbraio e la fine del marzo 1363 ad Ancona dopo l'indizione di un parlamento generale[36].

 

Lo scontro tra il cardinal Albornoz e Bernabò Visconti

Nel settembre 1356 l'Albornoz fu richiamato ad Avignone e fu sostituito dal cardinale Androino de La Roche, abate di Cluny, che continuò, piuttosto infelicemente, l'assedio di Forlì, iniziato dal suo predecessore. Nel frattempo in Curia prevalevano i fautori di un accordo con il potente signore di Milano, Bernabò Visconte, che pretendeva che gli fosse riconosciuta la signoria su Bologna, caduta in mano al governatore Giovanni Visconti d'Oleggio. In un primo tempo la Curia appoggiò tale richiesta, poi, nel 1358, ci fu un nuovo mutamento d'indirizzo e, contro l'Ordelaffi di Forlì e contro Bernabò, fu inviato di nuovo in Italia, nel settembre 1358, l'Albornoz[37].

Egli riuscì ben presto ad entrare in Forlì (4 luglio 1359) e ottenne anche, mediante trattative, nel marzo successivo, Bologna, violando in tal modo gli accordi che la Curia aveva precedentemente stretto con il Visconti[38]. A costui non rimase che prepararsi allo scontro e fomentare la ribellione in tutto lo Stato della Chiesa, compresa la Marca. La guerra vera e propria, combattuta intorno a Bologna e nella Pianura Padana, condita con le solite scomuniche ed eccessi verbali che ormai avevano perso tutta la loro efficacia, durò fino al 13 marzo 1364, quando  Bernabò rinunciò alla città emiliana in cambio di una indennità di 500.000 fiorini d'oro in otto rate annuali[39].

 

La crisi di Cagli (1357)

Nel 1357, approfittando di un certo malcontento che interessava Cagli, Francesco di Ciccardello dei Siccardi (famiglia guelfa) e Gabriello di Necciolo Gabrielli di Gubbio provocavano una sollevazione in città e vi prendevano il potere: il podestà Nolfo da Marciano, nipote del conte Nolfo di Montefeltro (signore della città fino al 1355, quando, come si è visto, dovette cederne il controllo al Legato, ma detentore della custodia civitatis), fu ucciso; molti cittadini furono condannati all'esilio; i vincitori si spartirono le cariche di governo[40].

I Montefeltro non stettero con le mani in mano e si prepararono, dal contado, alla riconquista della città. La situazione di instabilità che ne seguì non poteva essere tollerata dal cardinal Albornoz che inviò truppe per assicurare l'ordine pubblico, nominò un nuovo podestà e formò una magistratura di tre "riformatori e pacificatori della città", tra i quali il ghibellino Nicolò Brancaleoni di Rocca Leonella[41]. La delusione dei Montefeltro venne comunque placata nel 1359, quando fu a loro restituita la custodia civitatis[42].

 

La crisi dei Montefeltro

In questi anni, eliminati gli ultimi focolai di resistenza (Forlì), portate dalla sua parte la più forte signoria che esisteva tra Marche e Romagna (Malatesta), umiliato il tentativo di potenze esterne (Bernabò Visconti) di far sentire la loro voce nelle faccende dello Stato della Chiesa, l'autorità del Legato papale era enormemente cresciuta e lo Stato della Chiesa aveva ormai considerevoli risorse finanziare, grande prestigio e autorità.

Anche i Montefeltro erano ormai legati alla politica del Legato e avevano inviato uomini per le operazioni di guerra intorno a Bologna. Non mancarono in questi anni tuttavia screzi con i funzionari ecclesiastici[43], che mettono in luce il basso profilo dell'azione politica feltresca; in ogni caso alcuni loro atteggiamenti suscitarono, a torto o a ragione, la diffidenza dei funzionari ecclesiastici.

Negli anni Sessanta scompare la generazione dei conti che avevano stipulato gli accordi con l'Albornoz[44] e divenne capo della casata Paolo, fautore della politica filolegatizia e imparentato con la famiglia lombarda dei Gonzaga; erano ancora minorenni i nipoti di Paolo: Nolfo, Antonio e Galasso.

 

La scomparsa di Pietracuta; la disfatta dei Faggiolani

Se i Montefeltro erano schierati, pur con ruolo subalterno e probabilmente a malincuore, tra le file ecclesiastiche, tra le casate ghibelline minori degli Appennini tirava aria di fronda e i segni di insofferenza si facevano frequenti: una dopo l'altra esse avrebbero però provato la durezza della repressione delle armi del Legato.

Nel 1357 scomparve con Sgaraglino la famiglia feudale dei conti di Carpegna-Pietracuta, i cui beni furono confiscati dall'Albornoz e ceduti dal papa al ramo principale dei Carpegna, di provata lealtà[45].

Nel 1360 (con l'occupazione di Bologna erano iniziate le ostilità contro il Visconti) l'Albornoz già temeva una sollevazione abbastanza ampia: in quell'anno informava il castellano che reggeva per la Chiesa Mercatello di guardarsi da Faggiola, Montefeltro e Brancaleoni, che miravano all'occupazione di quella terra[46]. Le tre famiglie feudali però nell'occasione non si scoprirono. Si ribellò invece, nel luglio, Bisaccione da Buscareto, signore di Montenuovo, Corinaldo, Roccacontrada, Montenovo e Serra dei Conti, immediatamente a sud dei confini della nostra provincia. La reazione delle milizie ecclesiastiche non tardò: Galeotto Malatesta occupò i suoi domini, Buscareto fu distrutto, il signore ribelle esiliato; truppe ecclesiastiche occuparono anche Sassoferrato[47].

Fu la volta quindi dei Faggiolani, rappresentati da Neri, figlio di Uguccione della Faggiola e da suo figlio Francesco, ai quale, nella pace di Sarzana, nel 1353, era stato riconosciuto il dominio di settantun castelli nelle vallate di Savio, Marecchio, Metauro e Foglia. Il loro dominio doveva essere stato già ridimensionato negli anni 1353-55, quando è attestata l'espansione dei Malatesta nel Santagatese[48]. Nel 1361 Neri morì e l'anno successivo suo figlio Francesco, confidando negli aiuti viscontei, si ribellò apertamente alla Chiesa:  "il Legato mobilitò  contro il ribelle, che si teneva sicuro nei suoi montani recessi, tutte le cupidigie dei vicini: Francesco di Carpegna, Bisaccione da Piagnano, Giovanni conte di Montedoglio, Pietro da Gattaia, Galassino da Certaldo, gli uomini di Sassocorvaro e quelli di Montecoronaro, i vescovi di Montefeltro e Bobbio (Sarsina) e l'abate di Badia Tedalda, ma soprattutto i Brancaleoni di Casteldurante ed i Conti di Urbino"[49].

Le milizie ecclesiastiche, coadiuvate dai signorotti della zona, vecchi nemici e vecchi amici dei Faggiolani, occuparono in quell'anno i domini dei ribelli che dovettero fuggire verso Arezzo, aspettando eventuali aiuti da parte di Bernabò Visconti. A dicembre di quell'anno la Chiesa aveva pieno controllo della zona e l'Albornoz, l'8 del mese, "commetteva ai vescovi di Montefeltro e Sarsina d'assolvere dalla scomunica, previa salutare punizione, quei priori di chiese, arcipreti e rettori che avevano prese le armi sacrileghe contro le milizie della chiesa, a sostegno di Francesco della Faggiola e dei suoi figli"[50].

I Faggiolani non si sarebbero più risollevati dal colpo e, anche dopo la restaurazione delle altre signorie nel Montefeltro, non avrebbero più giocato un ruolo politico rilevante nella regione[51].

 

La guerra contro i Brancaleoni  e la rivolta di San Leo (1366)

Negli anni 1363-65 si moltiplicano i segni di insofferenza dei Brancaleoni (tradizionalmente "guelfi") nei confronti del potere del Legato, che ormai stringeva in una morsa tutte le signorie, qualunque fosse stata la loro scelta "ideologica" nel momento del grande scontro tra papato e impero: non erano stati mandati i soldati richiesti dall'Albornoz per l'impresa di Forlì; erano coltivati buoni rapporti con i Montefeltro, fino a giungere alla stipulazione di un matrimonio tra Pier Francesco Brancaleoni e una nipote di Paolo di Montefeltro; venivano ospitate le milizie della compagnia di San Giorgio, capitanata da Ambrogio Visconti, che era penetrata nel territorio di Città di Castello e nelle terre degli Ubaldini[52].

La situazione precipitò nel settembre 1366. La venuta delle genti della compagnia di S. Giorgio spinse l'Albornoz a richiedere ai Brancaleoni di consegnare alcune fortezze mentre il cardinale di Cluny senza preavviso occupava alcune terre dei Montefeltro (evidentemente si temeva un'alleanza delle due famiglie feudali con i perturbatori dell'ordine pubblico). Brancaleone de' Brancaleoni e il secondogenito si recarono ad Ancona dal Legato, che, avuta notizia della rivolta di Casteldurante, decise di trattenerli come ostaggi. Infatti Niccolò Filippo, figlio di Brancaleone, si era ribellato apertamente alla Chiesa: furono catturati rettore di Massa Trabaria e vari funzionari pontifici nonchè le due bandiere di cavalli che erano state inviate ad occupare S. Angelo in Vado[53].

La situazione poteva essere pericolosa per le milizie ecclesiastiche, dato che erano in armi  contro la Chiesa varie città dell'Umbria (Gualdo, Nocera, Assisi e altri centri minori) e le compagnie di ventura (collegate ai Viscontei) saccheggiavano vari territori. Ma la decisione dell'Albornoz, che di persona andò a dirigere l'assedio di Casteldurante, e le esitazioni dei Montefeltro, che, dopo aver tenuto una condotta incerta, alla fine si schierarono con le truppe ecclesiastiche e parteciparono all'assedio, fece sì che, nel dicembre, Casteldurante si arrendesse e tutti i castelli dei Brancaleoni fossero occupati[54].

I Montefeltro, che non avevano dissipato con il loro comportamento i dubbi del Legato furono costretti a cedere alla Chiesa il castello di Peglio[55].

Nel 1366  anche la città di San Leo, occupata dai Montefeltro nel 1338, tenuta da costoro per circa vent'anni e poi riconsegnata al Legato al tempo della loro riappacificazione con l'Albornoz, si ribellò all'amministrazione papale e fu necessario intraprendere un assedio che si protrasse fino al 1367[56]: il malcontento degli abitanti del luogo era evidentemente basato sulla scarsa importanza che l'antica residenza vescovile (già abbandonata dal vescovo, che si era stabilito a Talamello) aveva assunto e, probabilmente, c'era qualcuno (forse i conti di Montefeltro) che soffiava sul fuoco.

 

Il cardinale Anglico Grimoard e i Montefeltro

I Malatesta rimasero fedeli alla Santa Sede, anche quando, morto il 27 agosto 1364 Malatesta "Guastafamiglia", subentrarono nel governo dei vari domini della famiglia il fratello Galeotto e i figli Pandolfo e Malatesta (Ungaro)[57].

Poco dopo la morte del cardinal Albornoz (23 agosto 1367), fu nominato rettore della Marca Ademaro di Agrifolio[58], entrato in carica il 27 settembre 1367 e sostituito  il 15 novembre 1367 dal cardinale di S. Pietro in Vincoli Anglico Grimoard, fratello di papa Urbano V[59].

Subito il nuovo Legato prese una serie di provvedimenti per ridimensionare i poteri che i Montefeltro conservavano ad Urbino ed inviò in città, come suo vicario, Enrico de Sessa, vescovo di Brescia. Costui, con il compito, o il pretesto, di riformare gli ordinamenti cittadini, avocò in primo luogo a sé la custodia civitatis, fino a quel momento tenuta dai Montefeltro; poi "abolì il Consiglio del Comune perché troppo numeroso, ma in effetti perché composto in gran parte da persone fedeli ai Montefeltro: ridusse l'amministrazione tutta in un Consiglio di 24 membri scelti da lui; dimezzò le decime che i Montefeltro percepivano dalla città quali custodi e difensori, e volle che la somma anche così dimezzata fosse pagata soltanto dopo l'approvazione dei ventiquattro concessa di volta in volta; annullò contro la volontà dei cittadini tutti gli articoli degli Statuti che parvero troppo favorevoli ai signori. Non faceva mistero anche d'aver in animo di costruire un potente fortilizio in luogo dominante la città, ed affidarne la custodia ad ufficiali e milizie della Chiesa"[60]. Contro tali provvedimenti, i Montefeltro ricorsero al cardinal Anglico, ma inutilmente[61].

 

La rivolta di Perugia (1368-70) e la disfatta dei Montefeltro.

Nel 1368 la situazione precipitò in Umbria. Il Legato aveva favorito una sommossa a Città di Castello, soggetta al potente comune di Perugia che, nel settembre, prendeva le armi contro la Chiesa. I Perugini, non curando le armi del Legato e gli interdetti che nel frattempo il papa aveva sul loro capo inviato, sostenuti dalle truppe del condottiero Giovanni Acuto, misero a soqquadro Umbria, Lazio e Marca, giungendo, nell'estate 1369, fino a Viterbo, città nel quale era rinchiuso il pontefice[62].

Anche ai Montefeltro fu chiesto di porsi agli ordini dell'esercito ecclesiastico con i loro uomini. Ma, mentre Paolo di Montefeltro eseguiva ciò che era stato comandato, i nipoti Nolfo, Antonio e Galasso, nell'estate del 1369, abbandonarono il campo della Chiesa e, passati dalla parte dei Perugini in rivolta, cercarono di occupare Urbino. Furono tuttavia respinti e nelle operazioni successive, che interessarono il Montefeltro, furono distrutti dalle forze ecclesiastiche i due castelli di Pietrarubbia e Pietramaura[63].

I ribelli dovettero a questo punto ritirarsi nel Perugino, mentre l'Urbinate era completamente occupato dalle milizie ecclesiastiche e la città di Urbino passava completamente sotto la giurisdizione di funzionari della Chiesa. Il conte Paolo, rimasto fedele al Legato, fu costretto a cedere le sue stesse case per la costruzione di una fortezza e, con la sua famiglia, ad allontanarsi dalla città[64].

Scorrerie e saccheggi continuarono in Umbria e nella Marca anche nell'anno successivo e il papa, esasperato per la situazione, partì il 5 settembre alla volta di Avignone, dove entrava il 24 dello stesso mese. Tuttavia qui moriva il 19 dicembre 1370 e a lui subentrava Gregorio XI, eletto il 13 dicembre 1370 e consacrato il 5 gennaio 1371.

Nel frattempo era cessata anche la rivolta di Perugia, ma i Montefeltro ribelli, andati ad Avignone, furono perdonati dal nuovo pontefice: furono anzi restituiti loro i beni sequestrati e data una provvigione di cento fiorini al mese (nel frattempo i conti di Montefeltro Paolo e Spinetta, che erano stati sempre fedeli alla parte ecclesiastica, "possedevano solo due castelletti nel Montefeltro e ricevevano un appannaggio di quaranta fiorini mensili il primo e trenta il secondo, eran cioè ridotto al punto che senza il soldo della Chiesa avrebbero dovuto andare pel mondo a mendicare un pane")[65].

 

La fortuna dei Malatesta

Durante le operazioni di guerra contro i Montefeltro ribelli, i Malatesta, al servizio delle armi ecclesiastiche, avevano occupato Città di Castello (1 novembre 1368), Urbino e buona parte del Montefeltro (Penna, S. Leo, Macerata e altri luoghi), così che ora i loro possedimenti arrivavano fino a Sestino e a Borgo San Sepolcro (di cui divenne signore Galeotto Malatesta il 7 luglio 1371)[66].

Nel gennaio 1373 morì Pandolfo Malatesta, signore di Pesaro (ormai autonoma dal ramo principale della famiglia, che aveva il controllo di Rimini e Fano). Gli subentrò il figlio Malatesta (dei Sonetti), ancora fanciullo, sottoposto all'autorità tutoria dello zio Galeotto[67].



[1]A. BELLETTINI, La popolazione italiana dall'inizio dell'era volgare ai giorni nostri. Valutazione e tendenze, in AAVV, "Storia d'Italia" (Einaudi), vol. 5 (I documenti), tomo I, 1973, pp. 489-532, alle pagg. 497 (tabella I) e 505-507.

[2]ANONIMO, Annales Caesenates, in "Rerum Italicarum Scriptores", vol. XIV, Milano 1729, coll. 1085-1186, col. 1179b.

[3]ANONIMO, Chronicon Ariminense ab anno circiter MCLXXXVIII usque ad annum MCCCLXXXV auctore Anonymo, ac deinde continuatum per alterum Anonymum usque ad annum MCCCLII, in "Rerum Italicarum Scriptores", Milano 1729, tomo XV, pp. 889-967, col 901 c.

[4]G. FRANCESCHINI,  I Montefeltro, Varese 1970, p. 279. Anonimo, Annales Caesenates, col. 1177 d.

[5]G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, p. 112.

[6]A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 3-54, a pag. 5.

[7]J.F. LEONHARD, Ancona nel Basso Medio Evo, Bologna 1992, pp. 179-180.

[8]P.M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, vol. I, p. 274 (vengono menzionati, oltre al castello di Orciano, a capo della rivolta, anche S. Lorenzo, Mondavio, Fratte, Barchi).

[9]Leonhard, Ancona, p. 180.

[10]Leonhard, Ancona, p. 181, che riporta anche, tra le conquiste, Pergola. La notizia dell'occupazione di Pergola nell'anno 1350 da parte di Malatesta Ungaro è anche in Amiani, Memorie istoriche, I, 275, ma non è attendibile: vds. L. NICOLETTI, Di Pergola e suoi dintorni, Pergola 1899, nota 3, pp. 154-155. In questi anni la situazione di Gubbio, che controllava anche la zona meridionale della nostra provincia (Serra S. Abbondio, Cantiano, Pergola e altri luoghi) era comunque confusa. Il 7 agosto 1350 la città umbra cadeva in potere di Giovanni di Cantuccio Gabrielli. Subito non riconobbero il nuovo regime Cantiano, Pergola, Monte Secco ed altri castelli. Pergola tra l'altro fu saccheggiata da Fra Moriale, di passaggio nel 1353 nella Marca, in lotta contro i Malatesta (Nicoletti, Pergola, pp. 151-152).

[11]Leonhard Ancona, p. 182: "Soltanto Fermo e Gentile da Mogliano, il signore che vi regnava, resistettero alla politica espansionistica dei Malatesta". In realtà anche tutta la zona interna della nostra provincia, tra Marca, Umbria e Romagna (Montefeltro, Urbino, Cagli e comunità limitrofe) sfuggiva al loro controllo.

[12]F. COGNASSO, I Visconti, Varese, 1972, pp. 203-207. Giovanni Visconti giunse ad un accomodamento con il papa, ottenendo il vicariato per Bologna per dodici anni al censuo annuo di 12.000 fiorini. Ma l'accordo lasciava isolata Firenze a fronteggiare l'espansionismo visconteo in Romagna.

[13]Cognasso, Visconti, p. 208.

[14]Franceschini, Montefeltro, p. 243.

[15]Franceschini, Malatesta, p. 114; Franceschini, Montefeltro, p. 243.

[16]Cognasso, Visconti, p. 210.

[17]L'elenco è riportato da L. DOMINICI, S. Agata Feltria illustrata, Novafeltria 1959, pp. 170-171.

[18]Franceschini, Montefeltro, p. 245; F.V. LOMBARDI, Mille anni di Medioevo, in AAVV, "Il Montefeltro", vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, a pag. 135.

[19]Franceschini, Malatesta, p. 116; G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. I, Fossombrone 1903, pp. 331-332; V. LANCIARINI, Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912 (ristampa anastatica, S. Angelo in Vado, 1988), p. 116.

[20]L. TONINI, Storia di Rimini, vol. IV, Rimini 1880, appendice di documenti, n. CX, pp. 179-184: Citazione di papa Innocenzo VI fatta a Malatesta e Galeotto de Malatesti perché si presentino al futuro concistoro a render ragione dell'occupazione di Rimini, ecc. - 4 luglio 1354.

[21]Leonhard, Ancona, p. 183; Franceschini, Malatesta, p. 163.

[22]Franeschini, Montefeltro, p. 259: "L'azione del Legato, assai difficile agli inizi, fu agevolata sia dalla scomparsa dell'arcivescovo Giovanni Visconti (5 ottobre 1534) e dalla crisi che attraversò lo Stato di Milano in conseguenza della successione dei tre signori al posto di uno (per qualche tempo venne meno ai signori romagnoli e marchigiani la protezione milanese), sia dall'interesse di Firenze a far sì che lo Stato della Chiesa si rafforzasse contro i Visconti".

[23]Nicoletti, Pergola, p. 156: Cantuccio Gabrielli fu costretto a lasciare il governo della città.

[24]Franceschini, Malatesta, p. 163.

[25]Tonini L., Rimini, appendice di documenti al vol. IV, n. CXII, pp. 186-195 (Capitoli per la futura pace firmati tra il card. Albornoz e Malatesta, sotto riserva dell'approvazione pontificia - 2 giugno 1355); n. CXV, pp. 197-200 (Bolla d'Innocenzo VI per la quale autorizza il cardinal Albornoz a concedere la città di Rimini ecc. in vicariato ai Malatesta - 20 giugno 1355); n. CXVIII, pp. 209-224 (Il cardinal Albornoz concede ai Malatesta in vicariato le Città di Rimini, Pesaro, Fano, Fossombrone - 8 luglio 1355).

[26]Franceschini, Malatesta, p. 164.

[27]Tonini, Rimini, appendice di documenti al vol. IV, n. CXXII, pp. 227-232 (Innocenzo VI concede a Malatesta e Galeotto in vicariato per sette anni e mezzo più terre e castelli del Riminese, di quel di Fano e di Fossombrone - 8 gennaio 1358). La proroga dei vicariati fu poi concessa in anticipo ai Malatesta il 14 febbraio 1363 (Tonini, Rimini, appendice di documenti al vol. IV, n. CXXXIII, pp. 251-254).

[28]Franceschini, Montefeltro, pp. 260-261.

[29]G. FRANCESCHINI, Documenti e regesti per servire alla storia dello Stato d'Urbino e dei conti di Montefeltro, vol. I (1202-1375), Urbino 1982, n. 171, pp. 173-176; Franceschini, Montefeltro, p. 261; Lanciarini, Tiferno, p. 279.

[30]I priori e il consiglio della città di Urbino eleggono ser Bartolomeo Homini quale sindaco e procuratore per presentarsi al legato Egidio Albornoz a dichiarare che la città di Urbino è di legittima pertinenza della Chiesa, prestare il debito giuramento di fedeltà e chiedere l'assoluzione delle censure ecclesiastiche il 27 giugno 1355 (Franceschini, Documenti, n. 172, pp. 176-181). Il giuramento viene effettuato l'8 luglio 1355 a Gubbio (Franceschini, Documenti, n. 173, pp. 181-187).

[31]"Il diritto cioè di disporre  delle milizie poste a presidio della città e delle fortezze e la facoltà di imporre gli oneri per la difesa, pur con le limitazioni previste dagli Statuti e dalle antiche consuetudini" (Franceschini, Montefeltro, p. 265).

[32]Franceschini, Documenti, n. 174, pp. 188-192. Franceschini, Montefeltro, pp. 263-265. Furono comunque esclusi dagli accordi i discendenti del conte Speranza di Montefeltro e, per la città di Cagli, Betto e Francesco dei Ciccardi. Il sindacato della città di Urbino circa la riammissione degli esuli in patria è del 17 dicembre 1357 (Franceschini, Documenti, n. 179, pp. 198-200). La custodia civitatis di Cagli fu rinnovata a Nolfo, Enrico e Feltrano dal cardinal Albornoz anche il 27 agosto 1359 (Franceschini, Documenti, n. 182, pp. 201-202).

[33]M. MARCUCCI, Le "Constitutiones Aegidianae" nella storiografia otto-novecentesca, tesi di laurea - facoltà di Giurisprudenza, Urbino, a.a. 1990-91, p. 15.

[34]Marcucci, Constitutiones, pp. 20-22. "Ai primi del Novecento furono rinvenuti, nei meandri degli archivi marchigiani, preziosi frammenti di testi legislativi (ripresi poi dalle Egidiane) contenuti in una raccolta (simile a quella del Legato) suddivisa in libri e ordinata in modo singolarmente somigliante alle Costituzioni stesse. E questa raccolta, denominata oggi come Liber Marchigianum, non datata ma presumibilmente venuta alla luce una quindicina di anni prima del Liber Constitutionum Sancte Martis Ecclesiae, aveva vigore solo in una provincia (Marca d'Ancona) e fu proprio il modello da cui atteinsero a piene mani le commissioni del Legato incaricate della redazione del codice; modello a cui furono portate modifiche ed aggiunte secondeo la volontà e le esigenze del porporato". Il testo  dovrebbe essere il Liber Constitutionum Marchiae Anconitanae promulgato da Bertand de Deaux nel 1336: vds. P. COLLIVA, Il Cardinale Albornoz. Lo stato della Chiesa. Le Constitutiones Aegidianae” (1353-1357), Bologna 1977, pp 169 ss.

[35]Dal punto di vista amministrativo, lo Stato veniva diviso in province o circoscrizioni (erano sei: Marca di Ancona, ducato di Spoleto, Romagna, Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, Campagna, Marittima, Benevento), affidate ad un rettore, che aveva la giurisdizione civile e penale e il potere-dovere della difesa del territorio a lui assegnato. In ogni provincia coesistevano città, terre e castra immediate subiectae accanto ad altre  mediate subiectae, cioè sottoposte all'amministrazione di vicari o di entità amministrativa direttamente dipendente dalla Santa Sede. Altri organi e figure (parlamento, presidati, tesoriere, notai...) differivano solo marginalmente dalle analoghe figure dell'amministrazione della Marca di Ancona del Due-Trecento.

[36]Marcucci, Constitutiones, p. 17.

[37]Cognasso, Visconti, p. 236.

[38]Cognasso, Visconti, pp. 236-237.

[39]Cognasso, Visconti, pp. 237-240.

[40]A. MAZZACCHERA, Cagli. Comune e Castelli, in D. Bischi e altri, "Catria e Nerone. Un itinerario da scoprire", Pesaro 1990, pp.  83-136, a pag. 98.

[41]Mazzacchera, Cagli, p. 99; A. TARDUCCI, Piobbico e i Brancaleoni, Cagli 1897, p. 189.

[42]G. FRANCESCHINI, Lo Stato d'Urbino dal tramonto della dominazione feudale all'inizio della Signoria, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie V, vol. IV (1941), pp. 1-55, a pag. 9. Nei primi mesi del 1359 i Montefeltro avevano dato ricetto e aiuti di viveri alla Gran Compagnia del Conte Lando, allora in rotta con la Chiesa; un atteggiamento troppo rigido del Legato avrebbe potuto portare i Montefeltro su posizioni antiecclesiastiche.

[43]Franceschini, Montefeltro, p. 267: "Il 9 febbraio 1359 il rettore mandato dal Legato a S. Agata Feltria si lagnava che i conti Nolfo, Enrico, Feltrano, Paolo e Buonconte impedissero l'esazione delle taglie a lui dovuto per le condanne pronunciate, asserendo i detti nobili che la terra e il rettorato di S. Agata non appartenevano in nessun modo alla Chiesa ma erano loro immediate pertinenza. Il 30 maggio dell'anno successivo Giovanni de' Levalossi da Reggio, podestà del Montefeltro per la Chiesa, citava al suo tribunale gli uomini e le comunità di S. Leo e S. Marino, Pietrarubbia, Montecopiolo e altre minori sotto l'accusa di favorire il dominio e la preminentia e la tirannide dei conti di Montefeltro, assumendo capitani e vicari ed officiali nelle terre della Chiesa".

[44]Franceschini, Montefeltro, p. 268: Niccolò era già morto nel 1348; Galasso e suo figlio Guido nel 1350. Ora muoiono Nolfo,  Buonconte (20 luglio 1363) e Federico di Nolfo (7 settembre 1363). Diventa capo della consorteria feudale Paolo, a cui si affiancano i nipoti Antonio, Nolfo e Galasso (figli di Federico). Il 30 settembre 1363 costoro otterranno la conferma della custodia civitatis di  Urbino  e suo distretto (Franceschini, Documenti, n. 190, pp. 217-221), a cui sarebbe seguita, l'anno successivo, quella di Cagli (Franceschini, Montefeltro, p. 268).

[45]F.V. LOMBARDI, La contea di Carpegna, Urbania 1977, pp. 72 e 85.

[46]G. FRANCESCHINI, I Brancaleoni di Castel Durante e tre prelati marchigiani alleati di Gian Galeazzo Visconti, in

"Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie VII- volume IV (1949), pp. 83-120, alle pagg. 86-87.

[47]Franceschini, I Brancaleoni, p. 87; Franceschini, Lo Stato d'Urbino, pp. 10-11.

[48]F.V. LOMBARDI, Il castello e la famiglia dei signori di Petrella Guidi, in "Studi Montefeltrani", 14, 1987, pp. 5-40, a pag. 34.

[49]Franceschini, I Brancaleoni, p. 87.

[50]Franceschini, Lo Stato d'Urbino, p. 11. Il 18 dicembre 1362 inoltre il Legato ordinava a Bisaccione Oliva di Piagnano di consegnare il castello di Petrella (già dei Faggiolani) al rettore della Massa Trabaria (vds. anche W. TOMMASOLI, Per una storia delle Signorie minori fra Marche e Romagna: i conti Oliva di Piandimeleto, in AAVV, "Il convento di Montefiorentino", S. Leo 1982, pp. 7-50, a pag. 14.)

[51]Per esser precisi l'ultima menzione di un qualche ruolo politico è di qualche anno dopo: il 29 settembre 1378, durante la guerra degli Otto Santi, Nicolò e Francesco di Neri della Faggiola cercarono di occupare Mercatello (allora possesso tifernate) ma ne furono cacciati qualche giorno dopo dai Brancaleoni di Casteldurante (Franceschini, I Brancaleoni, p. 92).

[52]Franceschini, Montefeltro, p. 269. La compagnia  di Ambrogio Visconti, agli ordini di un figlio illegittimo di Bernabò, scorazzava per l'Italia centrale con grave sconcerto del Legato e del Papato, che vedevano dietro di essa, come mente occulta, il signore di Milano, mentre costui, almeno a parole, ne prendeva le distanze. Nell'ottobre 1365 era nel Senese e nell'Aretino e, nella primavera del 1366, sotto Perugia, dove appoggiava un moto di rivolta contro il Legato. Sconfitta dalle forze ecclesiastiche, si allontanò dall'Italia centrale nell'ottobre 1366 (Cognasso, Visconti, p. 243; Franceschini, Montefeltro, p. 285).

[53]Franceschini, Lo Stato d'Urbino, p. 13.

[54]Lettera di Paolo da Montefeltro a Guido, Ludovico e Francesco Gonzaga del 29 settembre 1366 in Franceschini, Documenti, n. 208, pp. 229-230.

[55]Franceschini, Montefeltro, p. 269.

[56]Lombardi, Mille anni, p. 135.

[57]Franceschini, Malatesta, pp. 130-131.

[58]Leonhard, Ancona, p. 191: "Già il primo successore di Egidio Albornoz nella funzione politica di rettore per la marca di Ancona, Ademaro di Agrifolio, entrato in carica il 27 settembre 1367, tentò poco dopo l'entrata in carica di arricchirsi personalmente mediante illecite imposizioni fiscali, come sappiamo da una monitoria di papa Urbano V, in data 20 ottobre 1367".

[59]Franceschini, Malatesta, p. 168; Franceschini, Montefeltro, p. 288.

[60]Franceschini, Montefeltro, p. 287; Franceschini, Lo Stato di Urbino, p. 21. Vds. in particolare lettera di Paolo da Montefeltro ai signori di Mantova datata 5 dicembre 1367 in Franceschini, Documenti, n. 223, pag. 237.

[61]Franceschini, Montefeltro, p. 288.

[62]Franceschini, Montefeltro, p. 289.

[63]Franceschini, Montefeltro, pp. 288-289. Il cardinal Anglico lasciava scritto al suo successore: "In quelle parti con la forza delle armi strappai due castelli ad un ribelle conte di Montefeltro, cioé quello di Pietrarubbia che è un castello inespugnabile, e quello di Pieramaura" (vds. approfondimento in fondo al presente capitolo).

[64]Franceschini, Montefeltro, p. 289.

[65]Franceschini, Montefeltro, p. 291.

[66]Franceschini, Malatesta, pp. 139, 169, 179.

[67]Franceschini, Malatesta, pp. 268-269.