Capitolo XIII

 

Montefeltro e Malatesta

 

I primi anni di Guidantonio.

"Assai opportuno si dimostrò nel tempo l'avvio dato dal conte Antonio al figlio, mettendolo a parte del governo dello Stato, ed affidando a lui la somma degli affari ordinari, mentre egli era a Milano al servizio del Duca: assai opportuno perché lo Stato di Urbino non risentì quasi affatto dello sconquasso che seguì nell'Italia superiore alla morte del potentissimo Duca..."[1]. Subito giunse anche l'investitura del pontefice, per le terre già state del padre, il 22 maggio 1404[2].

Ma gli anni di pace ben presto finirono. In occasione della campagna di Ladislao, re di Napoli, in Italia centrale si formò un folto raggruppamento di signori filonapoletani[3], tra cui ben presto emerse Guidantonio, che ottenne da Ladislao nel luglio 1409 la carica di Gran Conestabile del Regno[4]. Si combattè su vari fronti e fu marginalmente interessata dalla guerra anche il territorio dello Stato di Urbino: il condottiero Braccio da Montone occupò, nel novembre di quell'anno, il castello di Montegherardo, in territorio eugubino: sarebbe stato recuperato dai feltreschi solo l'anno successivo[5].

La guerra proseguì nei successivi anni: nel 1410 uno dei principali fronti fu quello romagnolo, in cui operò Guidantonio che, verso la metà di gennaio, si impadronì per breve periodo di Forlimpopoli[6]. Finalmente fu firmata la pace tra Giovanni XXIII (papa eletto dal concilio di Pisa) e re Ladislao il 17 giugno 1412[7]; poco prima di questa pacificazione Guidantonio era entrato al servizio del papa pisano con 400 cavalieri e 200 fanti[8].

Nel frattempo era entrata nell’urbita feltresca anche la Vaccareccia (zona di Apecchio, in diocesi di Città di Castello, rivendicata dalla città tifernate ma in mano da alcuni decenni agli Ubaldini, in perenne lotta per il possesso della zona con il comune umbro). Dal 1406 al 1409, in seguito ad una tregua stipulata con la mediazione di Firenze, commissari fiorentini avevano governato Apecchio, il centro principale della zona: in mancanza di accordo tra le parti, la città toscana avrebbe dovuto formulare, entro i  primi quattro mesi del 1410, il lodo di pace per l’attribuzione definitiva del luogo. Ma prima che costoro adempissero quanto sottoscritto (a favore presumibilmente di Città di Castello), gli Ubaldini fecero atto solenne di accomandigia (raccomandazione) al conte Guidantonio di Urbino (14 marzo 1410), inserendo tra le loro pertinenze anche il castello di Apecchio, che, da questo momento, entrò stabilmente nell’area di influenza urbinate[9].

Nel 1413  si accese una guerricciola nella nostra zona dato che Paolo Orsini, capitano pontificio, intraprese una campagna contro i Malatesta, sostenitori di Gregorio XII (il papa romano): occupò e perse in breve tempo Sassoferrato, trovando rifugio ad Urbino[10]. Guidantonio tenne comunque, in quell'occasione e anche successivamente, un comportamento defilato e prudente e non si impegnò più di tanto tra i contendenti. Il  6 agosto 1414, poi, moriva Ladislao re di Napoli e questo regno entrava velocemente in crisi, cessando di essere uno degli attori principali della vita politica italiana[11].

 

Deposizione di Pier Francesco Brancaleone (1411) e spartizione dei domini (1413).

In quegli anni era tesa la situazione all'interno della famiglia Brancaleoni: Pier Francesco, signore di Urbania e di vari altri luoghi dell'alta valle del Metauro, fedele alleato dei Malatesta, accentrando nelle sue mani tutto il potere aveva scontentato altri esponenti della famiglia. Fu pertanto organizzata una congiura e il signore fu deposto ed imprigionato[12]. Due anni Galeotto, Alberico (figli del fu Niccolò Filippo) e Bartolomeo (figlio del fu Gentile)[13] decisero di spartirsi lo Stato e diedero vita a due diversi rami della casata: ai primi toccarono Casteldurante, Sassocorvaro, Montelocco, S. Croce e Pirlo; al secondo S. Angelo in Vado, Mercatello e i castelli minori di Massa Trabaria[14]. La divisione fu approvata da papa Giovanni XXIII[15].

 

I Malatesta (1414-16)

Dopo la morte di Ladislao di Napoli non cessarono le lotte tra i vari papi e tra i loro aderenti. Carlo Malatesta, al servizio di Gregorio XII, dovette scontrarsi in più occasioni, negli anni 1415-1416 con il condottiero Braccio da Montone, che lo sconfisse e lo fece prigioniero il 12 luglio 1416, dopo la battaglia di San Egidio (presso Perugia)[16]. Approfittarono della prigionia di Carlo alcuni castelli del Vicariato per ribellarsi, ma il loro tentativo fu subito soffocato[17]. Venne comunque presto liberato, dopo aver pagato un ingente riscatto (80.000 ducati, di cui 60.000 in contanti), e la situazione di lì a poco si normalizzò.

Nel frattempo era morto, il 20 settembre 1416, Andrea Malatesta e il suo dominio era passato ai fratelli Carlo e Pandolfo e ai Malatesta-Pesaro (questi ultimi in particolare ebbero Fossombrone)[18].

Un tentativo di un capitano di ventura del tempo al servizio dei Malatesta, Martino Manfredi da Faenza, di impossessarsi di alcuni luoghi con il tradimento, si concluse, il 22 ottobre 1417, con la sua decapitazione a Fano[19].

 

Guidantonio al servizio di papa Martino V.

Finalmente lo scisma d'Occidente, con il concilio di Costanza, volgeva alla conclusione e a Gregorio XII e ai vari antipapi subentrava un papa unico, eletto l'11 novembre 1417 e consacrato il 21 dello stesso mese: Martino V, al secolo Ottone Colonna.

Tra i suoi obiettivi quello di riportare ordine nello Stato della Chiesa, dove la situazione era particolarmente critica sia in Romagna, che quasi completamente sfuggiva al potere della Curia[20], sia in Umbria, dove il condottiero Braccio da Montone aveva formato un ampio dominio personale[21]. Per ridimensionare il potere di Braccio il Papa si servì delle armi di Guidantonio, che in Umbria aveva la signoria di Gubbio e Assisi[22]: costui venne nominato il 7 gennaio 1419 rettore del Ducato di Spoleto[23], con il compito di riportarvi l'ordine.

Ma gli avvenimenti presero una piega inaspettata per i Feltreschi: nel marzo, dopo aver tentato inutilmente di occupare Gubbio, i Bracceschi entravano ad Assisi[24]. Dopo una tregua concordata tra le parti, che suscitò per altro il risentimento del Papa[25], la guerra riprese: nell'ottobre Assisi era definitivamente persa per il conte di Urbino[26] mentre un tentativo braccesco di impadronirsi di Gubbio nel gennaio 1420 si concluse con un insuccesso[27]. La pace tra il papa e Braccio fu firmata, con la mediazione di Firenze, il 26 febbraio 1420 (il condottiero perugino otteneva in vicariato quasi tutte le città e le terre che controllava)[28]; quella con il conte di Urbino, firmata il 14 marzo dello stesso anno sanciva per Guidantonio la perdita definitiva della città di san Francesco[29].

Ben magro compenso a tale perdita fu il diretto dominio su Frontone, castello situato ai confini dei territori di Cagli, Pergola e Gubbio, tenuto dalla famiglia Gabrielli dal 1291. Cecciolo e Gabriele Gabrielli infatti avevano aiutato Braccio da Montone nella fallita impresa contro Gubbio: il primo venne impiccato il 26 giugno 1420, il secondo ebbe salva la vita, ma dovette cedere il castello a Guidantonio[30].

 

La guerra tra Milano e Firenze e le ripercussioni nella Provincia (1423-1428)

Dal 1423 si deteriorò la situazione politica in Italia centro-settentrionale: le truppe del duca di Milano, Filippo Maria Visconti, occuparono, nel maggio, la città di Forlì[31]. Ciò suscitò la preoccupazione di Firenze, al cui servizio erano i Malatesta (che da pochi anni avevano perso i loro domini su Bergamo e Brescia).

Nella prima metà di settembre dello stesso anno Pandolfo Malatesta, che cercava di occupare Forlì, fu battuto dai viscontei, che occuparono Imola[32]. Costoro inflissero una seconda, e decisiva, sconfitta ai loro avversari il 28 luglio 1424 a Zagonara, presso Lugo: Carlo fu fatto prigioniero, l'esercito ducale dilagò in Italia centrale (Arezzo e Cortona richiesero la protezione di Filippo Maria Visconti)[33].

Nell'anno seguente compagnie viscontee batterono nell'ottobre 1425 i Fiorentini ad Anghiari (9 ottobre) e anche, ai confini della nostra provincia, guidate dal conte Francesco Sforza e da Fabrizio da Capua, alla  Faggiuola (17 ottobre)[34].

A questo punto però, preoccupata per la situazione nell'Italia centro-settentrionale, Venezia entrò in guerra a fianco dei Fiorentini: nel marzo i Veneziani conquistavano Brescia. Nell'agosto aderì alla lega antiviscontea anche il duca di Savoia[35]. Dopo la vittoria veneziana a Maclodio (12 ottobre 1426) la guerra continuò stancamente per altri due anni: solo con la pace di Ferrara (18 aprile 1428), che segnava l'acquisto di Bergamo e Brescia da parte di Venezia e la rinuncia milanese ad intromettersi negli affari di Romagna e Toscana, si giunse alla composizione del conflitto[36].

Le operazioni belliche interessarono marginalmente anche la nostra Provincia.

Sceso dalla Romagna nel Pesarese, il comandante dell'esercito ducale vittorioso a Zagonara, Angelo della Pergola, attaccò, il 24 agosto 1424, il castello di Gradara, roccaforte dei Malatesta di Pesaro, in cui erano Galeazzo, figlio di Malatesta "dei Sonetti", e sua moglie Battista di Montefeltro. Furono anche saccheggiati i castelli vicini[37]. I Malatesta di Pesaro, per altro non aderenti alla coalizione antiviscontea, furono costretti a piegarsi e spedire ambasciatori al Duca di Milano: le milizie viscontee si astennero dalle restanti terre dei Malatesta e da parte del signore di Pesaro vennero sottoscritti conventiones et capitula, in base ai quali entrava al servizio di Filippo Maria Visconti[38].

Dopo Zagonara, operazioni minori interessarono anche il Montefeltro che era in gran parte stato occupato dai Malatesta di Rimini tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento[39]. Guidantonio, conte di Urbino, avendo a disposizione milizie assoldate di recente dal papa per riaffermare il potere della Chiesa sui domini di Braccio da Montone (che nel frattempo era morto, il 5 giugno 1424)[40], le utilizzò occupando la maggior parte dei castelli montefeltrani, su cui vantava certi diritti[41].

Quando ritornò dalla prigionia Carlo Malatesta, il 22 gennaio 1425, subito vennero intraprese trattative per la restituzione delle terre: Guidantonio sosteneva che l'occupazione era stata effettuata per impedire danni da parte di terzi e che per fare questa aveva affrontato delle spese che gli dovevano essere rimborsate. Seguì solenne pacificazione tra i due con la mediazione del papa, firmata il 30 giugno 1425 e convalidata da bolla papale del 14 luglio[42].

I castelli furono restituito ai Malatesta, tranne Pietrarubbia, Castellaccia e Penna Billi, sulla cui proprietà avrebbe deciso il Papa[43].

Nell'ottobre 1425 i Fiorentini furono battuti, come già detto, il 9 ottobre ad Anghiari e, il 17 ottobre, dalle milizie viscontee guidate dal conte Francesco Sforza e da Fabrizio da Capua, a  Faggiuola. La vittoria fece cambiare bandiera a Guidantonio che abbandonò l’alleanza di Firenze ed si indusse a firmare una lega con il duca di Milano[44]. Guidantonio ritornò alla tradizionale alleanza con la città toscana solo con la pace di Ferrara.

La morte di Braccio e la presenza di truppe viscontee nella Marca avevano reso la situazione molto fluida: ne approfittò ancora una volta Guidantonio per accrescere i territori a lui soggetti impadronendosi, nel gennaio 1426, di Montalboddo, già possesso braccesco, che l'aveva tolta, nel 1420 ai Malatesta. Con la mediazione del pontefice la crisi scoppiata per tale impresa tra Montefeltro e Malatesta fu presto superata e la città rimase dominio feltresco fino al 1443[45].

 

I Montefeltro a Casteldurante

Approfittando della crisi dei Malatesta, il conte di Urbino riuscì ad inglobare nei suoi domini anche l'importante terra di Casteldurante, grazie anche a papa Martino V (i rapporti tra il conte di Urbino e il Sommo Pontefice erano ottimi dal momento che il primo, restato vedovo nel settembre 1423, si era risposato il 23 gennaio 1424 con Caterina Colonna, nipote del secondo)[46].

Il 17 febbraio 1424 fu intimato ai Brancaleoni, Alberico, Galeotto e Bartolomeo, di presentarsi presso il tesoriere generale della Marca Anconitana per giustificare il mancato pagamento del censo da loro dovuto per la concessione del vicariato[47]. Non essendosi costoro presentati, il papa ordinò a Guidantonio di occupare Casteldurante, cosa che costui fece tra la fine di agosto e l'inizio di settembre dello stesso anno[48]. Seguì quindi la concessione di vicariato di Castel Durante e delle altre terre soggette ai Brancaleoni (Sassocorvaro, Montelocco, Pirlo, S. Croce e altri castelli) in data 10 gennaio 1426[49].

Guidantonio cercò diraggiungere un compromesso con i Brancaleoni e, se Castel Durante passò sotto il controllo del Conte di Urbino, rimasero ai vecchi signori un gruppo di castelli meno importanti (Sassocorvaro, Lunano, Montelocco), nonché, all'altro ramo della famiglia, lo Stato di Mercatello[50].

Il ramo ex durantino fu poi spossessato dei suoi possedimenti nel 1430, in seguito alla scoperta di una congiura per riprendere il potere a Casteldurante nel dicembre 1429: Guidantonio con seicento fanti andò contro  i Brancaleoni e li privò dei  tre castelli sopra menzionati[51].

 

Una nuova generazione di signori a Rimini e Pesaro

Negli anni 1427-1429 morirono Pandolfo, Carlo e Malatesta dei Sonetti e pertanto una nuova generazione di signori subentrò ai protagonisti di tante battaglie nell'Italia del Tre-Quattrocento.

Pandolfo Malatesta, già signore di Brescia e Bergamo, oltre che di Fano e altre terre, morì il 3 ottobre 1427[52]. I suoi possessi passarono al fratello Carlo che, non avendo discendenti, si preoccupò di far legittimare dal papa i tre figli naturali di Pandolfo (Galeazzo Roberto, Sigismondo Pandolfo, Domenico) e abilitarli alla successione dei domini malatestiani[53].

Carlo morì il 13 settembre 1429[54], lasciando tutti i suoi domini ai tre nipoti, che vennero subito gridati signori di Rimini e delle altre città, terre e castelli che Carlo dominava. Ma subito i Malatesta di Pesaro promossero una causa in Curia contro i tre e papa Martino V rifiutò di concedere l'investitura su tutte le terre già date in vicariato a Carlo (in particolare era delicata la situazione dei domini umbri della famiglia, che la chiesa non riconosceva; la situazione non era particolarmente tranquillizzante anche per il fatto che Carlo Malatesta-Pesaro, figlio di Malatesta "dei Sonetti", aveva spostato Vittoria Colonna, nipote di Martino V)[55].

Due mesi dopo però, il 19 dicembre 1429[56], moriva anche Malatesta dei Sonetti, lasciando la signoria di Pesaro, Fossombrone e altre località minori ai tre figli (Carlo, Galeazzo e Pandolfo): la situazione era del tutto aperta.

Si giunse finalmente ad un compromesso e i tre Malatesta-Rimini consegnano il 5 agosto 1430, dopo mesi di tensione e qualche scorreria effettuata  nel Riminese da  forze ufficialmente al servizio del Concilio di Basilea (ma in realtà da Pesaresi ed Urbinati), buona parte delle città marchigiane, venendo riconfermati dal papa nella signoria di Rimini, Cesena, Fano e parte del Montefeltro[57]. Di Senigallia sarebbe stato poi investito, sempre nel 1430, Carlo Malatesta-Pesaro, nipote del papa[58].

La morte di papa Martino V, avvenuta il 20 febbraio 1431 (a cui subentrò, nel marzo, Eugenio IV, nipote di Gregorio XII, di cui i Malatesta di Rimini erano stati fedeli seguaci), fu un grave colpo sia per i Malatesta di Pesaro sia per Guidantonio, che perdevano un potente protettore. Il nuovo papa inoltre era assai poco benevolo nei confronti dei Colonna, che avevano avuto considerevoli vantaggi dal pontefice precedente, e questa diffidenza (o, anche, ostilità) coinvolgeva anche le due casate marchigiane, entrambe imparentate con la potente famiglia romana.

 

Le rivolte del 1431

Nel 1431 i Malatesta dei due rami di Rimini e Pesaro dovettero affrontare le ribellioni in tutte e quattro le città principali dei loro domini: Maggio (1431) - Fuorono alcune ribellioni et combustione de libri in Arimino, Pesaro, Fano, Fossombrone, et fuorono remossi de Rimini Giohanne de Lamberto e Lunardo Rovello[59].

A Rimini l'insurrezione, organizzata da un parente dei signori, Giovanni di Ramberto Malatesta, presumibilmente d'accordo con i Malatesta-Pesaro, abortì sul nascere anche perché il popolo parteggiò apertamente per i tre figli di Pandolfo: il 5 maggio i congiurati tentano di occupare la città ma il 10, quando ritornò in città Sigismondo Pandolfo, che era andato a Cesena a chiedere aiuti per reprimere la rivolta, vide che i suoi fratelli ne avevano il pieno controllo; contemporaneamente era alle porte di Rimini anche Carlo Malatesta-Pesaro, che cercava evidentemente di pescare nel torbido, ma che dovette tornare indietro senza aver ottenuto alcun vantaggio. Il 19 maggio furono infine esiliati i personaggi principali coinvolti nei disordini[60].

Più grave e sanguinosa l'insurrezione di Fano, avvenuta il 3 dicembre 1431: la rivolta era capeggiata da don Matteo Buratelli di Cuccurano, priore della chiesa di S. Antonio, che guidò i contadini del fanese esausti per le tasse e il malgoverno[61]. Negli scontri fu gravemente ferito lo stesso Sigismondo Pandolfo e furono uccisi alcuni suoi potenti sostenitori: il conte Giovanni di Carpegna, Guido Castracane di Castelleone, Guido di Montevecchio (luogotenente), Ungaro degli Atti di Sassoferrato (podestà)[62].

Intervenne però nella stessa giornata Carlo Malatesta-Pesaro che, bisognoso anch'egli di sostegno per la rivolta di Pesaro (vds. infra), dette in tale occasione una mano ai parenti riminesi. Ne approfittarono Sigismondo Pandolfo e i suoi seguaci per rifugiarsi nella Rocca. Il giorno successivo furono inviati da Rimini nutriti rinforzi per riprendere il controllo della città. Il Buratelli fu arrestato e il moto sanguinosamente represso; il sacerdote fanese sarebbe stato impiccato a Rimini il 22 dicembre dello stesso anno[63].

L'anno successivo morì, il 10 ottobre, dopo appena due anni di signoria, Galeotto Roberto: gli subentrarono i fratelli che, nel 1433, divisero lo Stato: Sigismondo Pandolfo ebbe Rimini, Fano, Vicariato di Mondavio e castelli del Montefeltro; Domenico Malatesta ebbe Cesena e località minori di Romagna (Bertinoro, Meldola, Sarsina, Roncofreddo), più il piviere di Sestino[64].

"Se dei tumulti procurati in Rimini, in Cesena, ed in Fano, furono istigatori i Signori di Pesaro, come è dato con fondamento a tenere, ricevettero poi essi in casa propria la mercede che era loro dovuta"[65]. Infatti nello stesso 1431 i Malatesta di Pesaro dovettero affrontare la più grave difficoltà a loro presentatasi: la ribellione dei loro domini e la guerra contro la Santa Sede.

Il 25 maggio si ribellava Fossombrone, i cui abitanti volevano darsi a Galeotto Malatesta; costui non li accettò e li esortò ad obbedire ai loro signori, che ripresero ben presto il controllo della situazione[66].

La crisi sembrava scongiurata, ma ben più grave tumulti scoppiarono il 2 giugno 1431 a Pesaro; perso il controllo della situazione, il 16 dello stesso mese, i signori erano costretti ad abbandonare la città: Galeazzo si recò a Venezia a chiedere soccorsi, quindi ad Urbino; Carlo a Fossombrone; Pandolfo a Gradara. In città entrarono le truppe della Chiesa, guidate da Sante Scariglia (successivamente sarebbe entrato anche Astorgio, vescovo di Ancona, luogotenente generale della Marca per conto di Eugenio IV): era guerra aperta contro i tre Malatesta di Pesaro[67].

Costoro comunque ebbero subito l'aiuto del conte di Urbino, loro congiunto, e del duca di Milano, che si proclamava protettore dei padri del Concilio di Basilea, in urto con il papa: il Visconti spedì pertanto alcune milizie, sotto la guida di Bernardino degli Ubaldini, in loro aiuto[68].

In una prima fase le genti della Chiesa tolsero ai Malatesta Senigallia, Montemarciano e altri luoghi, quindi l'iniziativa passò ai loro avversari: furono riconquistati i castelli del contado di Pesaro[69] e tolte alla Chiesa diverse terre[70].

Il conflitto minacciò di allargarsi pericolosamente anche al Montefeltro[71] ma si giunse, nel febbraio 1433, alla pace tra Guidantonio e la Curia e all'abbandono da parte delle milizie ecclesiastiche di Pesaro che, fino alla stipulazione del trattato con i precedenti signori, sarebbe stata amministrata dalle armi veneziani. Fatto l'accordo tra Chiesa e Malatesta-Pesaro, la città fu a loro restituita: il 24 settembre Carlo entrò a Pesaro e si vendicò sanguinosamente di coloro che l'avevano costretto alla fuga. Gradara veniva però "temporaneamente" affidata a Sigismondo Pandolfo di Rimini[72].



[1]G. FRANCESCHINI,  I Montefeltro, Varese 1970, p. 365

[2]Franceschini, Montefeltro, p. 366.

[3]Franceschini, Montefeltro, p. 368: Tarlati di Pietramala, Malatesta col loro possesso di Borgo San Sepolcro, Ubaldini, Chiavelli di Fabriano, Varano di Camerino.

[4]ANONIMO, Cronachetta d'Urbino (1404-1578), a cura di G. BACCINI in "Le Marche Illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti, anno I, Fano 1902, pp. 61-62; 119-120; 134-137; 155-157, a pag. 61. Nella prima parte della Cronachetta (1404-1444) recentemente edita da G. SCATENA (Urbino, 1975), a p. 14. Vds. anche Franceschini, Montefeltro, p. 369.

[5]Anonimo, Cronachetta, p. 61 Baccini (= p. 14 Scatena): 18 Novembre 1409 - Braccio et li altri usciti di Peroscia occuparono il Castello di Monteghirardo et die prima octobris 1410 il S. riebbe la possessione di quello. Vds. anche Franceschini, Montefeltro, p. 371.

[6]Guidantonio si spostò quindi nel Regno dove, nell'esercito regio, combattè contro le truppe angioine.

[7]Franceschini, Montefeltro, pp. 371-373.

[8]A. THEINER, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Roma 1862, nr. 128, pagg. 187-193: Capitula et pacta etc. quibus Guido Antonius comes Urbini cum CCCC equitibus et CC peditibus ad stipendia pontificis (Giovanni XXIII) venire se obligat: 27 maggio 1412.

[9]C. BERLIOCCHI, Apecchio tra Conti, Duchi e Prelati¸ s.l. (Petruzzi Editore), 1992,  pp. 106-109. Bernardino, figlio di Ottaviano I, signore di Apecchio e di altri castelli della zona, avrebbe sposato il 9 ottobre 1420 Aura, figlia naturale di Guidantonio di Montefeltro (ivi, p. 110).

[10]Anonimo, Cronachetta, p. 61 Baccini (= p. 15 Scatena).

[11]Franceschini, Montefeltro, pp. 375-377.

[12]V. LANCIARINI, Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912 (ristampa anastatica, S. Angelo in Vado, 1988),  p. 362.

[13]Lanciarini, Tiferno, p. 374. Erano nel frattempo morti Luigi ed Ermanno dei Brancaleoni il 6 novembre e il 28 dicembre 1412.

[14]Lanciarini, Tiferno, pp. 301 e 373-4.

[15]Lanciarini, Tiferno, p. 375.

[16]Anonimo, Cronachetta, pp. 61-62 Baccini (= pp. 18-19 Scatena); Franceschini, Montefeltro, p. 378; G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, p. 233.

[17]P.M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, vol. I, pp. 341-342 (ribellione di Mondolfo e S. Costanzo). Riportò l'ordine  Niccolò Mauruzi da Tolentino, che poi fu investito di Stacciola.

[18]G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. I, Fossombrone 1903, II, p. 345

[19]Anonimo, Cronachetta, p. 62 Baccini (= p. 21Scatena).

[20]Il 15 maggio 1419 Carlo Malatesta fu nominato rettore di Romagna: Lanciarini, Tiferno, p. 378; Theiner, Codex diplomaticus, III, nr. 167, pagg. 239-240

[21]Nella primavera del 1418 Braccio, in rotta con i Malatesta per una taglia non pagata, occupò una parte dello Stato di Fano. Anche Pergola fu espugnata, messa al sacco, tenuta da un rappresentante di Braccio (probabilmente per il solo settembre del 1418) e recuperata dai Malatesta (L. NICOLETTI, Di Pergola e suoi dintorni, Pergola 1899, p. 164).

[22]Assisi era stata occupata da Guidantonio nell'agosto 1408: vds Anonimo, Cronachetta, p. 61 Baccini (= p. 14 Scatena).

[23]Theiner, Codex diplomaticus, III, nr. 162, pagg. 233-234. Vds. anche  Anonimo, Cronachetta, p. 62 Baccini (= p. 22 Scatena) e Franceschini, Montefeltro, p. 379.

[24]Anonimo, Cronachetta, p. 62 Baccini (= p. 22 Scatena): 6 marzo 1419 - Braccio entrò in Ugubio et tolse Assesi.

[25]Theiner, Codex diplomaticus, III, nr. 170, pag. 242.

[26]Anonimo, Cronachetta, p. 62 (= p. 23 Scatena): 17 ottobre - Braccio ritolse Assesi al Signor nostro, et fu remosso et expulso el magnifico Berardino. Vds. anche, nell'edizione di Giovanni Scatena, la nota 29 a pag. 23: "Guidantonio, allorché Braccio indebolito dalla defezione del Tartaglia, era impegnato nel Viterbese dallo Sforza al servizio di Martino V, con l'aiuto di un frate che apriva una piccola porta della cinta muraria situata nei pressi del convento di San Francesco, introduceva di soppiatto 2000 uomini nella città e riconquistata Assisi (14.10.1419). La reazione di Braccio non si fece attendere. Postosi sulla difensiva nel fronte sud, investe Assisi con un gran numero di armati e la espugna dopo furiosi combattimenti. Bernardino della Carda che comandava il presidio feltresco potè fuggire con i suoi lungo la vallata del Chiascio. Comunque Braccio fece 700 prigionieri. Gli Assisiati della fazione feltresca vennero in gran numero decapitati, i fuoriusciti Perugini, ricondotti in quella città, subirono la stessa sorte. Il frate che aveva favorito l'entrata degli uomini del Montefeltro, venne gettato dalla finestra più alta del Palazzo del Podestà e lasciato a monito per giorni sul selciato sottostante".

[27]Anonimo, Cronachetta, p. 62 Baccini (= p. 23 Scatena): 28 Dicembre (1419) - Braccio expugnò la Serra de Partuccio contado de Ugubio. Ivi, p. 62: 9 gennaio 1420 - Braccio cavalcò con 500 cavalli ad Ugubio et occupò li borghi de le porte del piano.

[28]Enciclopedia Italiana, VII, p. 649. Avrebbe poi occupato, il 3 settembre 1422, anche Città di Castello (Anonimo, Cronachetta, p. 62 Baccini (= p. 26 Scatena).

[29]Anonimo, Cronachetta, p. 62 Baccini (= pp. 23-24 Scatena); Franceschini, Montefeltro, pp. 380-381.

[30]Anonimo, Cronachetta, p. 62 Baccini (= p. 24 Scatena): 19 giugno (1420) - El nostro Signore fe pigliare a Ceciolo de li Gabrielli et alcuni suoi seguaci ribaldi per mano de M. Bernardino et allora in mediate riebbe la possessione de la roccha de Frontoni per mano de Gabriello suo fratello, et questo perché tentavano multo peiora; Fr 58.

[31]F. COGNASSO, I Visconti, Varese, 1972, p. 409; Franceschini, Malatesta, p. 238.

[32]Cognasso, Visconti, pp.  410-412; Franceschini, Malatesta, p. 238.

[33]Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 29 Scatena); Cognasso, Visconti, p. 412; Franceschini, Montefeltro, p. 388; Franceschini, Malatesta, p. 239.

[34]Cognasso, Visconti, p. 415; Franceschini, Montefeltro, p. 390.

[35]Cognasso, Visconti, pp. 415-418.

[36]Cognasso, Visconti, pp. 421-424.

[37]Angelo della Pergola, comandante dell'esercito del Duca, Gradaram pergit, Castellum Malatestae Pisauri ejus ore opulentissimum. Ibi a filio Domini (Galeazzo, figlio di Malatesta, signore di Pesaro) exceptus, ut intra muros extitit, manu prehensum captivum nuntiat Philippi; inde ceteri irruptione ingressi momento Castellum diripiunt. Fama exiit partim Carolum ita instituisse; partim culpatum, quod cum Florentinis foedera, ac societatem tractaret. Magna ejus Castelli, et gravis rapina; nec rebus, aut corporibus abstinuere; ubique praeda, ubique vincula, ut stupra, omniaque infanda taceam (Storia Fr. Andreae Billii, pubblicata in Rerum Italicarum Scriptores, vol. XIX, riportata da A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Gradara, terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775, p. 76.

[38]Olivieri, Gradara, p. 776; A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 3-54, a pag. 44.

[39]I Malatesta erano più volte intervenuti, nel corso del Trecento, nel Montefeltro che, estendendosi in gran parte nell'alta valle del Marecchia, era il retroterra naturale di Rimini (nel 1380 era in loro potere, o da loro strettamente controllata, la città di San Leo; varie famiglie feudali della zona - i Carpegna, gli Oliva di Piandimeleto, i nobili di Maiolo e di Montetiffi - gravitavano sulla città romagnola. Nei primi anni del Quattrocento la loro politica nella zona si era fatta più incisiva ed erano stati occupati direttamente vari luoghi (importante, nel 1404, la presa di Pennabilli, che si era ribellatasi al vicario pontificio: le milizie di Carlo Malatesta ristabilirono l'ordine per la Chiesa e, da quel momento, fu presidiata da truppe malatestiane) (F.V. LOMBARDI, Mille anni di Medioevo, in AAVV, "Il Montefeltro", vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, alle pagg. 136-137).

[40]17 giugno 1424: Comiti Montisferetri ut castra etc, quae quondam Braccius de Fortebracciis in ducato Spoletanus et marchia Anconitana invaserat, ecclesiae recuperet (Theiner, Codex diplomaticus, III, n. 225, pag. 287.

[41]Chronicon Ariminense ab anno circiter MCLXXXVIII usque ad annum MCCCLXXXV auctore Anonymo, ac deinde continuatum per alterum Anonymum usque ad annum MCCCLII, in "Rerum Italicarum Scriptores", Milano 1729, tomo XV, colonne 889-967, col 928 b: il conte di Urbino, vedendo el paese in rotta, si tolse e prese la maggior parte delle Castelle di Monte Feltro le quale teneva el predetto signore Carlo, et anco tolse Castel Durante (vds. infra) perché la maggior parte de' principali uomini del detto castello con molti balestrieri erano in Arimino ala difesa dela Terra. Il quale campo fu del MCCCCXXIV a dì XXIV d'Agosto.

[42]Anonimo, Chronicon Ariminense, 928 b; Theiner, Codex diplomaticus, III, nr. 232, pagg. 291-293.

[43]Franceschini, Montefeltro, p. 389.

[44]Franceschini, Montefeltro, p. 392: "Il 26 gennaio 1426 Filippo Maria mandava un suo plenipotenziario, Antonello Arcimboldi, a tendere i capitoli di una lega, in virtù della quale il conte d'Urbino diveniva alleato e raccomandato del duca".

[45]Franceschini, Montefeltro, pp. 390-1

[46]Franceschini, Montefeltro, p. 386; W. TOMMASOLI, La vita di Federico da Montefeltro 1422-1482, Urbino 1978, p. 8; Lanciarini, Tiferno, p. 380. Da notare che era già nato a Guidantonio, il 7 giugno 1422, un figlio naturale, Federico, futuro conte di Urbino, se costui non era, come si diceva a Rimini e come è riportato dal Chronicon Ariminense, un figlio di Bernardino degli Ubaldini della Carda e di una figlia naturale di Guidantonio (vds. anche P. PALTRONI, Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico Duca d'Urbino, a cura di Tommasoli W., Urbino 1966, p. 42: Guidantonio lasciò uno figliolo naturale chiamato conte Federigo, el qual per multi si volse dire non esser suo figliolo ma nepote suo e figliolo de una sua figliola chiamata madonna Aura, nobilissima et virtuosissima madonna, maritata al magnifico Berardino de li Ubaldini da la Carda el quale fu strenuissimo, grande et magnanimo capitanio de gente d'arme et notabile et virtuosissimo gentilhomo et de gran fama et reputatione et de gran conditione al suo tempo. Quale fusse più vera opinione non è certo ma, como se sia, o figliolo del conte Guido o suo nepote ch'el fusse et figliolo de Berardino et de casa de li Ubaldini, per omni modo è manifesto el decto conte Federigo esser nato de preclarissima stirpe et generosissimo sangue, perché la casa de li Ubaldini è similimente antiquissima...). Il bambino fu comunque legittimato dal papa alla fine del 1424 e, nel testamento di Guidantonio, del 20 dicembre 1424, si prevedeva  la successione nella signoria  in mancanza di discendenza diretta. Il 18 gennaio 1427 nasceva però a Guidantonio e a Caterina Colonna l'erede legittimo, Oddantonio, futuro primo duca di Urbino.

[47]A. ASCANI, Apecchio contea degli Ubaldini, Città di Castello, 1977, p. 130; Franceschini, Montefeltro, p. 387.

[48]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 928 b; Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 29 Scatena): 1 settembre (1424) - El n. S. andò a Campo et hebbe Castello Durante. Vds. anche Lanciarini, Tiferno, p. 381 e Franceschini, Montefeltro, p. 387. La convenzione tra Guidantonio di Montefeltro e Cateldurante, del 5 settembre 1424, è in F. UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi di Urbino, Firenze 1859, vol. II, doc. n. 7, pp. 508-513.

[49]G. CHITTOLINI, Su alcuni aspetti dello stato di Federico, in Cerboni Baiardi G., Chittolini G., Floriani P. (a cura di), "Federico da Montefeltro. Lo Stato, le arti, la cultura", vol. I, Lo Stato, Roma 1986, pp. 61-102, a pag. 73.

[50]Chittolini, Su alcuni aspetti, p. 74. Da notare che Guidantonio ottenne, il 12 maggio 1424, da papa Martino V, un vicariato generale per tutta la Massa e uno particolare per le terre già possedute da Bartolomeo; tuttavia esse rimasero di fatto nelle mani della vedova di Bartolomeo, Giovanna degli Alidosi,  per Gentile, loro figlia: tra l'altro a lei venne affidato il piccolo Federico da Montefeltro, quale promesso sposo di Gentile. Solo con il matrimonio tra i due, e con il successivo insediamento di Federico nella signoria di Urbino e delle altre terre feltresche, Mercatello e gli altri castelli già di Bartolomeo Brancaleoni entreranno a far parte dello Stato di Urbino.

[51]Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 34 Scatena): 7 dicembre (1429) - Fu scoverto el tractato de Casteldurante contro el n. Ill.o S. Madonna et figlioli. Ivi, p. 119 Baccini (= p. 35 Scatena): 1430, 27 Febbrajo - El nostro Ill. S. S. Conte Guido uscì de Urbino cum 600 pediti et andò a Campo contro li Brancaleoni et tolseli Sascorbaro, Lunano et Montelocco. Vds. anche Lanciarini, Tiferno, p. 383.

[52]Franceschini, Malatesta, p. 241.

[53]Franceschini, Malatesta, p. 195.

[54]Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 34 Scatena): 1429, 13 settembre - Morì el Magn.co S. Carlo in Lonzano. L. TONINI, Storia di Rimini (o "Storia civile e sacra riminese"),  vol V, Rimini 1882, p. 79 (14 settembre).

[55]Franceschini, Malatesta, p. 313; Montefeltro, p. 395.

[56]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 929 a: Il Magnifico Signor Malatesta di Pesaro morì a Gradara a dì XIX di Dicembre nel MCCCCXXIX e fu portato a Pesaro, e sepelito in San Francesco.

[57]Tonini, Rimini V, pp. 81-83. Franceschini, Malatesta, p. 315: furono consegnate Osimo, Castelfidardo, Montefalco, Montelupone, Offagno, Filottrano, Bertinoro, Senigallia, Corinaldo, Serra dei Conti, Vicariato di Mondavio, Pergola, Cervia e Borgo S. Sepolcro. Vds. anche lettera di Martino V a' Fanesi, Riminesi, e Cesenati, perché siano fedeli a Galeotto Malatesta, Sigismondo e Domenico Malatesta de' Malatesti confermati ne' loro stati dalla Santa Sede - 1430 (IV Nonas Julii Pontificatus nostri Anno tertiodecimo) in Amiani, Memorie istoriche, parte III, pp. LXXIV-LXXV. L'investitura delle terre rimanenti da parte di Martino V sarebbe avvenuta l'8 settembre dello stesso anno (Tonini, Rimini V, p. 82).

[58]Franceschini, Malatesta, p. 295. Carile, Pesaro, p. 44.

[59]Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 37 Scatena).

[60]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 929 c: 5 maggio. Col 929 c: 9 maggio. Col 939 c: Sigismondo Pandolfo il 10 maggio. Col 939 d: E poi venne il Signor Carlo da Pesaro per entrare in Arimino con molta gente in quel dì (10 maggio) e non potè entrare. E se non fosse che egli ritornò indietro prestamente avrebbe avuto gran fatica di ritornare a Pesaro. Col. 929 e: 19 maggio. Vds. anche Tonini, Rimini V, pp. 84-88.

[61]A. LAGHI, L'insurrezione armata contro i Malatesta capeggiata da don Matteo Buratelli da Cuccurano nella cronaca di Vincenzo Nolfi, in "Fano", IV, 1968, pp. 19-30, a pag. 26: "...c'erano stati tumulti, sedati, nei primi di maggio e il 24 novembre, ma le imposte non erano state tolte e la gente era esasperata"

[62]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 930 a: Essendo Sigismondo Pandolfo a Fano, un Don Matteo con certi ribaldi Contadini levarono certo rumore in Piazza e fu preso il detto Signore, e anche ferito a morte; e niente meno la città stesse ferma, e non fe' alcuna mutazione. A quello rumore fu morto il Conte Giovanni di Carpegna, e uno de' Castracani compagni del prefato Signore, ed anche fu ferito Bartolomeo da Brescia; e fu questo a dì III di Dicembre MCCCCXXXI.  Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 37 Scatena): 3 Dicembre (1431) - Fo romore in Fano e fu ferito messer Sigismondo. Vds. anche Tonini, Rimini V, pp. 90-91 e Laghi,  L'insurrezione, p. 21.

[63]Anonimo, Chronincon Ariminense, col 930 b; Laghi, L'insurrezione, p. 23; Franceschini, Malatesta, p. 318.

[64]Tonelli, Rimini V, p. 95; Franceschini, Malatesta, pp. 319-322.

[65]Tonini, Rimini V, p. 91.

[66]Tonini, Rimini V, pp. 92-93.

[67]Anonimo Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 37 Scatena): 16 Giugno (1431) - La cità de Pesaro et contado fece rumore et rebellione contra dominum Galeazzum et dominam Baptistam gridando: Viva la chiesa et introdussero Giohanne Sgariglio. Franceschini, Malatesta, p. 295; Carile, Pesaro, p. 44. Alcune fonti riportano date diverse (16 maggio, 26 maggio). Il Chronicon Ariminense, col 930 c pone il fatto nel 1432.

[68]Franceschini, Montefeltro, p. 395.

[69]Carile, Pesaro, p. 44.

[70]S. Costanzo, Roncitella, Stacciola, Montemarciano (Franceschini, Malatesta, p. 298). Vds. Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 38 Scatena): 1432, Febbrajo - El magnifico Berardino de li Ubaldini fu conducto et publicato a li servitii de lo Ill. S. Duca de Milano cum mille cinquecento cavalli et pediti, et die febr. ruppe la guerra con le terre de la chiesa et occuparo alcuni castelli del vicariato insieme con le genti del Signor Malatesta da Pesaro.

[71]Franceschini, Malatesta, p. 298.

[72]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 930 c: MCCCCXXXIII a dì XXIV di Settembre il signor Carlo da Pesaro entrò in Pesaro in signoria, e nella detta entrata morirono parecchi uomini. Anonimo, Cronachetta, p. 119 Baccini (= p. 40 Scatena): 22 detto (settembre 1433) - Fu la novità in Pesaro in favore de li Signori Malatesti, quali rientraro et cacciaro la chiesa. Olivieri, Gradara, p. 85: "Si sa che uno dei patti fu che si depositasse la rocca di Gradara in mano del signore di Rimini per restituirsi poi all'ordine del Papa. Dopo alcuni mesi si placò papa Eugenio, perdonò i fratelli Malatesta, resituì loro tutti i vicariati con sua bolla data Florentiae 1435 sexto Kalend. Octobr. anno quinto; ed ordinò a Sigismondo Pandolfo che restituisse la rocca di Gradara; ma questi era più portato a togliere che a restituire". Vds. anche Tonini, Rimini V, p. 99: nel 1433 Sigismondo restituì invece ai parenti pesaresi il castello di S. Ippolito, da lui precedentemente occupato.