Capitolo XIV

 

Federico da Montefeltro

 

Francesco Sforza nella Marca

Verso la fine del 1433 entrava nella Marca il condottiero Francesco Sforza, incaricato da Filippo Maria Visconti e dal Concilio di Basilea di occupare la regione. Effettuato ciò che gli era stato richiesto (ma non furono toccati i domini feltreschi e malatestiani), lo Sforza, con un abile voltafaccia, tradì il Duca di Milano, si riappacificò con Eugenio IV e fu investito dal papa, il 25 marzo 1434, del Marchesato della Marca. Si profilò quindi un'alleanza del Papa e dello Sforza con Firenze e Venezia (allora in lotta contro il Visconti), a cui si contrapponeva la lega tra Milano e Napoli. Si sarebbe giunti a guerra aperta negli anni 1435-1437, senza però che si modificasse la situazione: la Marca rimase saldamente nelle mani di Francesco Sforza.

Faceva intanto la sua prima esperienza di guerra nel 1438 Federico da Montefeltro, figlio naturale di Guidantonio, convolato a nozze il 2 dicembre 1437 con Gentile Brancaleoni, che gli portò in dote Mercatello, S. Angelo in Vado e diversi altri castelli dell'alta Val Metauro[1]. Poco dopo il matrimonio, dal maggio 1438, lo troviamo infatti a capo della compagnia di ventura feltresca (all'interno dell'esercito visconteo, guidato da Nicolò Piccinino), impegnata su vari fronti[2].

 

L'inizio della lunga guerra tra Montefeltro e Malatesta

La lunga guerra tra Malatesta e Montefeltro (che, tranne brevi periodi, si sarebbe protratta fino al 1463) iniziò nel 1439[3].

Anticipata da alcune conquiste del signore di Rimini (che nella primavera 1439 occupava il Vicariato di Mondavio, S. Lorenzo - che restituiva ai Montevecchio - e Pergola)[4] e preannunciata dall'occupazione malatestiana, nell'ottobre di quell'anno, dei tre castelli di Casteldelci, Senatello e Faggiola, da poco entrati tra i domini dei Montefeltro[5], la guerra fu dichiarata  il 21 di novembre[6].

Tre giorni dopo i Feltreschi inviavano milizie contro Tavoleto, che fu messo al sacco[7]; Sigismondo Pandolfo rispose occupando nel novembre vari castelli fedeli al conte di Urbino[8] e, a dicembre, Montegelli[9]. La guerra, non interrotta neanche nei mesi più freddi[10], sebbene Federico da Montefeltro avesse riportato una grave ferita duranti i combattimenti intorno al castello di Campo[11], riprese più accanita nel marzo, quando i Feltreschi misero a sacco i castelli di Rupoli (nel contado fanese) e di Fossa (nel Montefeltro); furono inoltre ripresi parte dei castelli conquistati, nel novembre precedente, dai Malatestiani[12].

La pace fu finalmente firmata il 26 marzo 1440[13], ma fu di breve durata: infatti il 29 giugno dello stesso anno le genti del duca di Milano erano clamorosamente sbaragliate ad Anghiari. Ne approfittò Sigismondo Pandolfo per cambiare bandiera, sposare la figlia di Francesco Sforza e firmare con il suocero una condotta, nel febbraio 1441[14]: Montefeltro e Malatesta si trovavano così ancora in campi opposti.

Un tentativo di Sigismondo Pandolfo di impadronirsi di Pesaro (nella quale era morto il 21 aprile 1441 Pandolfo Malatesta-Pesaro ed era unico signore Galeazzo, marito di Battista da Montefeltro) non ottenne risultati: occorse alla difesa della città Federico con 200 cavalli e 300 fanti[15].

La guerra si riaccese alla fine di agosto 1441 quando si ribellano Montelocco e S. Croce, due dei castelli da cui i Brancaleoni erano stati cacciati, pochi anni prima, da Guidantonio da Montefeltro: era responsabile della sollevazione Alberico Brancaleoni, dietro al quale stava Sigismondo Pandolfo[16]. Non appena Federico ebbe notizia della ribellione si precipitò sui luoghi: conquistò Santa Croce (21 settembre) e strinse d'assedio Montelocco, dove si erano rifugiate le milizie di Gianfrancesco Oliva (signore di Piandimeleto), capitanate da Gregorio di Anghiari e da Angelo, genero di Alberico. Un primo scontro si ebbe il 1 ottobre, con esito incerto, ma dopo il quale Federico levò il campo: Montelocco sarebbe tornata possesso feltresco solo nel dicembre 1441; nell'agosto dell'anno successivo fu demolito[17].

La guerra nel frattempo proseguiva con alterne vicende: Tavoleto era ripreso dai Malatestiani mentre Federico effettuava una scorreria nel territorio di Rimini e riusciva, qualche giorno dopo, ad espugnare la Rocca di S. Leo, caposaldo malatestiano nel Montefeltro considerato imprendibile[18].

Finalmente si giunse ad una pace, firmata il 22 novembre 1441 con la mediazione di Alessandro Sforza (fratello di Francesco) e preceduta da una tregua bandita alla fine di ottobre (negli stessi giorni veniva firmata la pace tra Milano e Venezia)[19].

Nel corso del 1442 tuttavia si formò una potente coalizione contro lo Sforza comprendente il duca di Milano, il re di Napoli e papa Eugenio IV; insieme a costoro anche una costellazione di signorie minori. Si giunse ben presto alla tregua (dal settembre 1442 all'aprile 1443), ma la resa dei conti era solo rinviata.

 

Oddantonio primo duca d'Urbino

Il 20 febbraio 1443 moriva Guidantonio da Montefeltro e gli succedeva il figlio Oddantonio, per cui il padre aveva già ottenuto da papa Eugenio IV il vicariato apostolico[20]. Il nuovo signore, giovane e inesperto, si schierò subito dalla parte del Papa che, ottenuta da Oddantonio la restituzione di Montalboddo[21] e l'ingresso nella coalizione antisforzesca, gli concesse, il 25 aprile 1443, il titolo di Duca di Urbino[22].

Mentre investiva Oddantonio del titolo ducale, il Papa volle anche premiare il comportamento del fratellastro Federico, che combatteva con l'esercito visconteo del Piccinino contro lo Sforza: elevò a contea il territorio che già era stato di Bartolomeo Brancaleoni (e che era già pervenuto a Federico tramite il matrimonio con Gentile Brancaleoni)[23].

 

Sigismondo Pandolfo alla conquista di Pesaro

Nel frattempo era ripresa la guerra contro Francesco Sforza che, nel 1443, si trovava in una situazione disperata: era infatti assediato a Fano (città di Sigismondo Pandolfo) dagli eserciti ecclesiastico, milanese e napoletano che avevano riconquistato quasi tutta la Marca. La situazione per lui però mutò radicalmente nel corso dell'anno anche perché le truppe napoletane, al sopraggiungere dell'inverno, tornarono nel Regno. Lo Sforza e Sigismondo Pandolfo ebbero così buon gioco ad attaccare, l'8 novembre 1443 a Monteluro, le truppe del Piccinino, battendole nettamente[24].     

Francesco Sforza avrebbe potuto recuperare in brevissimo tempo tutta la Marca ma dovette appoggiare il tentativo del suo alleato Sigismondo Pandolfo (a cui poteva attribuirsi buona parte del merito della vittoria) contro Pesaro, tenuta da Galeazzo Malatesta e difesa da Federico da Montefeltro: davanti alla città si radunò, solo tre giorni dopo la battaglia, un esercito di 12.000 uomini. Tuttavia la città non cedette e Sigismondo Pandolfo non potè far altro che conquistarne, uno dopo l'altro, i castelli del contado[25].

La guerra per il possesso della città, sospesa da una tregua il 2 aprile, si riaccese nel giugno quando i Pesaresi ripresero Montelabbate e Tomba (quest'ultimo rioccupato da Sigismondo Pandolfo nello stesso mese)[26]. Quindi, interrotta da una nuova tregua, riprese nell'agosto 1444: i Riminesi perdevano anche Novilara e Montegaudio[27]: mantenevano il possesso, nel contado pesarese, solo di Candelara e dei castelli a nord del Foglia.

 

La congiura "dei Serafini"

In questo tempo occurse che, regnando el duca Oddantonio..., et non gubernando cum quella humanità che erano usati li soy passati el paterno Stato et maxime la cità de Urbino, quello populo conspirò contra de lui e finalmente, a li vintedue de luglio nel 1444, fu morto nel suo palazzo dal popolo insieme cum alcuni altri cativi et scelerati che haveva appreso de sé[28].

Nella notte tra 21 e 22 luglio 1444 alcuni congiurati, guidati da un medico, un certo Serafino Serafini, irruppero nel palazzo ducale. Non incontrata resistenza, giunsero nella camera del giovane duca, che aveva appena diciassette anni, e lo uccisero[29]. Stessa fine fecero i suoi due consiglieri, Manfredo dei Pii da Carpi e Tommaso di Guido dell'Agnello. I congiurati potevano contare sull'appoggio popolare: all'alba del  22 infatti il popolo urbinate era in armi e controllava la città[30].

La sconfitta del Piccinino a Monteluro aveva segnato l’inizio della crisi dell'appena costituito ducato di Urbino, dato che le truppe vincitrici cominciarono a correre e predare le terre feltresche[31]. Se a ciò poi aggiungiamo il malessere economico, causato dal consistente aumento delle spese (dovuto alla natura generosa del giovane Oddantonio, ai malaccorti consigli di coloro che stavano a lui vicino, al tentativo di mantenere un tenore di vita superiore a quanto consentissero le risorse del piccolo Stato) e dalla brusca diminuzione delle entrate[32], non ci si può stupire della piega che presero gli avvenimenti.

Non possiamo invece affermare con sicurezza che dietro alla congiura e alla rivolta ci fossero Francesco Sforza o Federico da Montefeltro. Gli uccisori non furono però puniti dal nuovo signore di Urbino, ed era interesse di quest'ultimo, come era anche interesse dello Sforza, che il giovane duca uscisse di scena[33].

 

Federico signore d'Urbino (22 luglio 1444)

La situazione era fluida e pericolosa. Federico da Pesaro si precipitò subito in Urbino: gli furono chiuse le porte delle mura ma, dopo breve trattativa, e grazie alla mediazione del vescovo, fu accolto in città e gridato signore. Federico giurò alcuni capitoli con cui si prevedeva, tra le altre cose, rispetto delle magistrature e poteri comunali, perdono dei congiurati, riduzione delle tasse[34].

Doveva ora affrontare e risolvere due grossi problemi: risollevare economicamente lo Stato, prostrato da troppe tasse, e difenderlo militarmente, dato che Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, aveva possedimenti su quasi tutti i confini e a lui facevano capo un cospicuo gruppo di signorotti minori (Brancaleoni, Oliva, Carpegna, Gabrielli), tra cui anche ex partigiani feltreschi[35]. Sigismondo inoltre era più ricco di Federico e godeva di maggiore prestigio nel mercato delle compagnie di ventura.

 

Rovesciamento delle alleanze: Federico con lo Sforza, Sigismondo con il Papa

Nel frattempo continuava nella Marca la guerra. Uno degli avvenimenti importanti del 1444 fu la battaglia di Montolmo, combattuta e vinta da Francesco Sforza, il 19 agosto, contro le forze di Francesco Piccinino, figlio maggiore di Niccolò: lo Sforza riottenne il pieno controllo di quasi tutta la regione[36]. Fu pertanto necessario per il Papa addivenire ad una tregua che, della durata di sette mesi, fu firmata l'11 settembre 1444 e fu seguita dalla pace (10 ottobre) e dal riconoscimento papale del potere di Francesco Sforza sulla Marca, ad eccezione delle città di Osimo, Recanati, Fabriano e Ancona (18 ottobre)[37].

Sigismondo, a cui andava per gran parte il merito della vittoria di Monteluro, non aveva ottenuto troppi vantaggi dalla condotta firmata con Francesco Sforza; in particolare erano stati frustrati i suoi tentativi di occupare Pesaro (compensati in meschina misura dal possesso di alcuni castelli del contado, sul confine con Rimini, a lui aggiudicati con la mediazione dello Sforza)[38] e anche sue azioni di disturbo nel Montefeltro contro lo Stato di Urbino si erano concluse con modestissimi incrementi territoriali[39].

La situazione divenne per lui però insostenibile quando, nel dicembre 1444, Francesco Sforza accolse sotto le sue bandiere Federico da Montefeltro che, in questo modo usciva dall'isolamento in cui si trovava e otteneva un compenso rilevante per i suoi servigi[40]. Davanti a quello che considerava quasi un tradimento (il suo peggior nemico al servizio di suo suocero), Sigismondo Pandolfo iniziò pratiche per una condotta al servizio della lega antisforzesca (Milano-Napoli-Roma), che fu firmata il 14 marzo 1445, quando ormai era venuto a conoscenza di uno schiaffo a lui fatto dal conte di Montefeltro e dal Marchese della Marca: l'acquisizione fatta dai due di Pesaro e Fossombrone[41].

 

Galeazzo Malatesta vende Pesaro e Fossombrone

Galeazzo Malatesta-Pesaro, signore di Pesaro e Fossombrone,  continuamente minacciato dall'intrigante parente riminese, governava un piccolo territorio senza possibilità di grandi profitti, non esercitava il lucroso mestiere delle armi e anzi era coperto dai debiti per i servigi prestati da Federico da Montefeltro in difesa della città nell'anno precedente. Pensò quindi di risolvere tutti i suoi problemi vendendo, il 28 novembre 1444,  per 20.000 fiorini, Pesaro e il suo territorio a Francesco Sforza (che l'avrebbe ceduta al fratello Alessandro, che avrebbe di lì a poco sposato Costanza Varano, unica nipote di Galeazzo) e, il 15 gennaio 1445, Fossombrone e suo territorio[42] a Federico da Montefeltro, per 13.000 fiorini[43].

A prescindere da ogni considerazione sull'incremento territoriale della signoria feltresca, l'affare si configurava in ogni caso un successo per Federico perché sarebbero  per sempre stati divisi i possedimenti romagnoli di Sigismondo (Romagna e Montefeltro) da quelli marchigiani (che avevano il loro centro più importante a Fano ma che risalivano le valli del Metauro e del Cesano fino a Pergola). Occupare Pesaro era sempre stata la massima aspirazione di Sigismondo Pandolfo, che così vedeva frustrati tutti i suoi piani[44].

L'acquisto per qualche tempo rimase segreto, ma a marzo, quando Alessandro Sforza prese possesso di Pesaro[45], tutti ne vennero a conoscenza, compreso il Papa, che subito scomunicò i tre protagonisti della vendita (Galeazzo Malatesta era vicario pontificio e non poteva vendere un dominio della S. Sede).

 

La guerra contro lo Sforza negli anni 1445-1446

Nell'estate del 1445 si riaccese la guerra che vedeva coalizzati, contro lo Sforza, il duca di Milano, papa Eugenio IV e il re di Napoli. Al loro servizio Sigismondo Pandolfo; agli ordini dello Sforza  militava Federico da Montefeltro.

Nella nostra provincia fu investito in primo luogo dalle truppe sforzesche il castello di Candelara, nel territorio di Pesaro, che il signore di Rimini teneva dal novembre 1443[46]. Dopo la resa del luogo, le operazioni si spostarono nel contado fanese, dove milizie feltresche e sforzesche occuparono una serie di castelli posti sulla sinistra del Metauro[47] e assediarono la città. Quindi gli sforzeschi occuparono i castelli del Vicariato e si diressero a Pergola[48] che, dopo quindici giorni di assedio, fu conquistata il 22 agosto 1445[49].

I successi sforzeschi sarebbero stati però ben presto oscurati dall'offensiva dei coalizzati, il cui esercito nella Marca, guidato da Sigismondo Pandolfo, si rafforzava sempre più grazie ai rinforzi inviati dal duca di Milano e dal re di Napoli: dalla fine di agosto passarono all'offensiva e, muovendo da Fano, costrinsero lo Sforza ad abbandonare Carignano e a ripiegare nella Marca meridionale. Il 3 ottobre Osimo era nelle loro mani; il 15 Roccacontrada; il 27 novembre Fermo. Quasi tutta la Marca, nel giro di due mesi, era  persa per lo Sforza, la cui situazione, già critica, sarebbe stata disperata, se non avesse potuto contare sui territori feltreschi (in cui si ritirò nel novembre). Varie operazioni, di minore importanza, interessarono nell'autunno 1445 il Montefeltro: le fonti ricordano un'offensiva sforzesca, nel novembre, contro Piandimeleto, S. Sisto e Pirlo (di Gianfrancesco Oliva, collegato a Sigismondo Pandolfo) e Montirone (di Malatesta Novello da Cesena)[50]. Le truppe cesenati, a loro volta, saccheggiarono nel novembre Ripalta[51] e occuparono diversi castelletti della regione[52].

Se il 1445 si era concluso sfavorevolmente per lo Sforza, che aveva perso quasi tutta la Marca, le cose non migliorarono nell'anno successivo, anche se le operazioni dei coalizzati furono meno incisive per i dissensi scoppiati tra il re di Napoli e il Papa. Sigismondo Pandolfo e lo Sforza, pertanto, nel maggio 1446, firmarono una tregua[53].

 

La "congiura dei nobili" contro Federico da Montefeltro

Anche la posizione di Federico da Montefeltro, nel frattempo, si era molto indebolita dato che la campagna militare non procedeva affatto bene ed era circondato da nemici (Sigismondo Pandolfo, Domenico Malatesta e altri) che lo consideravano usurpatore dei domini feltreschi (e fratricida). Le campagne del piccolo Stato erano corse inoltre dai nemici e la situazione economica era critica.

Un complotto che mirava alla sua eliminazione fu scoperto, grazie a circostanze fortuite, nel marzo 1446. Esso vedeva implicati diversi esponenti della nobiltà minore feltresca: Niccolò e Francesco dei Prefetti di Vico; Antonio "del Conte" (era il signore del castello di Pecorari, lontano parente di Federico, e coniugato ad una figlia di Niccolò dei Prefetti di Vico); Gian Battista, Giampaolo e Giovanni da S. Marino (quest'ultimo ex cancelliere feltresco al tempo del giovane duca Oddantonio)[54]. Alcuni dei congiurati vennero condannati al carcere a vita; la maggior parte decapitati dopo un sommario processo il 26 marzo 1446 ad Urbino; altri, più fortunati, si rifugiarono a Rimini. Tra questi Niccolò dei Prefetti di Vico e le sorellastre di Federico (Violante, Agnesina e Sveva)[55].

 

La guerra nell'estate 1446

Nell'estate del 1446 Francesco Sforza cercò, con scarsi risultati, di marciare su Roma e ripiegò, vista vana questa sua azione, sul saccheggio di un castelletto malatestiano, Isola Gualteresca[56]. L'iniziativa quindi passò alle forze della Chiesa (e a Sigismondo Pandolfo), che, sotto la guida di Ludovico Scarampo, patriarca d'Aquileia, legato pontificio nella Marca, attaccarono, nel luglio-agosto, i domini feltreschi,  dapprima Pergola e il contado di Cagli[57], quindi il territorio di Urbino e il Montefeltro: il 30 luglio fu assediato da un esercito di quattordicimila uomini Montefabbri, che si arrese[58]; il 5 agosto fu la volta di Colbordolo, messo al sacco e incendiato[59]; il 16 agosto si arrese Talacchio[60] e, di lì a poco, furono conquistati Sassocorvaro e S. Donato in Taviglione[61]. Fu la volta infine di una serie di castelli del Montefeltro: Monte Grimano, Monte Cerignone, Monte Tassi, Valle S. Anastasio, Monte Boaggine[62]. La campagna della Chiesa si chiudeva con pesanti perdite territoriali per lo Stato di Urbino, ma il cuore dei domini feltreschi non era stato comunque intaccato[63].

Da ricordare anche che nel 1446 Alessandro Sforza passò per un certo periodo nella coalizione antisforzesca. Il passaggio avvenne probabilmente nel mese di luglio e fu di breve durata: era di nuovo schierato con il fratello nel settembre di quello stesso anno[64].

 

La guerra nell'autunno  1446

Il 29 settembre 1446 Michelotto Attendolo Sforza, fratello di Francesco, al servizio dei Veneziani, sconfisse a Mezzano, presso Casalmaggiore, le truppe viscontee di Francesco Piccinino[65]. Le operazioni vittoriose nel Settentrione allentarono la stretta che soffocava Francesco Sforza e Federico da Montefeltro.

Il teatro delle operazioni non era però la Marca, ormai quasi completamente persa per Francesco Sforza, ma più modestamente il Pesarese, dove Francesco aiutò il fratello Alessandro a recuperare i castelli ancora nelle mani di Sigismondo Pandolfo: Monteluro e Pozzo furono riconquistati il 9 ottobre; il 12 venne ripresa Tomba; il 17 cominciò l'assedio di Gradara[66], che si concluse però, dopo quaranta giorni (27 novembre) con la ritirata sforzesca: la terra rimase possesso riminese[67].

 

La pace del 1447

Nel  febbraio 1447 morì Eugenio IV e il nuovo papa, Niccolò V ordinò nel marzo una tregua nelle terre della Chiesa. Lo Sforza usciva definitivamente dalla Marca (avrebbe conquistato, nel 1450, il Ducato di Milano, tre anni dopo la morte del suocero, Filippo Maria, avvenuta il 13 agosto 1447). Furono invece "legalizzate" le posizioni di Federico di Montefeltro e di Alessandro Sforza.

Il primo ottenne il 20 luglio la concessione di vicariato per Urbino, Cagli, Fossombrone, Gubbio (con i rispettivi comitati e distretti) e per diversi luoghi di Montefeltro, Romagna, Massa Trabaria e Marca Anconitana[68], ai quali si aggiunge, il 25 luglio 1447, il vicariato su Castel Durante[69] (ma de facto una parte di essi tuttavia rimanevano nelle mani di Sigismondo Pandolfo)[70].

Il secondo fu investito, il 23 luglio 1447, del vicariato di Pesaro: i poteri erano quelli usuali concessi ai vicari (amministrare la giustizia, nominare i magistrati, imporre nuovi tributi. Ma l’investitura era per sole due generazioni (Alessandro e figli maschi), il censo era di 750 fiorini annui[71].



[1]ANONIMO, Cronachetta d'Urbino (1404-1578), a cura di G. BACCINI, in "Le Marche Illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti", anno I, Fano 1902, pp. 61-62; 119-120; 134-137; 155-157, a pag. 119: 2 Dicembre (1437) - El n. Ill.o Signore fece celebrare le noze del magnifico messer Federigo suo figliolo et de la Magnifica madonna Gentile in Urbino. Nella prima parte della Cronachetta (1404-1444) recentemente edita da G. SCATENA (Urbino, 1975), alle pp.  42-43.  Vds. anche V. LANCIARINI, Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912 (ristampa anastatica, S. Angelo in Vado, 1988), p. 389.

[2]W. TOMMASOLI, La vita di Federico da Montefeltro 1422-1482, Urbino 1978, p. 17.

[3]P. PALTRONI, Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico Duca d'Urbino (a cura di W. Tommasoli), Urbino 1966, p. 51: ... et questa fo una favilla che acese  uno grandissimo fuoco che durò multi anni perché da quello die in poi la casa de Montefeltro cum quella dei Malatesti stette in guerra grandissima vintidue anni, che may non ce fu pace, ma solo qualche treuga suspecta et male observata. Et fu guerra teribili et pernitiosa dove interve(ne)ro molte et grande occisioni de homini, multissime terre fonno sacomannate et destructe, abrusciate et desolate da una parte et da l'altra, et intervennero in le decte guerre, per diversi tempi, tucte le potentie et gente d'arme de Italia, quando in favore de una parte et quando de l'altra...

[4]ANONIMO, Chronicon Ariminense ab anno circiter MCLXXXVIII usque ad annum MCCCLXXXV auctore Anonymo, ac deinde continuatum per alterum Anonymum usque ad annum MCCCLII, in "Rerum Italicarum Scriptores", Milano 1729, tomo XV, cc. 889-967, col 935 c: A di VII de' Aprile (1439) si partì il nostro Magnifico Signor Sismondo de Malatesti, e con lui Pietro Zampaolo suo Condottiere per andare a campo alla Pergola. A dì X d'Aprile misero il campo alla Pergola. A dì XIX d'Aprile fu fatta l'entrata della Pergola per lo prefato nostro Magnifico Signore, e fu di Domenica all'ora del Vespro, e fella Balduino da Tolentino, e Scariotto Condottieri del prefato Signore con grandissimo trionfo e festa e allegrezza della Comunità della Pergola, rallegrandosi perché erano tornati sotto la lor antica signoria. Pergola aveva avuto in quegli anni vicende travagliate: occupata a fine 1433 da Nicolò della Stella, nipote di Braccio da Montone, era possesso sforzesco nella primavera 1435; occupata da Guidantonio il 31 agosto dello stesso anno, e restituita alla Chiesa, era di nuovo tornata, nel 1438, possesso sforzesco (L. NICOLETTI, Di Pergola e suoi dintorni, Pergola 1899, alle pagg. 166-169, che per altro confonde Nicolò della Stella con lo zio). Su S. Lorenzo e Vicariato, vds. Nicoletti, Pergola, p. 169.

[5]Anonimo, Cronachetta, p. 120 Baccini (= p. 44 Scatena): 7 Ottobre (1439) - Li Signori Malatesti  da Rimini fecero furare Casteldelce, Sanatello et Faggiola. Giovanni di Nicolò BRANCALEONI, Cronachetta (1449-1469) (edita da E. Liburdi), in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie VIII, vol. V (1966-67), pp. 171-194, a pag. 179: Nel 1439 adì 7 de otobre tolse el Signore Gesimondo e fe tore Castello Delcie, Sanatello, la Fagiola. Vds. anche G. FRANCESCHINI,  I Montefeltro, Varese 1970, pp. 402 e 435; G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, p. 328.

[6]Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 179: Nel 1439 adì 21 de novembre fe bandire la guerra lo lustro ex S. Conte Guido Antonio cum lo S. Gesimondo Malatesti; fo a 20 hore del dicto dì de sopra.

[7]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 936 c: A dì XXIV di Novembre (1439) il Conte d'Urbino venne a campo al Tauleto la mattina sul dì, e ebbelo per forza, e miselo a sacco, e furono morti tre de' principali uomini del detto Conte, cioè Collocio Capitano suo Generale, Pauloccio suo Scalco, e Batista di Nolfo. Anonimo, Cronachetta, p. 120 Baccini (= p. 45 Scatena): 24 Novembre (1439) - Fu expugnato per lo Magnifico messer Federico, et per li altri del Signore, el castello del Tauleto. Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 179: Nel 1439 adì 24 de novembre tolsse Mes.r Federigo Tavoleto; miselo a sacommanno fo... et morto Tolacio e Paulozo, Batisto de Nolfo e più altri.

[8]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 936 c: A dì XXV di Novembre del detto Millesimo (1439; è il giorno successivo alla presa di Tavoleto da parte di Federico da Montefeltro)  il nostro Magnifico Signore Misser Sigismondo Pandolfo de' Malatesti cavalcò con tutte le sue belle e pulite genti d'armi, per vendicarsi dell'ingiuria ricevuta del Tauleto". Ivi, col 936 d: "E andò in Monte Feltro contro le Castella del detto Conte, e tolse nove Castella al detto Conte, cioè Castelnuovo, Monsetogno, Tauzano, La Pietra di Mauro, Penna Rossa, Vegliano, Savignano, Derigo, e Rontagnano, de' quali Tauzano fu messo a sacco. Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 179: Nel 1439 adì 14 de novembre per tucto novembre tolsero i Malatesti, Rontagnano, Velglano, Savignano, Montigello.

[9]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 936 d: A dì primo di Dicembre il prefato Misser Signore nostro col suo esercito andò a campo a Montesello con le bombarde, e furono presi quindici fanti, i quali mandava il Signor di Faenza alla difesa del detto Castello, e furono tutti appiccati nanti alla Porta del Castello. E a dì III del detto mese il detto Castello si rendè al prefato nostro Misser Sigismondo.

[10]Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 179: Nel 1439 per fine adi 6 de dicembre ànno tolto i Malatesti al n. S. 13 castelli in tucto. Nel 1440 adi 12 de genaro se rese per forza Velglano; la rese a patte del dicto.

[11]Paltroni Commentari, p. 54: ... per cagione  de la guerra in la quale lui fo gravemente ferito combattendo uno castello chiamato Campli, et per cagione de la decta ferita, restette più nel paese che non seria restato. Vds. anche ivi (nota di W. Tommasoli n. 2, p. 54): "In seguito a questa ferita Federico rimase infermo ad Urbino dal dicembre 1439 alla fine del febbraio 1440".

[12]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 937 a: A dì primo di Marzo (1440) la mattina innanzi dì le genti del Conte d'Urbino scalarono il castello di Rupolo del Vicariato di Fano, e misonlo a sacco per la mala guardia; col 937 b: A di XX di Marzo (1440) Baldaccio Capitano di Fanti del Conte d'Urbino mise un castello chiamato la Fossa a saccomanno. Vds. anche Paltroni, Commentari, p. 53 e Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 179 (riconquista di Montebello, Monte Gelli, Rontagnano, ecc).

[13]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 937 b: A dì XXI del detto (marzo 1440) si levarono le offese tra i nostri Magnifici Signori e il Conte d'Urbino. A dì XXVI del detto mese si bandì la pace tra i nostri Magnifici Signori predetti, e il Conte d'Urbino. Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 179: Nel 1440  26 de marzo se bandì la pacie a Urbino fra el N. Ill. Ex. S. cum li Signori Malatesti.

[14]Franceschini, Montefeltro, p. 437. Franceschini, Malatesta, p. 329. Tommasoli, Federico, p. 26.

[15]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 939 c: E a dì XXIV del detto (aprile 1441) venne il Conte d'Urbino, e Misser Federigo alla guardia di Pesaro con cavalli dugento, e Cerne trecento.

[16]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 939 e: A dì XXX d'Agosto (1441) ruppe guerra Almerico de' Brancaleoni col Conte d'Urbino, e tolsegli Monte Loco, e molte altre castella, e ritolse il Tauleto. Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 179: Nel 1441 adì primo del mese de septembre tolse Gregoro d'Anghiara Monte Mahio. Angolo d'Anghiara tolse Monte Locho a petizione del S. Gesimondo de Malatesti.

[17]Anonimo, Chronicon Ariminense,  col 939 e - 940 a: A dì XXI di Settembre (1441) mise Misser Federigo nipote del Conte d'Urbino Santa Croce in quello di Scorbaro a saccomano; col 940 a: A dì primo d'Ottobre del detto Millesimo (1441) prese battaglia Agnolo d'Anghiara con Misser Federigo nipote del Conte di Urbino; e fu rotto il detto Misser Federigo, e presi assai uomini d'arme e prigioni da una parte e dall'altra. Il detto Misser Federigo perdé le bombarde, ch'erano a campo a Monte Locco, e per questo si levò da campo.  Paltroni, Commentari, pp. 57-60 descrive dettagliatamente lo scontro. Vds. anche Lanciarini, Tiferno, pp. 392-393 e Tommasoli, Federico, p. 19. Sulla riconquista e distruzione di Montelocco vds. Anonimo, Cronachetta, p. 120 Baccini (= p. 45 Scatena): 14 Dicembre (1441) - El n. Ill.o Signore rehebbe la possessione de Montelocco mediante Giohanne de Gavardo;Anonimo, Cronachetta, p. 120 Baccini (= p. 46 Scatena): 24 Agosto (1442) - Fu demolito Montelocco.

[18]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 940 b: A di X del detto (ottobre 1441) corsero quelli di S. Marino con le genti di Misser Federigo, e corsero a Verucchio, a S. Cristina, e a Cropalo, e diedero battaglia a Serravalle, e lì ebbero poco onore, e presero alcuni prigioni e bestiame. Per la conquista di S. Leo, effettuata il 22 ottobre., vds. Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 940 b.; Paltroni, Commentari, p. 60; Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 180.

[19]Vds. Anonimo, Chronicon Ariminense, col 940 c (tregua per otto giorni il 28 ottobre 1441 raffermata per altri tre il 5 novembre); col 940 d (pace del 22 novembre). Nel frattempo era stato celebrato il matrimonio tra Bianca Maria, figlia naturale del duca di Milano, e Francesco Sforza (24 ottobre) e firmata la pace tra Milano e Venezia (20 novembre). Ricorda la pace anche l'Anonimo, Cronachetta, p. 120 Baccini (= p. 45 Scatena): 1441, 20 Novembre - Fo bandita la pace in Urbino tra el Signor nostro et el Signor Sigismondo, la quale è stata praticata per messer Alessandro et altri etc. da vinti dì in qua.

[20]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 943 e. Anonimo, Cronachetta, p. 120 Baccini (= p. 46 Scatena): 1443, 20 Febbrajo - El nostro Ill.o Signore morì e rendette l'anima sua al nostro creatore.

[21]Franceschini, Montefeltro, p. 420: Oddantonio restituisce nel marzo Montalboddo, l'odierna Ostra, a Roberto de Paganelli, capitano visconteo. La "convenzione tra il conte Oddantonio da Montefeltro e il magnifico Roberto dde' Paganelli di Montalboddo (Urbino, 13 marzo 1443)" è in G. FRANCESCHINI, Notizie su Oddantonio da Montefeltro primo Duca d'Urbino (20 febraio 1443 - 22 luglio 1444), in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie VII - volume I (1946), pp. 83-108, alle pagg. 104-106.

[22]A. THEINER, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Roma 1862, vol III, nr 298, pag. 351: Comiti Montisferetri titulum et dignitatem ducalem pontifex concedit. La bolla  papale porta la data del 25 aprile; l'investitura solenna avvenne il giorno successivo, 26 aprile.

[23]G. CHITTOLINI, Su alcuni aspetti dello stato di Federico, in Cerboni Baiardi G., Chittolini G., Floriani P. (a cura di), "Federico da Montefeltro. Lo Stato, le arti, la cultura", vol. I, Lo Stato, Roma 1986, pp. 61-102, a pag. 74; Lanciarini, Tiferno, p. 500.

[24]Sulla battaglia di Monteluro, oltre a Paltroni, Commentari, pp. 63-65 (da prospettiva feltresca), vds. L. TONINI, Storia di Rimini (o "Storia civile e sacra riminese"), vol. V, Rimini 1882, pp. 142-145 e  A. TURCHINI, La sera di Monteluro, 8 ottobre 1443, in D. Bischi (a cura di), "Tavullia tra Montefeltro e Malatesti", Urbania 1986, pp. 11-130.

[25]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 946 b-c: A dì VIII detto (novembre 1443) ebbe il nostro prefato Magnifico Signor Misser Sigismondo Pandolfo a campo Monteluro, Granarola, Pozzo, e la Tomba di quello di Pesaro. A dì XI detto andò il Magnifico Conte Francesco, e il prefato Magnifico Signor Misser Sigismondo Pandolfo a Pesaro con persone da dodici mila, e poi si partì, e andarono a Candelara e a Nuvilara, e vi stette per finatanto che si renderono a patti. A dì XIII detto ebbe il prefato Misser Sigismondo Pandolfo Candelara a patti, la quale era del terreno di Pesaro... A dì XXVI detto (novembre) ebbe il prefato nostro Signor Misser Sigismondo Pandolfo Nuvilara a patti, ed anche ebbe Montelabbate, e altre castella del contado di Pesaro; Ivi, col. 946 d: A dì XXVIII detto (novembre) si partì il Magnifico Conte Francesco da Fano e andò nella Marca; Ivi, col 947 a: A dì VIII di Febbrajo (1444) il prefato nostro Magnifico Signore ebbe Montegaudio a patti, che è del Contado di Pesaro, e fegli dare una gran battaglia, in tanto che fu forza a gli uomini di rendersi, altrimenti andava a saccomano; ed era un tempo che buffava la neve.

[26]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 947 c: A dì II d'Aprile si fe' tregua tra il nostro Magnifico Signor Misser Sigismondo Pandolfo de Malatesti, e il Signor Galeazzo de Pesaro per quindici dì; Ivi, col 948 a: A dì IX del detto (giugno 1444) riebbero le brigate di Matteo da S. Angelo Montelabbate in quello di Pesaro. A di X del detto ebbe Matteo la Tomba da gli uomini. A dì XI del detto si partì il nostro Magnifico Signore Misser Sigismondo Pandolfo de Malatesti d'Arimino con tutte le sue genti da cavallo e da piè, e con bucole, bombarde, e mantellette, per andare a campo alla Tomba che se gli era ribellata. A dì XII del detto il detto nostro Magnifico Signore mise il campo alla detta Tomba. Ivi, col 948 b: A dì XVIII del detto (giugno 1444) ebbe il nostro Misser Signore la Tomba di quello di Pesaro a patti, salvo l'avere e le prsone". Ivi, col. 948 b: A dì XXV del detto (giugno) le genti di Pesaro corsero in quello d'Arimino, cioè ad Arzune, Scazano, e San Lodezo, e presero molti prigioni e bestiame.

[27]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 948 e: A dì V del detto (agosto) il Signor Galeazzo da Pesaro riebbe Nuvilara per tradimento, che fecero gli uomini, perché il detto Galeazzo era corso a Nuvilara, e i Fanti, ch'erano dentro, uscirono fuori, e gli uomini levarono il Ponte, e non poterono tornare dentro, e così si perdè il detto Castello. Ivi, col 948 e: A dì VII del detto (agosto 1444) quelli di Montegaudio di quello di Pesaro si diedero al detto signor Galeazzo.

[28]Paltroni, Commentari, p. 67.

[29]Franceschini, Montefeltro, pp. 425-6.

[30]Per l'Anonimo autore del Chronicon Ariminense, col 948 c-d, l'assassinio avvenne il 22 luglio, giorno di S. Maria Maddalena, ad un'ora di notte. Lo stesso giorno fu levato signore Federico da Montefeltro. Concorda sulla stessa data l'autore della Cronachetta (p. 120 Baccini; p. 47 Scatena).

[31]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 946 c: A dì XXIV del detto (dicembre 1443) il prefato conte Francesco ebbe Montenuovo, e quello mise a saccomano, il quale era del Duca di Urbino. Ivi, col 947 c: A dì XVII di Marzo (1444) corse Bartolomeo Colleone a Cagli, e prese prede e persone assai. Una tregua di sei mesi tra Urbino e Rimini fu firmata il 16 giugno 1444 (Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 948 a).

[32]Tommasoli, Federico, p. 40: "Da oltre un secolo la compagnia di ventura forniva notevoli cespiti d'entrata, di cui beneficavano direttamente o indirettamente i sudditi, dato che, procurandosi denaro con le condotte, i conti potevano tenere la mano leggera su tasse, imposizioni e balzelli. Non sappiamo la consistenza pecuniaria delle condotte degli ultimi anni di Guidantonio: permisero comunque al conte di Urbino di non pesare sui sudditi anche se i numerosi richiami della compagnia per sventare gli assalti dei Malatesta avevano alquanto diminuito tale gettito di entrate. Al momento della morte di Guidantonio la compagnia di ventura resta nelle mani di Federico e quindi ad Oddantonio venne a mancare il gettito tradizionale dei Montefeltro: i soldi delle condotte". Vds. anche Franceschini, Notizie, p. 95.

[33]Franceschini, Notizie, p. 96. La "Cronaca di Anonimo veronese", nata nello stesso ambiente riminese del Chronicon Ariminense, riportata da Tommasoli (in Paltroni, Commentari, nota 2 pag. 68), sottolinea la complicità di Federico nel delitto (ma bisogna ricordare che tali notizie provengono dalla città del suo mortale nemico): ... Donde per lo mal vivere del dicto Oddo novo Signore, li citadini con consentimento, o sia non l'oviando, esso Federico che lo sapea, cominciò a congiurare contro ad esso Oddo con proposito de occiderlo e chiamare novo signore esso Federico. La cosa va ordinata adi XXII de luglio MCCCCXLIIII nanti dì nel alba; Piero de Fabriano, Cristophano de Massa, Piero Antonio de mess. Andrea de Paltroni (sc. l'autore dei "Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico Duca d'Urbino"), maestro Seraphino con soi seguaci corre alla Corte armati e fanno impeto de dovere a lui intrare ala furia; non potendo obviare, in camixa li aperse e così lo occise e con lui uno figlio de Carlo de Pii prothonotario et uno altro suo famiglio da Rimino. Et Federico, de ciò consapevole, senza strepito corse la terra et hebbela. Ho consultato la Cronaca in oggetto, edita da G. Soranzo (ANONIMO VERONESE, Cronaca 1446-1488, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915) ma non ho trovato il passo sopra riportato.

[34]Anonimo, Cronachetta, p. 120 Baccini: 1444, 22 Luglio - Fo la novità de Urbino ove fo morto el duca, et el nostro Ill.o Signor messer Federico fo creato Signore. Paltroni, Commentari, p. 68: ... subito fo avvisato da amici el conte Federico che dovesse viniri, et cossì venne et retrovò la terra tucta in arme et in grandissimo periculo de gran ruina de civile discordie et disensione per particulari odii et rancori de citadini infra loro. Le porte de la cità erano serate et, ancora che la volumptà de' citadini fusse universalmente bona verso el conte Federico, non però permisero che intrasse se prima non promisse per solemni sacramento: se obligò de may reconoscere cosa che fusse stata facta in quella novità e cossì fu introducto, et a voce et a consentimento unito da ciascheuno, facto et chiamato Signore. Il testo della convenzione è in F. UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi di Urbino, vol II, Firenze 1859, doc. n. 9, pp. 514-518. Vds. anche Franceschini, Montefeltro, p. 441.

[35]Esponenti della piccola nobiltà feltresca si ribellarono contro Federico in quel 1444. L'anomino autore del Chronicon Ariminense ricorda la ribellione di Giovanni Gabrielli, che cercò di prendere Frontone (col 949 d: A dì XXIV del detto (agosto 1444) entrò Giovanni de' Gabrielli in Frontone per Signore con ajutorio delle genti del Conte Francesco Sforza, e prese Frontone, che gli uomini il misero dentro, e poi fu cacciato fuori, perché quelli, che entrarono con lui, cominciavano a rubare il castello) e di Niccolò dei Perfetti di Vico (col 950 a: A dì XXV di Novembre (1444) Niccolò de' Perfetti si diede nelle mani del nostro Signore Magnifico Sigismondo Pandolfo de' Malatesti, e diegli Castello d'Elce, e Fazola). Sui fatti di Frontone vds. anche Paltroni, p. 71: ... el signor Sigissimondo... si mosse a rompere contra al conte Federico et, per tractato de alcuny, tolse una terra chiamata Frontone. Ma, tenendose la rocca, lo conte Federico subito venne al socurso et, commo fu veduto aparire, quilli che erano dentro abandonaro la impresa et missese in fugga, et non però la fugga fu cum tanta celerità, né reducto sì presso, che di loro non fussero morti et prisi. Su Casteldelci un cenno in Paltroni, p. 72.

[36]Tommasoli, Federico, p. 58; Franceschini, Montefeltro, p. 440. Rimasero indipendenti solo Osimo, Recanati, Fabriano e Ancona.

[37]Franceschini, Montefeltro, p. 443; Franceschini, Malatesta, p.  342.

[38]Franceschini, Malatesta, p. 342: "Le divergenze che costui aveva con Galeazzo di Pesaro furono rimesse ad arbitrato del cardinal Camerlengo e dello Sforza e, in virtù della sentenza arbitrale, Sigismondo Pandolfo ebbe Gradara, Monteluro, Granarola e Pozzo".

[39]Nel novembre 1444 aveva ottenuto il controllo dei tre castelli di Senatello, Casteldelci e Faggiola grazie alla connivenza della famiglia che, per Federico, li reggeva, i Prefetti di Vico.

[40]21.000 ducati in caso di guerra; 10.000 in tempo di pace. Era sola la prima di una serie di condotte, sempre più vantaggiose sotto il profilo economico, che Federico avrebbe firmato negli anni successivi con Sforza, Firenze, Napoli (Tommasoli, Federico, pp. 64-65).

[41]Franceschini, Malatesta, p. 343.

[42]Nel 1445, quando fu venduto Fossombrone a Federico da Montefeltro da parte di Galeazzo Malatesta, i castelli della città erano undici: Bellaguardia, Cartoceto, Caspessa, Castelgagliardo, Montalto, Montefelcino, Montemontanaro, S. Biagio, S. Gervasio, S. Ippolito e Torricella.

[43]W. TOMMASOLI, Signorie rinascimentali e tarda feudalità, in AAVV, "Il Montefeltro", Villa Verucchio, 1995, pp. 155-173, a pag. 164; Franceschini, Montefeltro, p. 448.

[44]Paltroni, Commentari,  p. 73: Per la qual cosa se augomentò lo odio del signore Sigissimondo verso il conte Federico, et crescette la inimicitia cum lo conte Francesco Sforza et signore Alexandro Sforza, prché a questo Stato havea sempre sperato el signore Sigissimondo Pandulpho, et cossì insieme cum lo odio crescette et continuò la guerra. Vds anche Tonini, Rimini, appendice di documenti al vol. V, pp. 162-163, doc. n. LI del 21 febbraio 1445 (lettera di Sigismondo che sfida a duello Federico).

[45]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 950 c: A dì XVI del detto (febbraio 1445, ma è errore per marzo, dato che una notizia successiva è datata "XXXI del detto"!) Missere Alessandro fratello del Conte Francesco Sforza corse la Terra di Pesaro, e fessi Signore. A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Alessandro Sforza signore di Pesaro, Pesaro 1785, p. XXIX: Nelle notizie del Germani di sopra citate così leggesi: nel 1445 adi 13 de Marzo la mattina i Castellani di Pesaro et li Contestabili delle porte, et li offitiali della guardia de la città di Pesaro giurarono esser fedeli al sig. Mes. Alexandro Sfortza. In el dicto millesimo adi 16 de Marzo el  d. sig. Alexandro corse la città di Pesaro per lui, et mise le sue bandere per tutte le porte. Ivi, pagg. XXIX-XX, ricorda anche, riportando il Germani, il giuramento di tutti li castelli de Pesaro quelli che se tenevano per la città di Pesaro, come fò la Comunità de Novilara, Monte Baroccio, Monte Ciccardo, Genestreto, S. Angelo, Monte S. Maria, M. Gaudio, Farneto, Montelabate, Montelevecchie, Legabiccie, Casteldimezzo, Fiorenzuola, e questo fò alle 20 di marzo. Da notare che sfuggono al controllo sforzesco Candelara e una gruppo di castelli nel nord del territorio cittadino, presso il confine con Rimini: Gradara (che era già possesso di Sigismondo Pandolfo), Granarola, Monte Luro, Pozzo e Tomba.

[46]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 951 c:  A dì XV del detto (luglio 1445) venne il Conte Francesco Sforza a campo a Candelara nel contado di Pesaro. A dì XXIII del detto ebbe Missere Alessandro Candelara a patti.

[47]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 951 d: A dì XXVI del detto (luglio 1445) ebbe il detto Misser Alessandro (Sforza) Saltara, e molte altre castella del contado di Fano, cioè Cartoceto, San Longarino, Bargne, Ripalta, Monte Maore e il Pozolo, e misele a saccomano.

[48]Franceschini, Montefeltro, p. 448.

[49]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 951 d: A dì IX del mese d'Agosto (1445) il Conte Francesco Sforza andò a campo alla città della Pergola, e a dì XXII l'ebbe, e misela a saccomanno. Ivi, 952 b: A dì XXII del detto (agosto 1445) e a ore ventitré, fu di Domenica, mise il Conte Francesco a saccomano la Terra, chiamata la Pergola, e furono rubate Chiese, Spedali, Preti, Frati, Suore, e Mondani e fu un grandissimo saccomano. Sull'assedio di Pergola vds. Nicoletti, Pergola,  pp. 171-182.

[50]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 953 b:  A dì X di Novembre (1445) mise el conte Francesco a saccomano Piano di Meleto, ch'era di Giovan Francesco da Piagnano. E nel detto mese mise a saccomano il detto Conte Montirone, ch'era del Signore Misser Malatesta, e mise a saccomano San Sisto, e Piole, ch'era del detto Giovan Francesco.

[51]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 953 c: A dì XXVIII del detto (novembre 1445)  mise il Signore Misser Malatesta Novello a saccomano Ripalta, e abbruciolla, ch'era di Misser Federigo. Sigismondo Pandolfo dopo la vittoriosa campagna nella Marca tornò a Rimini il 29 novembre 1445 (Ivi, col. 953 d).

[52]Franceschini, Malatesta, p. 396: Montecerignone, Valle S. Anastasio, Soanne, Montegelli e altre terre.

[53]Franceschini, Malatesta, p. 344.

[54]Tommasoli. Federico, p. 52; Franceschini, Malatesta, p. 398; D. BISCHI, Il castello dei Pecorari di Piobbico (Pesaro) nei secoli XIII-XVIII, note storiche, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie VIII n. 98 (1993), pp. 117-142, alle pagg. 124-125; L. DOMINICI, S. Agata Feltria illustrata, Novafeltria 1959, p. 151.

[55]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 954 c: A dì XXVI di Marzo (1446) fe' tagliare la  testa Misser Federigo da Urbino a Misser Giovan Paolo, a Maestro Giovanni da San Marino, e a Francesco de' Perfetti; e si diceva che volevano ammazzare il detto Misser Federigo. Vds. anche Franceschini, Malatesta, p. 398 e G. FRANCESCHINI, Di Sveva Montefeltro Sforza, signora di Pesaro, in "Studia Picena", vol XXV, 1957, pp. 135-136.

[56]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 955 a-b.

[57]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 955 c: A dì XVIII del detto (luglio 1446) si diedero quelli della Pergola al nostro Magnifico Signore Sismondo Pandolfo de' Malatesti, che prima era di Misser Federigo. Ancora si diè Monte Ghirardo, ch'era del contado di Cagli, e da lì altri sei dì il Quasta, ch'era Castellano, ... e tutto il Contado, ch'era di Cagli.

[58]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 955 e: A dì XXX del detto (luglio 1446) venne il campo della Chiesa su la Foglia, e venne a campo a Monte Ifabre, e lì piantò le bombarde, ed erano persone circa quatordici mila. Ivi, col 956 a: A dì III d'Agosto si rendè Monte Ifabre al Patriarca a patti, salvo l'aere e le prsone, che prima era di Misser Federigo da Urbino.

[59]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 956 a: ... poi si partì da lì (Montefabbri) a dì IV del detto mese (agosto 1446) e andò a campo a Colbordolo. A dì V detto il Signore Misser Sismondo Pandolfo con la gente della Chiesa mise a saccomano il Castello di Colbordolo, e tutti gli uomini prigioni, e poi fu abbruciato il Castello, secondo che si diceva, e v'erano abbruciate delle persone dentro, e morirono delle persone circa venticinque, e delle ferite assai.

[60]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 956 a: A dì VI d'Agosto (1446) andò il campo a Talachio. Ivi, col. 956 b: A dì XV del detto (agosto) si rendè il Castellano di Talachio al Patriarca per la Santa Chiesa, che lì erano state a campo da quindici o circa sedici mila persone. E si rendè a patti, salvo l'avere e la persona, e portossi valentemente Bellenzone Condottiere di Fanti, ch'era dentro per Misser Federigo, e aspettò tanto, che gli fu buttata giù la metà delle mura, innanzi che si volesse rendere.

[61]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 956 c-d: A dì XXI del detto (agosto 1446) si partì il campo della Chiesa da Talachio, e andò a Scorbaro. In quel dì si diede a patti al Signore Misser Sismondo Pandolfo de' Malatesti. E a dì XXII si partì da Sassocorbaro e andò a Nonano. A dì  XXVII del detto si levò il campo da Nonano, e andò a San Donato del Contado di Urbino. A dì XXVIII del detto mese il Patriarca mise il detto Castello di San Donato a saccomano, e tutti gli uomini prigioni, e poi abbruciò il Castello, e fu tutto spianato, e vi morirono poche persone.

[62]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 956 d: A dì XXX del detto (agosto 1446) venne il Patriarca, e il Vicerè, e il Signore Misser Sismondo Pandolfo de' Malatesti da campo a Monte Grimano di Monte Feltro, e in quel dì si rendè a patti al Patriarca, e a dì ultimo del detto andarono a campo a Monte Cerignune. Nel detto Millesimo al dì I di Settembre si rendè a patti il detto Monte Cerignune, e anche la Rocca, e anche in quel dì s'arrendè Monte Italle, e la Valle di Sant'Anastasio, i quali erano di Misser Federigo. Ivi, col 956 e: A dì XI del detto mise la gente della Chiesa lo sventurato Castello di Monte Boagine a saccomano, ch'era di Misser Federigo, e poi l'abbruciarono.

[63]Paltroni, Commentari, p. 75-76: Et venendo lo exercito de Eugenio validissimo come è decto, pensando che cum pocha resistentia devorare quello Stato como haveano facto la Marcha, atrovaro altra resistentia che non si pensavano perché le mura erano validate et corborate da la fidelità che portavano li homini al conte Federico, et anco de la sua providentia erano bene previdute a defenderse, intanto che may hebero una capanna se non per vera forza et asedio cum bonbarde; et benché facessero et usasero multe crudelità a le terre prese per forza, non solo da sachegiare et rescotere prigiuni, vituperare donne etc. ma etiam cum scarcare et brusciare le terre, nondimanco lo animo de li homini del conte Federico, acisi de summa afecione et fidelità, se incrodelivano per tal cose che altramente et non altra stima facevano che combattuto havessero per la christiana fede.

[64]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 955 c: A dì XXIII del detto (luglio 1446) s'accordarono Missere Alessandro Sforza con la Santa Chiesa, e fu rinovato di Pesaro, secondo che si diceva. Vds. anche Olivieri, Alessandro Sforza, XXXVI.

[65]F. COGNASSO, I Visconti, Varese 1972, p. 466.

[66]Olivieri,  Alessandro Sforza, XXVII. Chronicon Ariminense, col. 957 c: A dì IX del detto (ottobre 1446) ebbe il detto Conte Francesco Monteluro, e Pozzo, e ebbelo a patti da i Cittadini, i quali poterono più che non poterono i fanti forestieri. Il detto Castello era del nostro Magnifico Signore. Ivi, col. 957 d: Il dì detto (12 ottobre 1446) ebbe il Conte Francesco Tomba di Monte Pollozo del Contado di Pesaro, e misela a saccomano, ch'era del nostro Magnifico Signore.

[67]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 957 e: Nel detto millesimo venne il Conte Francesco Sforza a campo a Gradara a dì XVII d'Ottobre. Ivi, col. 958 a: A di XXVII di Novembre si partì il Conte Francesco da campo da Gradara, che li era stato quarantadue dì, e si partì con poco onore, e furongli morti molti uomini d'arme da piè, e da cavallo del detto Conte; e sempre dì e notte le bombarde tiravano e diegli il guasto, che non rimase frasca sopra la terra per isdegno, che non l'avea potuta avere, e diegli molte battaglie, e gli uomini di d. Castello sempre solleciti con ripari, portaronsi valentemente. Vds. anche Paltroni, Commentari (dà la colpa dell'insuccesso al tempo!),  p. 77 (Ma già era passato parte del mese de novembre, quando se andò a campo a Gredara dove si stette quaranta die, che may fece altro che piovere et mettere neve coninuamente cum grandissima tempesta, intanto che may fo pusibili a dare bataglia) e A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Gradara, terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775 , pp. 87-88.

[68]Chittolini. Su alcuni aspetti, p. 78: Montecerignone, Montegrimano, Valle S. Anastasio, Soanne, Montemaggio, Tausano, Montefotogno, Montecopiolo, Monteboaggine, Montetassi, Ripalta, Monte Licciano, Castelnuovo (presso S. Leo), Rontagnano, Montegelli, Savignano, Pietracuta, Pietra Maura, Peglio, Metola, Monterolo, Frontone, Montebello; Casteldelci, Senatello e Faggiola (già dei Prefetti di Vico); Fenigli, Belvedere, Buscareto, Cartoceto; Sassocorvaro, Monte Locco, S. Croce, Lunano,  Torre Abazia; Petrella (incerto se Guidi o Massana). Vds. anche Tommasoli, Federico, pp. 63-4. Non sono inoltre ricordati i territori già concessi a Federico da Montefeltro nel 1443 e già a lui spettanti de jure.

[69]Chittolini, Su alcuni aspetti, p. 78.

[70]Chittolini, Su alcuni aspetti, p. 78: "Molte delle terre nominate non erano di fatto in mano a Federico: così era per Casteldelci, Senatello, Faggiola (ai Malatesta nel 1439) e Sassocorvaro, Montegrimano, Montecerignone, Monte Boaggine, Monte Tassi, Soanne, Valle S. Anastasio, Montegelli, occupate dai Malatesta nel 1446-7". I territori su cui i Malatesta avevano regolare investitura,  confermati dal Niccolò V con il vicariato generale del 1450, sono: per i due Malatesta, le città e terre di  Rimini, Fano, Cesena, Bertinoro, Cervia, Sestino, S. Leo; per il solo Sigismondo Pandolfo, Senigallia, Pergola, Gradara, Vicariato di Mondavio, Pennabilli, Casteldelci, Talamello e rettorato di S. Agata. Nel 1452 si aggiunsero Montemarciano e Montecassiano (Chittolini, Su alcuni aspetti, p. 79).

[71]Olivieri, Alessandro Sforza, pp. XXXVII-XXXVIII); Olivieri, Memorie di Gradara, p. 89; F. AMBROGIANI, Il vicariato degli Sforza a Pesaro, in “Pesaro città e contà” 13 (2001), pp. 5-16, a pag. 5. Da notare che, in seguito alla morte della moglie di Alessandro Sforza, Costanza Varano, avvenuta il 13 luglio 1447, vennero ulteriormente rinsaldati i rapporti tra Federico e il signore pesarese (entrambi uniti nell'ostilità per Sigismondo Pandolfo di Rimini) con il matrimonio tra Sveva, sorellastra di Federico, e Alessandro Sforza (celebrato il 9 gennaio 1448).