Capitolo XV

 

Federico da Montefeltro e Sigismondo Pandolfo Malatesta

 

 

1447-1448: le provocazioni di un principe irrequieto

Il 1 settembre 1447 ci fu un'insurrezione popolare a Fossombrone (che era entrata nel dominio feltresco solo da poco più di due anni dopo una quasi secolare dominazione di casa Malatesta), sostenuta dall'intervento di elementi provenienti dalla vicina Fano: gli insorti ottennero il controllo della città mentre nella rocca si rifugiavano le truppe fedeli a Federico da Montefeltro[1]. Il Conte di Urbino però radunò subito gli uomini e rioccupò la città sgominando la resistenza malatestiana (3 settembre); mentre i ribelli fuggivano a Fano, le soldataglie feltresche si abbandonarono, per due giorni, al feroce saccheggio del centro abitato[2]. Insieme alla città erano insorti anche i castelli del contado, dove i ribelli furono affiancati attivamente le milizie di Sigismondo Pandolfo[3]: negli anni successivi i Feltreschi recuperarono alcuni castelli, ma altri rimasero in mano malatestiane fino al 1459[4].

Nel periodo compreso tra febbraio e luglio 1447 un tal Niccolò, sostenitore del solito signore di Rimini, spinse alla ribellione il castello di Monteluro, situato in territorio pesarese vicino al confine con i domini di Sigismondo Pandolfo; la sua impresa ebbe in un primo momento pieno successo, ma ben presto Alessandro Sforza riuscì a rioccuparlo[5]. Partito però il signore di Pesaro per la Lombardia (assedio di Piacenza, dal 1° ottobre 1447), Sigismondo Pandolfo riprese i suoi maneggi per riavere il castello e si valse, a tal fine, di Galeazzo Malatesta, che, pentitosi di aver venduto la signoria di Pesaro e Fossombrone, da Firenze, ove si era ritirato, era tornato a Rimini il 29 ottobre 1447: poco dopo questa data Monteluro fu quindi di nuovo occupato in nome di Galeazzo e Sigismondo Pandolfo. Intervennero però le truppe pesaresi e risolsero per sempre la questione: dictum castrum destructum est et funditus submersum[6].

Aragonesi di Napoli e Fiorentinisi scontrarono nello stesso anno in Toscana: i primi decisero di assoldare sia Federico sia Sigismondo Pandolfo e i due condottieri pertanto firmarono una tregua il 15 novembre 1447[7]. Ma il signore di Rimini passò ben presto al campo avverso (dicembre 1447) e, oltre a tradire gli impegni sottoscritti, ebbe la pessima idea di non restituire ad Alfonso d’Aragona i soldi della condotta che gli erano stati anticipati: il Re di Napoli da questo momento avrebbe cercato di vendicarsi in ogni modo del torto subito. I risultati della guerra furono per altro favorevoli a Firenze: Sigismondo Pandolfo sconfisse l'esercito napoletano, costringendolo ad interrompere l’offensiva.

Nel successivo 1448 assunse una preoccupante intensità la sanguinosa guerra tra Montefeltro e Sforza da una parte e Malatesta di Rimini e collegati (conti Oliva di Piandimeleto, conti di Carpegna) dall'altra, consistente in incendi, saccheggi, furti di bestiame, colpi di mano, conquista di piccoli castelli, uccisioni di avversari caduti nelle proprie mani. Lo stato di belligeranza generalizzata interessava tutto il territorio provinciale e, dato che nessuno dei contendenti aveva la possibilità di sconfiggere definitivamente l'avversario, ne risentivano le popolazioni dei territori contesi.

Nel marzo 1448 Talacchio fu rioccupato dai Feltreschi[8]; lo stesso avvenne, nel mese successivo e con il pieno appoggio degli abitanti, a Monte Grimano, Monte Tassi e Valle S. Anastasio[9]. Tuttavia, dopo alcuni scontri vittoriosi contro i Feltreschi[10], le milizie malatestiane rioccuparono tali castelli nel mese di aprile[11].

Sigismondo Pandolfo inoltre, in procinto di partire per la guerra in Toscana, avendo a disposizione un consistente esercito (arruolato per conto e con i soldi dei Fiorentini), non perse l'occasione di togliere, prima che iniziassero le operazioni di guerra, una trentina di castelli al suo nemico: intervennero però i Fiorentini e furono restituiti a Federico[12]. Negli stessi anni saccheggi e ostilità ai danni di Pesaro effettuate dalle truppe riminesi: sono ricordati sia nel 1448[13], sia l'anno successivo[14].

 

Il rovesciamento delle alleanze e le guerre degli anni 1450-54

La guerra di successione per la Lombardia si era conclusa, nel 1450, con la piena vittoria di Francesco Sforza, nuovo duca di Milano, e con un capovolgimento delle alleanze; mentre nei decenni precedenti Milano e Firenze si erano trovate in campi opposti, la prima alleata spesso a Napoli, la seconda a Venezia, ora si formò un diverso collegamento: Milano e Firenze contro Venezia e Napoli.

Federico da Montefeltro e Sigismondo Pandolfo Malatesta sono impegnati nelle continue guerre di quegli anni al servizio delle varie potenze[15], che si combattono un po' in tutta Italia ma soprattutto in Toscana. Ebbero però anche il tempo di incrementare l'odio reciproco nell'estate 1450, quando il primo giocò il secondo sulla questione di Pesaro: dopo avergli fatto intravvedere la propria disponibilità ad accettare l'occupazione malatestiana di Pesaro in cambio di alcuni castelli del Montefeltro, vi mandò, prima che vi giungesse il signore di Rimini con le sue truppe, 400 fanti per difenderla. Sigismondo così abbandonò una favorevole condotta con Venezia senza ottenere alcun risultato, con gran gioia di Francesco Sforza, che vedeva allontanarsi dal Settentrione uno dei condottieri più capaci al servizio dei suoi nemici[16].

Continuarono naturalmente i saccheggi degli uni e degli altri ai danni del territorio degli avversari. Saccheggi nel contado di Fano da parte di truppe urbinati sono ricordati  nel 1450[17] e nel 1452 (anno in cui i Feltreschi tentarono anche, inutilmente, di conquistare la città)[18].

 

La pace di Lodi (1454) e la crisi di Sigismondo Pandolfo Malatesta

Finalmente le opposte coalizioni compresero che nessuna delle due parti aveva forze sufficienti a distruggere completamente l'altra e venne firmata una pace, a Lodi, tra Venezia e Milano (9 aprile 1454), seguita, nel novembre dello stesso anno, dalla firma di una lega (Lega Italica) che aveva il compito di assicurare la pace tra le parti. Erano però esclusi dall'accordo, su precisa richiesta di Alfonso d'Aragona, la Repubblica di Genova e i due stati di Faenza e Rimini: quest'ultimo per la nota questione del denaro sottratto da Sigismondo Pandolfo nel 1447 che il re di Napoli voleva gli fosse restituito[19].

Con la pace la situazione dei piccoli signori-condottieri peggiorò notevolmente, dato che era loro preclusa la possibilità di essere ingaggiati dagli Stati maggiori[20]. Tra costoro la situazione di Sigismondo Pandolfo era peggiore, perché, oltre che senza condotte, era isolato e esposto alla vendetta dei suoi nemici, Alfonso di Napoli e Federico da Montefeltro[21]. Inoltre i rapporti con Alessandro Sforza erano quanto mai tesi dal momento che era stato fatto il suo nome come mandante di una congiura, scoperta nel marzo 1454, che aveva lo scopo di consegnare Pesaro al signore di Rimini e che fu sventata con l'arresto di un tal Giovanni Bruno, pesarese, e di due suoi complici[22].

Inoltre Sigismondo, accettando nell'ottobre 1454 il comando delle truppe che i Senesi volevano utilizzare contro gli Aldobrandini da Pitigliano, scontentò un po' tutti: i Fiorentini, naturali nemici di Siena; Francesco Sforza, che temeva per i possedimenti che aveva nella zona un suo parente, Buoso di Santa Flora; i Senesi stessi che dapprima accusarono Sigismondo di tirare per le lunghe la campagna per aumentare il suo compenso, poi di connivenza col nemico e di furto. Questa disgraziata campagna finì addirittura con uno scontro tra Senesi e truppe malatestiane in ritirata, il 26 dicembre presso il torrente Bruna, nel quale Sigismondo Pandolfo perse uomini, carri e oggetti personali. Per completare il quadro desolante, i Senesi fecero sapere a tutte le cancellerie italiane le malefatte del signore di Rimini, che così si trovò, ai primi del 1455, ancora più isolato[23].

 

1457: complotto a Pesaro

La reputazione di Sigismondo Pandolfo non migliorò neppure due anni dopo (nel frattempo possono esser ricordate le solite sanguinose scaramucce tra Montefeltro e Malatesta)[24], quando il signore di Rimini fu accusato da Alessandro Sforza di essere la mente di un complotto in cui aveva avuto un ruolo importante, secondo lui, anche sua moglie, Sveva Montefeltro Sforza.

Costei, ultima delle tre figlie di Guidantonio da Montefeltro e Caterina Colonna, era nata nel 1434 ed  era stata concessa in moglie al signore di Pesaro nel 1447, quando  aveva quattordici anni e lo sposo quasi quaranta[25].

Non è possibile sapere con certezza come andarono le cose: secondo Alessandro Sforza, Sveva sarebbe stata colpevole d'adulterio e, d'accordo con la zia, Vittoria Colonna (moglie di Galeazzo Malatesta, ex signore di Pesaro), di tentato veneficio (e al complotto avrebbe partecipato anche il solito Sigismondo Pandolfo, che voleva la signoria di Pesaro); secondo Vittoria Colonna l'accusa era infondata ed era solo un modo escogitato dallo Sforza (che aveva, secondo lei, già più volte cercato di sopprimere la moglie di nascosto col veleno o di strangolarla sotto i suoi occhi) di sbarazzarsi della incolpevole moglie. La conclusione della vicenda comunque fu che Sveva si dichiarò rea d'adulterio, fu sciolta dal vincolo matrimoniale e si rinchiuse in convento[26].

 

Lo stato malatestiano intorno al 1457

Il 1457 segna l'inizio della fine di Sigismondo Pandolfo, che viene travolto da una serie di avvenimenti, parte dei quali sicuramente dovuti alla politica spregiudicata che aveva caratterizzato la sua azione negli anni precedenti, e che faranno sì che nel giro di pochi anni lo stato malatestiano veda addirittura messa in discussione la sua stessa esistenza. Intorno al 1457, comunque, "la potenza malatestiana non inclinava punto a decadenza: lo stato di Sigismondo Pandolfo e quello di Domenico Malatesta suo fratello... conservavano ancora i segni della grandezza avita e sembravano anzi destinati ad una lunga e gloriosa esistenza"[27].

"Lo stato di Sigismondo Pandolfo era assai vasto e ricco; era una riunione di vari feudi o vicariati concessi ai di lui progenitori e a lui stesso dai romani pontefici: verso il 1457 esso comprendeva con Rimini tutte le terre di Romagna, limitate press'a poco a settentrione dal Pisciatello e dal medio e alto corso del Marecchia, a occidente dall'Alpe della Luna e dal Monte Bello, a mezzogiorno dal corso del Foglia. Lungo questa linea di confine erano come ora: Bellaria, S. Mauro, Gatteo, Montiano, Longiano, Savignano, Sant'Arcangelo, Borghi e alla destra del Marecchia Verucchio, San Leo, Pennabilli e sulla sinistra del Foglia Sestino, San Sisto, Pietrarubbia, Macerata, Certaldo, Auditore, Tavoleto, Mondaino, Saludecio, Meleto, Monte Gridolfo, Montefiorito, San Giovanni in Marignano e Gradara. Di là da questi limiti alcune altre terre di Romagna e del Montefeltro appartenevano di fatto a Sigismondo: Scorticata, Uffogliano, Talamello, Sant'Agata, Casteldelci presso la riva sinistra del medio Marecchia, Sassocorvaro sulla destra del medio Foglia e Citerna sulla destra dell'alto Tevere"[28].

"Sigismondo nella Marca aveva inoltre non meno importante signoria, che si estendeva lungo la riviera adriatica dalla costa di Fano a quella di Montemarciano e quindi con queste due città anche la ben munita Sinigaglia. In mancanza di una linea naturale precisa e determinata indicherò alla meglio i confini dello stato malatestiano, enumerando le terre, che lungo quelli si trovano; e per cominciare da settentrione e dalla costa di Fano procedendo verso l'interno erano di Sigismondo: San Biagio, Cartoceto, Pozzuolo, Ripalta, Saltara, Serrungarina sulla sinistra del Metauro; a ponente: Villa del Monte, Sant'Ippolito, Isola di Fano, Montevecchio, Pergola; a mezzogiorno da questa cittadella a Montemarciano erano del Signore di Rimini: San Vito, Montescudo, Nidastore, Castelleone, Ostra, Morro e la stessa Montemarciano. Fra queste terra era compreso l'intero Vicariato di Mondavio"[29].

 

Federico e il Piccinino contro Sigismondo (1457-59)

Il lungo strisciante conflitto tra Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta ebbe, come già accennato, un notevole sviluppo negli anni 1457-59, quando il signore di Rimini fu attaccato dalle truppe feltresche e da quelle aragonesi.

Dopo un tentativo di pacificazione tentato dal duca di Modena, Borso d'Este, durante il quale per poco i due non vennero alle mani[30], Federico nel giugno 1457 era  a Napoli e convinse re Alfonso che era la volta buona per sbarazzarsi dell'odiato signore di Rimini. L'Aragonese inviò pertanto nella nostra provincia le truppe di un condottiero di ventura al suo servizio, Giacomo Piccinino, dal canto suo intenzionato a ritagliarsi un dominio in Italia centrale a spese di Sigismondo[31].

Il Piccinino giunge pertanto nel novembre a Fossombrone[32], dove pose gli alloggiamenti del suo esercito, e iniziò subito le operazioni contro i possedimenti malatestiani, conquistando, prima dell'arrivo dell'inverno, una serie di castelli del Fossombronese e del Montefeltro[33].

L'offensiva, sospesa nei mesi invernali, riprese nella primavera del 1458: dal marzo le operazioni interessarono la zona di Carpegna (dove vennero conquistati alcuni castelli e dove il conte Lamberto fu costretto ad abbandonare il signore di Rimini e mettersi sotto la protezione del re di Napoli)[34] e altri castelli del Montefeltro, che vengono conquistati, e talvolta saccheggiati[35]. Fu la volta quindi di Fratte castello opolentissimo de vitualie in lo Vicariato, et fu vinto per forza et misso a saccomanno e di altri castelli vicini[36].

Nella seconda metà del 1458 l'offensiva venne interrotta perché la morte di Alfonso di Napoli (avvenuta il 27 giugno 1458) e di papa Callisto III (6 agosto) misero in secondo piano lo scontro Montefeltro-Malatesta. Alla morte del Papa infatti, nell'interregno che precedette l'elezione del nuovo pontefice (Pio II, eletto il 19 agosto, consacrato il 3 settembre 1458), il Piccinino scese in Umbria occupando varie terre della Chiesa (Assisi, Gualdo, Nocera e Bevagna), che pretendeva a lui spettassero come eredità paterna[37].

Federico riuscì poi a convincere il Piccinino a consegnare le città occupate alla Chiesa e a riprendere l'offensiva. Nel frattempo Sigismondo Pandolfo, che poteva contare anche sulla benevolenza del Duca di Milano, interessato a impedire la supremazia aragonese nella regione[38], non era stato con le mani in mano e aveva recuperato Sassocorvaro, la Castellaccia di Carpegna (ma il suo tentativo di occupare Carpegna si concluse con un insuccesso per l'arrivo del conte di Urbino) e spianato tre castelli di Federico, Piandelmonte, Secchiano e Uffogliano[39].

Nel settembre fu la volta dei Feltreschi che, aiutati anche da milizie inviati dall'Umbria dal Piccinino, presero e misero a sacco Tavoleto e, in quel mese e in quello successivo, vari luoghi del Montefeltro e del Riminese[40].

Se l'andamento della guerra non era stata positivo per Sigismondo Pandolfo nel 1458, fu disastroso nell'estate successiva quando furono conquistati, e in molti casi saccheggiati ed incendiati, trenta tra terre e castelli del Montefeltro, alcuni dei quali di notevole importanza[41]: secondo il Berni, dall'inizio della guerra erano stati tolti a Sigismondo Pandolfo ben centoquindici castelli, molti dei quali assaccomannati, ed arsi[42].

Intervenne a questo punto il Papa, interessato alla pace in Italia come condizione indispensabile per organizzare una crociata contro i Turchi, che avanzavano minacciosi nella Penisola Balcanica. Egli fu investito dai tre interessati (Re di Napoli, Federico e Sigismondo Pandolfo) del lodo e pertanto emise la sentenza la sera del 6 agosto 1459: come garanzia del pagamento del debito (salito nel frattempo, con il pagamento degli interessi, a 50.000 ducati) nei confronti del regno di Napoli, il Malatesta avrebbe dovuto consegnare al Papa diverse terre delle Marche (Senigallia, Montemarciano, Mondavio con il Vicariato, Morro d'Alba); avrebbe inoltre dovuto restituire a Federico, con l'intermediazione del papa stesso, vari castelli e, per un certo periodo (fissato successivamente dal papa), gli era precluso l'attività di condottiero (e quindi la possibilità di avere decenti cespiti d'entrata): in definitiva, se la guerra era stata disastrosa per Sigismondo Pandolfo, la pace era stata una completa disfatta, appena compensata dal fatto che anche Federico avrebbe dovuto restituire i castelli tolti al Malatesta e ancora in suo possesso[43].

Nei mesi successivi i due belligeranti ottemperarono a quanto concordato a Mantova[44] e pertanto la pace fu solennemente bandita il 29 ottobre 1459.

 

La guerra nel Regno e l'ultima avventura di Sigismondo Pandolfo

Sigismondo Pandolfo aveva accettato una pace per lui umiliante dato che non aveva in quel momento altra scelta. Ma di lì a poco le cose mutarono: il conte francese Giovanni d'Angiò, pretendente al trono di Napoli, intraprese, dall'ottobre 1459, una spedizione contro Ferrante d'Aragona. Con il secondo si schierarono Pio II e Francesco Sforza; con il primo gran parte dei baroni napoletani, insofferenti del potere del Re, e anche il condottiero Francesco Piccinino, esasperato per il modo in cui i signori d'Italia (e in particolare il Re di Napoli), dopo averlo utilizzato facendogli balenare la speranza di farsi uno Stato a spese di Sigismondo Pandolfo, l'avevano trattato. I primi scontri furono favorevoli per il partito angioino (Sarno, 7 luglio;  S. Fabiano, 22 luglio 1460).

L'occasione era troppo buona per lasciarsela sfuggire e pertanto Sigismondo Pandolfo nell'agosto 1460 si apprestò a scendere in guerra dalla parte di Giovanni d'Angiò. Pio II a questo punto lo denunciò come perturbatore della pace (21 agosto 1460) e si apprestò a muovergli guerra[45].

Per tutta risposta il Malatesta si impossessò, nel novembre di quello stesso anno, di Senigallia, Vicariato di Mondavio e Montemarciano[46], il che spinse il Papa a scomunicare Sigismondo Pandolfo e il di lui fratello Malatesta Novella (25 dicembre 1460) e a sciogliere i sudditi dal vincolo di fedeltà[47]. Contemporaneamente il processo, intentato nei suoi confronti, si concludeva in modo poco appagante per il signore di Rimini che "fu considerato omicida, sacrilego, incestuoso, fabbricatore di monete false, traditore della Chiesa, adultero, sodomita, eretico... e la sua immagine bruciata in effige a Roma "[48].

Ormai non era più tempo di parole; il primo scontro fu favorevole a Sigismondo Pandolfo che, il 2 luglio 1461, sconfiggeva l'esercito pontificio a Nidastore, presso S. Lorenzo in Campo. Ma vincere una battaglia non equivaleva a vincere la guerra, soprattutto perché il papa era deciso, costasse quel che costasse, a sbarazzarsi per sempre dell'infido signore di Rimini[49].

Nel corso del 1462, frattanto, le truppe angioine subirono diverse sconfitte e contro Sigismondo, che si accingeva a scendere nel Meridione, fu chiamato Federico da Montefeltro, che nel frattempo aveva combattuto al servizio di re Ferrante nel Regno di Napoli.

Cercando di evitare l'esercito feltresco, nella notte tra 12 e 13 agosto 1462 il Malatesta fu intercettato sul Cesano, mentre da Senigallia si ritirava a Fano: lo scontro si concluse con una netta vittoria di Federico. Sigismondo riuscì comunque a riparare a Fano e il figlio Roberto, con parte dell'esercito, a Mondolfo[50].

Da questo momento si susseguirono le conquiste dell'esercito feltresco-pontificio ai danni di Sigismondo Pandolfo. Tra agosto e settembre Federico occupò il Vicariato[51] e rimasero al suo avversario nelle Marche, pertanto, solo le città di Fano e Senigallia e i castelli di Gradara, S. Costanzo e Mondolfo. Fu la volta quindi del territorio di Rimini, che venne interamente conquistato tra settembre e novembre[52], di Colcellalto e del Piviere di Sestino (25 ottobre)[53]. Nel dicembre uscì dal conflitto il fratello di Sigismondo Pandolfo, Malatesta Novello da Cesena e il signore di Rimini rimase veramente solo. A questo punto le operazioni subirono però una pausa, in coincidenza dei mesi invernali, e vennero riprese nella primavera del 1463. Ne approfittò il Malatesta per rioccupare alcuni castelli[54].

La situazione però era ormai compromessa: le sconfitte per i riminesi proseguirono nella primavera del 1463, quando l'esercito di Federico, dopo aver occupato alcuni luoghi del Montefeltro e recuperato i castelli del contado di Fano,[55] si pose, dal giugno, all'assedio di Fano, la cui resa, il 25 settembre di quell'anno (ma la rocca si arrese solo il 3 ottobre), segnò praticamente la fine del dominio malatestiano nelle Marche[56]: si arrendevano di lì a qualche giorno anche Senigallia (5 ottobre), Mondolfo, S. Costanzo, Gradara e i castelli rimasti a Sigismondo del Montefeltro (Pennabilli, Maiolo, S. Leo, Pietrarubbia, S. Agata...)[57].

 

La pace del 1463

Alla fine di ottobre 1463 papa Pio II, spinto da Venezia, che non poteva permettere la distruzione completa dello Stato malatestiano, concesse finalmente la pace a Sigismondo Pandolfo che dovette confessarsi peccatore pentito e fare atto di penitenza. Le condizioni di pace furono durissime: rimanevano al signore di Rimini solo la città e tre miglia di territorio intorno ad essa; tutti gli altri domini passavano alla Santa Sede, ma una parte di tali terre fu data a coloro che avevano fatto parte della coalizione antimalatestiana o venne infeudata a personaggi graditi alla Curia.

In particolare Federico da Montefeltro ebbe una quarantina castelli del Montefeltro e dieci del Contado di Rimini[58]. Alessandro Sforza ottenne Gradara e Castelnuovo[59]. Senigallia, Montemarciano e il Vicariato di Mondavio furono affidati, il 28 novembre 1463, ad Antonio d'Aragona de' Piccolomini, duca d'Amalfi, nipote del Papa e genero di re Ferdinando[60]; Fano diventò dominio diretto della Chiesa (alla città vennero aggregate anche i castelli riminesi di Mondaino e Montefiore)[61].

Inoltre la Repubblica di San Marino ebbe con bolla del 27 giugno 1463 le terre di Mongiardino, Fiorentino e Serravalle, già a lei promesse l'anno precedente dal cardinal di Teano[62] e un capitano d'armi pontificio, Antonello Zampeschi da Forlì,  il feudo di Talamello, nel Montefeltro[63].



[1]P. PALTRONI, Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico Duca d'Urbino (a cura di Tommasoli W.), Urbino 1966, p. 78. ANONIMO, Chronicon Ariminense ab anno circiter MCLXXXVIII usque ad annum MCCCLXXXV (auctore Anonymo, ac deinde continuatum per alterum Anonymum usque ad annum MCCCLII), in "Rerum Italicarum Scriptores", Milano 1729, tomo XV, pp. 889-967, col 960 b: Nel detto Millesimo (1447) a dì primo di Settembre si diede il Popolo di Fossombrone al nostro Magnifico Signore Sismondo Pandolfo de' Malatesti, e il chiamò suo Signore, che prima era di Misser Federico da Urbino. Vds. anche G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, p. 347.

[2]Paltroni, Commentari, pp. 78-80 (che insiste sulla generosità e umanità di Federico ita ut merito appellari possit victor clementissimus); Anonimo, Chronicon Ariminense, col 960 b.

[3]Paltroni, Commentari, p. 82. Anonimo, Chronicon Ariminense, col 960 c: Del detto Millesimo a dì VIII di Novembre entrarono i fuoriusciti di Fossombrone in Montalto del Contado di Fossombrone, e tolsero Bellaguarda, Casaspessa, San Biaggio, San Gervaso, e la Torricella a petizione di loro.

[4]Paltroni, Commentari, p. 83: Continuò el signore Sigissimondo per alcuno tempo la guerra contra el Stato del conte Federico, in la quale niente acquistò da quilli pochi castelli che rebellarno per lo modo decto de sopra; anzi, rebellandosi San Cervasio, luoco del contà de Fossombrone et tenendosi la rocca, li subditi del conte Federico la socursero et recuperaro lo castello cum vergogna et danno de quilli che erano intrati.

[5]A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Alessandro Sforza signore di Pesaro, Pesaro 1785, p. XLI.

[6]Anonimo, Chronicon Ariminense, col. 961 d: A dì XXV di Gennajo (1448) tolse il Signor Galeazzo Monteluro con l'ajutorio delle cerne del nostro eccelso Signore Misser Sismondo Pandolfo de' Malatesti, il qual casello era del contado di Pesaro. Olivieri, Alessandro Sforza, pp. XLI-XLII.

[7]O. CAVALLARI, Sigismondo Malatesta, Rimini 1978, p. 139.

[8]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 962 c: A dì XX di Marzo (1448) fecero i Commissarj di Misser Federigo l'entrata di Talacchio, che lo furarono, perché non si guardarono.

[9]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 962 c: A dì primo di Aprile (1448) gli uomini di Monte Grimano, di Monte Itasse, della Valle di Sant'Anastasio in Monte Feltro misero i Commissarj di Misser Federigo di notte tempo dentro alle dette Castella.

[10]Anonimo, Chronicon Ariminense, coll. 962 (d-e) - 963 (a): lettera di Giovan Francesco Oliva di Piagnano in cui ricorda come il 4 aprile 1448 abbia sconfitto circa 300 fanti nemici in luogo detto Pozzo Bolognino non lontano dalla Serra di Pietrarubbia, catturandone più di duecento e costringendo i superstiti a rifugiarsi a Frontino. Altra lettera ivi presente, col 963 (a-b), di diverso mittente, ricorda un ulteriore scontro, vittorioso per i Malatestiani, avvenuto l'8 aprile presso la Serra di Pietrarubbia.

[11]Anonimo, Chronicon Ariminense, col 963 c: A dì X d'Aprile (1448) si renderono a patti Monte Grimano, e Monte Itasse, che prima s'erano ribellati al nostro Signore et eransi dati a Misser Federigo... E poi si partirono da i detti Castelli, e andarono a campo alla Valle di Sant'Anastasio, che s'era ribellata, et eravi dentro Giovanni da Culdazzo con circa trenta fanti forestieri. E a dì XI del detto ebbe la gente del nostro Magnifico Signore la detta Valle a patti, ch'erano circa cinque mila persone tra genti d'armi, e fanti forestieri, e cerne.

[12]Franceschini, Malatesta, pp. 350-351.

[13]Olivieri, Memorie del porto di Pesaro, Pesaro 1774, p. 52

[14]Olivieri, Alessandro Sforza, p.  XLIV.

[15]Dal 1 settembre 1450 al 1 settembre 1451 Federico da Montefeltro fu al servizio di Francesco Sforza (G. FRANCESCHINI,  I Montefeltro, Varese 1970, p.  461). Il 2 ottobre 1451 firmava i capitoli di una condotta al servizio del Re di Napoli (Ivi, p. 464).

[16]Cavallari, Sigismondo, pp. 189-190. Sui fatti di Pesaro, visti da prospettiva federiciana, vds. Paltroni, Commentari, pp. 93-97. La vicenda è ricostruita in G. SORANZO, Un fallito tentativo di Sigismondo Pandolfo Malatesta in Pesaro (giugno 1450), in "Le Marche Illustrate", X (1911), vol. 1, fasc 5-6

[17]P.M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, vol. I, p. 412: furono saccheggiate Ripalta, Serrungarina, Isola Gualteresca, Cartoceto e Saltara.

[18]ANONIMO VERONESE, Cronaca 1446-1488 (a cura di G. Soranzo), Venezia 1915, pp. 32-33: Federico de Montefeltro, conte de Urbino, cercha con gran sagacità di volere con tradimento tuore a Sigismondo Malatesta Fanno (sic), sua terra, et cautamente fa che Roberto de Misino et / Nicolò de Zanino citadini li fanno, per prodire ditta terra, coniuratione. La cosa si concluxe chè in Fano non si trova soldato alcuno de Sigismondo. Roberto, datto l'ordine e lo dì terminato, scrive a Federico lo modo. Federico con tutte suo giente si mette in ordine, et con molti fanti de Alfons re, che con seco havea, prchè era suo capitanio, cavalcha tutta la notte, et pervenuto a la porta, Roberto con duo compagni, prexa la port de Sinigaglia, così chiamata, l'apre et pande l'adito a le giente de Fedrico. Comincia la giente a correre la terra, et facendo impeto per la strata de S. Antonio, et già erano presso la piacia pervenuti, li habitanti de la terra del caxo inscii, odito il romore, si levano in camixa et fanno ne le giente virilmente impeto. Le quale non da lhoro foron de la terra in non molto spatio scatiate, ma da la divina volontà, o sia che da per lhoro si caciassero. Stimossi più de III mila persone, quaxi la più parte intrati, havendo in dominio la porta, si lassasse da scalzi scatiare; et ciò fu adì *  de aprile MCCCCLII. Vds. anche Amiani, Memorie istoriche, pp. 414-416, che corrisponde alla narrazione e che data l'avvenimento alla notte tra il 28 e il 29 aprile 1452.

[19]Paltroni, Commentari, p. 109.

[20] Federico invece rimase al soldo del re di Napoli anche se con paga ridotta: circa 6000 ducati annui (W. TOMMASOLI, La vita di Federico da Montefeltro 1422-1482, Urbino 1978, p. 105).

[21]Tommasoli, Federico, pp. 105-110; O. CAVALLARI, Sigismondo Malatesta, Rimini 1978, p. 216.

[22]Anonimo Veronese, Cronaca, p. 67: Alexandro Sforza, chiamato da Francesco Sforza, duca de Milano, che debbia a lui condursi, per dover esser posto al contrasto de Francexi, doppo molti pregi pur si condusse. Sigismondo Pandolpho Malatesta, havendo de martio principiato, per lo megio de uno Iohanni Bruno, citadino pexarese, insieme con altri duo, che ben per ancor non si sa, di dovere Pexaro tuore ad Alexandro Sforza e darlo ad esso Sigismondo, tolendoli la porta del vescovato di Pexaro, che va alla marina, con certi fanti, che doveva in caxa del ditto Iohan Bruno stare, attende la partita de Alexandro Sforza, a Sigismondo Pandolpho per l'ordine dato adimpire. Idio che sempre el manco male vole, fa che si scopra tal cosa et fi prexo ditto Iohan fruno (sic) e confessa tutto e ratificha. Tra el tempo miser Antonio da Pexaro, homo de grande auctorità apresso Filippo Maria stato e apresso Alfons re et apresso ambi li Marchexi di Ferara e Mantoa, cognato del ditto Iohanni Bruno, fa per molte vie scrivere ad esso Alexandro, che vogli perdonare a lo ditto proditore. Per Alexandro Sforza con nove vie li fi la dimanda negata, tandem fu apichato per commissarii de Pexaro, adì XVII de aghosto MCCCCLIIII.

[23]G. SORANZO, La tragica sorte dello Stato di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in "Studi Romagnoli", II (1951), pp. 197-212, a pag. 203; Cavallari, Sigismondo, pp.  222-233.

[24]Paltroni, Commentari, p. 113 (primavera 1456).

[25]G. FRANCESCHINI, Di Sveva Montefeltro Sforza signora di Pesaro, in "Studia Picena" XXV, Fano 1957, pp. 133-157, a pag. 136. "Anche quando passò a seconde nozze con Sveva, Alessandro era sotto il giogo carnale d'una sua amante, Mattea Samperoli, dalla quale ebbe, dopo le nozze con Sveva, quattro o cinque bastardi".

[26]Dove sarebbe morta l'8 settembre 1478 in odor di santità. Per tutta la vicenda vds. F. MADIAI, Federico da Montefeltro nelle relazioni coi parenti, in "Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti", III (1903), pp. 120-122; F. MADIAI, Nuovi documenti su Sveva di Montefeltro Sforza, in “Le Marche – rivista storica bimestrale” vol. IV, (1909), pp. 94-142;  Franceschini, Sveva, pp. 133-157.

[27]G. SORANZO, Pio II e la politica italiana nella lotta contro i Malatesti, Padova 1911, p. 21.

[28]Soranzo, Pio II, pp. 21-22.

[29]Soranzo, Pio II, pp. 22-23. Vds. anche la descrizione dello Stato di Domenico Malatesta, alias Malatesta Novello, fratello di Sigismondo Pandolfo: "Malatesta Novella era signore di uno stato assai meno esteso... Tuttavia ancora nell'agosto del 1458 egli ben dominava su Cesena, Bertinoro, Meldola e i loro contadi, che si estendevano fino alle terre, queste comprese, di Caminate, Predappio, Valdoppia, Civitella, Montevecchio; poi era padrone di una striscia di terra, che dal Cesenate tra il medio e alto Savio e il medio e alto Marecchia continuava forse sino all'attuale Alpe della Luna, poichè nei documenti più di una volta sono ricordate le località di Montegelli, Rontagnano, Savignano, Scavolo, Caioletto, Colcellalto, come facenti parti del dominio di Malatesta di Cesena" (Soranzo, Pio II, pp. 23-24).

[30]Incontro di Belriguardo: 7-8 maggio 1457. All'incontro era presente il Paltroni, che lo presenta alle pp. 114-124 dei suo Commentari; la conclusione non fu molto confortante: Et el signore Sigissimondo alora, levandose su cum le mani in su l'arme, disse: Per lo corpo di Dio, io te caverò le budelle del corpo. Et el Conte disse, levandose similiter: Et io te cavarò la corada a te (Paltroni, Commentari, p. 124).

[31]Cavallari, Sigismondo, p. 297.

[32]Soranzo, Pio II, p. 49: "Qui (nella Marca) le genti del Piccinino si unirono con quelle che Federico aveva per proprio conto fatto mettere in assetto di guerra: quella ammontavano complessivamente a 1800 cavalleggeri e 4000 fanti non ben provveduti, questi a pochi cavalli e 2000 pedoni".

[33]BERNI Guernerio, Chronicon Eugubinum, in "Rerum Italicarum Scriptores", vol. XXI, colonne 917-1024), col. 992 d: Ritornato il Signor Conte ad Urbino, stette poco, che del mese di Giugno di dett'Anno (1457) andò a Napoli, dove stette fio all'Ottobre, e di lì partendo menò seco il Condottiero Giacomo Piccinino con le sue genti, e disdetta la tregua, quale era tra Signori, e il Signor Gismondo, cominciarono andare a i suoi danni, e per la prima giunta li tolsero per forza Reforzato; dippoi ebbero Mont'Alto, l'Isola Gualtaresca, Casaspossa, la Valle di Santa Anastasia, e altri Castelli. All'invernata si ridussero alle stanze, cacciati dalle nevi. Vds. anche Paltroni, Commentari, p. 127 ss. e Giovanni di Nicolò BRANCALEONI, Cronachetta (1449-1469) (edita da E. Liburdi), in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie VIII, vol. V (1966-67), pp. 171-194, a pag. 180 (1 novembre: Reforzate e Isola; 9 novembre: Valle S. Anastasio; 17 novembre: Montalto; 19 novembre: Caspessa; 29 novembre: Torricella; 11 dicembre: Montevecchio, Montalfoglio, S. Lorenzo, Nidastore, Monteporzio, Miralbello si arresero al re di Napoli)

[34]Paltroni, Commentari, p. 128; Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 181. Vds. anche F.V. LOMBARDI, La contea di Carpegna, Urbania 1977, p. 95.

[35]Giovanni Brancaleoni (Cronachetta, p. 181) ricorda la presa di Petrella (26 aprile)

[36]Paltroni, Commentari, p. 129, Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 181 (11 maggio). La presa di Fratte fu causa di un contrasto tra le truppe del Piccinino e quelle di Federico che, motivato da contrasti sulla divisione del bottino, causò diversi morti e feriti tra i due eserciti: vds. Paltroni, Commentari, pp. 129-130. Per gli avvedimenti successivi alla presa di Fratte si veda Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 181: furono conquistati i castelli di S. Vito (16 maggio, a patti), Monterolo (21 maggio, a patti), S. Biagio (25 maggio, a distrutione), Monte Aiati (3 giugno, a patti); fu la volta quindi dei Malatestiani, che presero (ed incendiarono) Monte Gherardo, nel Cagliese (6 giugno); risposero gli uomini del Piccinino con la presa e il saccheggio di  Sassocorvaro (16 giugno).

[37]Il Piccinino partì da Fossombrone il 13 agosto 1458 (Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 182). Vds. anche Tommasoli, Federico, p. 121.

[38]Tommasoli, Federico, p. 116; Paltroni, Commentari, p. 131: Se era fornito el signore Sigissimondo de multe gente d'arme et tante che non era quasi manco forte che fusse el Conte de Urbino et el conte Iacomo, perché ultra la compagnia sua vecchia che era grande et bella compagnia, adiutato de dinari del signore Duca di Milano et dal signore Duca de Modena, havea conducto el signore Julio da Camerino, Marco de' Pii, Antonello da Forlì, Colella da Napoli, Mariano Savello, Gihoanni Baptista de Stabia et più altri conducteri et valenti homini; et havia anco fanterie assai et, partendo el conte Iacomo, rimase molto più forte et multo più grosso de gente che non era el conte Federico quale non havea mai pensato né extimato che 'l conte Iacomo dovesse partire per quello modo.

[39]Piandelmonte, castello del contado di Urbino, fu preso ed arso il 2 settembre, Uffogliano il 9 e Secchiano il 13 dello stesso mese (Gioovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 182). Sassocorvaro fu ripreso da Sigismondo Pandolfo il 27 agosto; il 27 luglio e il 14 di agosto si erano inoltre ribellate, ed erano tornate sotto controllo malatestiano, Isola di Fano e S. Vito (Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, pp. 181-182). Vds. anche Berni, Chronicon Eugubinum, c. 993 e;  Paltroni, Commentari, pp. 131-134.

[40]Paltroni, Commentari,  pp. 134-135. Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, pp. 182-183, riporta, dopo la presa di Torricella di Rimini (23 settembre), Piandicastello (23 settembre) e Tavoleto (27 settembre), le seguenti indicazioni: 1458 per tutto el mese de settembre: Auto el N. ILL. S. et el Conte Jacopo Ripa Massana et Sancto Giovanni de glie tengano, Monte del Tavelio Valdetervare, la Castellina di Arignano, Castello Novo, Frontino, Mongiardino, Faitano, Monte Castello, el Gesso, Albareto, Ofugliano, Genesteto, la Massetta. - Nel 1458 , adì 12 octobre: Ave el nostro Illustre et potente Signore el Conte Jacopo el Sasso a pacti et per fine in questo dì se sono auti de le castella del Sig. Giasmondo dal dì che se ave el Tavoleto, castelli vintequatro salvo Lonferno che non s'è auto. - Nel 1458, adì 15 de octobre: Ave el nostro Ill. et potente Signore Talamello, non ave la rocha, misero a saccomanno et arserlo; avero Maiulo a saccomanno et la rocha a pacti, la Torricella, Libiano, Maciano, ... et Maciano se revolto nante octo dì et Fiorentino et fo spiantato in tutto.

[41]Berni, Chronicon Eugubinum, cc.  993 d-e: L'8 agosto 1459, dopo un' incursione nel Contado di Rimini, l'esercito feltresco salì per la Marecchia, ed ebbe le Penne de Bili, e i Bili, Sant'Agata con tutti i suoi Castelli; dappoi tornò a Macerata, al quale ebbe, e con Macerata Certaldo, Castellaccia, Monte Santa Maria, Tavoleto; e molti altri Castelli perdette il Signor Sigismondo tra buone Terre, e Castelli. Tavoleto è cattiva trascrizione di Cavoleto, nel Montefeltro: vds. infra. Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 183, in cui si può datare la progressione delle conquiste: Montebello del Vicariato (27 luglio, a patti);  Billi (9 agosto, miserlo a saccomanno);  Penna (adì 12 de gosto: venne la novella che loro avevano auto la Penna con tre altri Castelli a patti li quali non me fo ditto allora el dome desse); Santa Agata collo suo comuno che sonno di doi castelli (prima del 5 settembre); Macerata (7 settembre); Certaldo, Monte Santa Maria, Cavoleto, la Castellaccia, Scavolino, Bascio, Miratoio, Gattara (tra 7 e 13 settembre; l'ultimo castello fu saccheggiato). Vds. anche Berni, Chronicon Eugubinum, c.  994 a; Paltroni, Commentari, p. 137.

[42]Berni, Chronicon Eugubinum, c.  994 e.

[43]Il testo del compromesso e accordo del 6-7 agosto 1459 è riassunto e commentato in Soranzo, Pio II, pp. 128-130. Per la cessione di Senigallia, vds. ANONIMO, Cose occorse ne li anni 1450-1486 a Senegallia (a cura di S. Anselmi e R. Paci), Senigallia, 1972, n. 15 p. 18.

[44]A. THEINER, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, Roma 1862, vol. III, nr. 355, pagg. 411-412, in data 17 agosto 1459: Octavianus Pontanus constituitur commissarius ad concordiam faciendam inter regem Siciliae, comitem Urbini et Sigismundum de Malatestis. Berni, Chronicon Eugubinum, c. 995 a: nel settembre 1459 i Commissari del Papa e del duca di Milano presero possesso delle Terre, che il Signor Gismondo deve dare al Re per securtà de' suoi domini, e delle Terre, che deve restituire al Signor Conte Federico; e in ultimo hanno preso la possessione di Sinigalia, Monte Marciano, e del Vicariato. Per cautela del Re hanno avuto anche la Pergola e Sant'Ippolito per il Signor Conte.  Berni, Chronicon Eugubinum, c.   995 c: Del mese d'Ottobre (1459) adì XXIX il Commissario del Papa, nominato Messer'Ottaviano Pontano, mise in possessione della Pergola il signor Conte. Berni, Chronicon Eugubinum, c.  995 d: Dappoi continuando il detto Commissario del Papa diede ai soprannominati (rappresentanti di Federico) la possessione di tutti gli Castelli, che erano stati del Signor Conte, che egli avea in deposito per la sentenza data da Sua Santità, che furono Sant'Ippolito di Foss(ombrone), Sassocorbaro, Monte Cerignone, Casteldolce, Sanatello e Fagiola; e per danni, ed interessi, Certaldo, Fonte d'Avellana, Monte del Taviero, e due altri Castelli. Vds. anche Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, pp. 183-184.

[45]Cavallari, Sigismondo, p. 333.

[46]Cavallari, Sigismondo, p. 333. Ma Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 184, pone la conquista di Senigallia da parte di Sigismondo Pandolfo l'11 settembe 1462 (Nel 1462, adì 11 de setembre: Tolse el S. Gesimondo Senegaglia a Papa Pio con tradimento del castellano).

[47]Cavallari, Sigismondo, p. 341.

[48]Cavallari, Sigismondo, p. 360. La sentenza porta la data del 27 aprile 1462.

[49]Poco prima della battaglia di Nidastore erano stati concessi a Federico in vicariato Pergola e altri castelli che erano in contestazione tra Sigismondo Pandolfo e il conte di Urbino. Vds. G. CHITTOLINI, Su alcuni aspetti dello stato di Federico, in Cerboni Baiardi G., Chittolini G., Floriani P. (a cura di), "Federico da Montefeltro. Lo Stato, le arti, la cultura", vol. I, Lo Stato, Roma 1986, pp. 61-102, a pag. 81 nota 63: "(Pergola) era stata occupata nel 1459 e il vicariato concesso a Federico in data 30 giugno 1461... Esso (scil. il documento) confermava genericamente i precedenti diritti su Urbino, Gubbio, Cagli, Fossombrone e gli altri castelli già posseduti, concedendo di nuovo, alle medesime condizioni, la terra di Pergola appunto e i castra di Monte Altavellio, Chiergnano e Val di Teva (già in contestazione fra Sigismondo e Federico, e attribuiti ora da Pio II, per arbitrato, a quest'ultimo); erano altresì riconosciute a Federico le altre località di cui egli fosse già in possesso (senza tuttavia che ne venissero specificati i nomi)".

[50]Berni, Chronicon Eugubinum, c.  1033 a-c. Paltroni, Commentari, pp. 180-186.

[51]Berni, Chronicon Eugubinum, c.  1003 c. Paltroni, Commentari, pp. 187-189. La progressione dei successi e delle conquiste può ancora una volta essere seguita in Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, pp. 184-185 (che però presenta, stranamente, alcune date posticipate di un mese: scontro a Mondolfo (13 settembre, scil. per agosto: dovrebbe essere la battaglia del Cesano); accordo con i conti di Montevecchio (15 settembre, scil. per agosto); presa di Isola del Piano (17 settembre, scil. per agosto), Reforzate (23 agosto), Sorbolongo (30 agosto), Barchi (31 agosto: miselo a saccomanno et arselo e samntellolo); assedio di Mondavio (1-23 di settembre); conquista dei restanti castelli del Vicariato, del Contado di Fano, di S. Vito e Monterolo (dal 23 al 30 settembre)

[52]Berni, Chronicon Eugubinum,  coll. 1003-1004; Paltroni, Commentari, pp. 189-191; Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, pp. 185-186.

[53]Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 186.

[54]Berni, Chronicon Eugubinum, c.  1004 e: Del mese di dicembre di detto Anno (1462) si ribellarono delli Castelli acquistati delli Malatesti, Lonzano, e la Pieve di Sestaro (Sestino), e la più parte dei Castelli di Fano, ne' quali furono presi molti soldati della Chiesa.

[55]Berni, Chronicon Eugubinum, c.  col. 1005 a: Del mese di Maggio (1463) il Signor Conte con i suoi, e Cerne andò a campo a Cortaldo, il quale con le bombarde ebbe, e guastò. Andò poi a campo a Macerata di Montefeltro, la quale ebbe, e pagarono Fiorini mille. Andò anche al campo al Sasso, il quale ebbe a discrezione, salvo la persona, e la roba a sacco, e il Castello fu abbruciato, e fu adì primo di Giugno. Vds. anche Paltroni, Commentari, p. 192 (Macerata, Sasso e castelli del contado di Fano) e Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 187 (Certaldo e Sasso).

[56]Berni, Chronicon Eugubinum, cc.  1005 b e 1006 a. Sull'assedio di Fano si dilunga Paltroni Commentari, alle pagg. 192-200. Vds. anche Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 187. Le capitolazioni di Fano, approvate dal cardinal di Teano, legato pontificio, che fu nell'occasione quanto mai mite, sono state integralmente pubblicate da Amiani, Memorie istoriche, vol. I, pp. 436-442 e  ampiamente discusse da Soranzo, Pio II, pp. 428-431

[57]Paltroni, Commentari, pp. 200-201. Senigallia si arrende il 5 ottobre (Berni, Chronicon Eugubinum, c.  1006 b; Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 188; Anonimo, Cose occorse, n. 21, p. 20), Mondolfo e S. Costanzo il 10 ottobre (Cavallari, Sigismondo, p. 401), Gradara il 26 ottobre (Berni, Chronicon Eugubinum, c.  1006 b; Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 188). Per i castelli del Montefeltro vds. Berni, Chronicon Eugubinum, c. 1006 b.; Paltroni, Commentari, p. 201; Giovanni Brancaleoni, Cronachetta, p. 188 (Maiolo, 8 novembre)

[58]Paltroni, Commentari, p. 201: Et facta questa pace, la Santità de papa Pio, per remunerare el conte Federico de la sua virtù e de le sue digne opere, de consensu omnium Cardinalium, dette et donò al conte Federico circa quaranta terre de quille che erano state del signore Sigissimondo in Montefeltro ultra quille che prima ce havea esso conte Federico; item li donò dieci terre che erano prima del contà de Arimino, cioè il Vicariato de lo Auditoro. Berni, Chronicon Eugubinum, c.  1006 c: Il Papa per rendere premj al Signor Conte del suo ben'operare li concesse nel Vicariato tutte le terre di Montefeltro, che erano state del Signor Gismondo, che furono queste, S. Leo, Majolo, Macerata, Petra Rubbia, le Penne de' Billi, e i Billi, il Vicariato di Sant'Agata, la Petrella, la Massetta, ed altri Castelletti, Cortaldo, e il Sasso. Chittolini, Su alcuni aspetti, p. 81 presenta l'elenco dei castelli e delle terre concesse a Federico da Montefeltro (elencate nel breve di Papa Pio II, datato 1 aprile 1464, emesso a Siena,  e pubblicato da BATTAGLINI, Della vita e de' fatti di Sigismondo Pandolfo, app. nr. 51, pp. 661-63): Ugrigno, Montepetra, S. Agata col suo vicariato, Casalecchio, la Massetta, Pagno, Massa (presso Massa Manente), Maciano, Penne e Billi, Maiolo, San Leo, Macerata Feltria, Castello S. Maria (= Monte Santa Maria), Monte Secchiano, Sasso (Sassofeltrio), Certalto, Pian di Castello, fossa, Girone (= Gerone), Torricella, Pietrarubbia, Tavoleto, S. Giovanni in Auditore, Ripamassano, Auditore, Valle Avellana, Riva e Gesso. Vds. anche Soranzo, Pio II, pp. 453-454 e Chittolini, Su alcuni aspetti, pp. 81-82.

[59]A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Gradara, terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775, p. 93; Soranzo, Pio II, p. 453 (e nota 4 alla stessa pagina); F. AMBROGIANI, Il vicariato degli Sforza a Pesaro, in “Pesaro città e contà” 13 (2001), pp. 5-16, a pag. 6. Castelnuovo, nel Riminese, già in passato aveva fatto parte dei domini dei Malatesta di Pesaro.

[60]L. TONINI, Storia di Rimini (o "Storia civile e sacra riminese"), appendice di documenti al vol. V, Rimini 1882, pp. 241-247, doc. n. XCV del 29 novembre 1463 (Bolla di Pio II che infeuda il Nipote nelle terre tolte a Sigismondo); Soranzo, Pio II, pp. 450-451. I castelli del Vicariato di Mondavio erano: Barchi, Cerasa, Fratte, Mondolfo, Mondavio, Montemaggiore, Monterolo, Montesecco, Orciano, Piagge, Poggio, Reforzate, Rupoli, S. Andrea, S. Costanzo, S. Giorgio, S. Vito, Torricella, Villa Cavallaria, Monterado, Ripe, Tomba, Scapezzano, Roncitello, Montebello, Montemarciano. La signoria di Antonio Piccolomini durò pochissimo perché, morto Pio II, nel novembre 1464 Senigallia e il Vicariato gli si ribellarono e vennero occupate dai Fanesi (Anonimo, Cose occorse, nn. 23-26, pp. 20-22). Da questo momento fino al 1474 (investitura di Giuliano della Rovere) Senigallia sarà amministrata dalla Chiesa, il Vicariato dai Fanesi. Montemarciano invece era stata, nel gennaio 1464, ceduta da Antonio al fratello Giacomo Piccolomini, sotto la quale rimane dopo tale data (A. POLVERARI, Mondavio, dalle origini alla fine del Ducato d'Urbino, Ostra Vetere 1984, pp.  90-1).

[61]A. CHIARETTI, La storia tra Romagna e Marche: Fano e Mondaino, in D. Bischi (a cura di), "Tavullia tra Montefeltro e Malatesti", Urbania 1986, pp. 99-110, a pag. 103.

[62]Tonini, Rimini, appendice di documenti al vol. V, pp. 227-229, doc. n. LXXXII del 21 settembre 1462 (Trattato del Comune di San Marino col Cardinale di Tiano per la guerra contro Sigismondo) e pp. 234-236, doc. n. LXXXVI del giugno 1463 (Bolla di Pio II per la concessione delle Terre aquistate nella guerra dai Sammarinesi). Soranzo, Pio II, p. 452. Con tali acquisizioni la Repubblica di S. Marino assunse la configurazione territoriale che ancora possiede.

[63]F.V. LOMBARDI, Mille anni di Medioevo, in AAVV, Il Montefeltro, vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, a pag. 138 (bolla  del 31 marzo 1464).