Capitolo XVI

 

Montefeltro, Sforza, Della Rovere

 

Pio II morì ad Ancona il 15 agosto 1464 e venne eletto papa, il 30 agosto di quell'anno, il  veneziano Pietro Barbo, che prese il nome di Paolo II e che si servì, come aveva già fatto il precedente pontefice, delle milizie e dell'esperienza di Federico da Montefeltro, il quale effettuò in quegli anni, come capitano delle genti della Chiesa, diverse operazioni di polizia[1]. Tra queste la campagna contro Roberto Malatesta, figlio di Sigismondo Pandolfo, che aveva occupato Cesena dopo la morte dello zio, Malatesta Novello (20 novembre 1465). Federico in quest'ultima vicenda si impadronì del contado cesenate e costrinse il suo avversario ad arrendersi. Riuscì comunque ad ottenere per il giovane Roberto un piccolo Stato (il vicariato di Meldola) tra le valli del Bidente e del Ronco, con le località di Sarsina, Meldola, Dogara, Turcino, Montevecchio, Caminate, Cuglianello, Ranchio, Gaibana, Turrito, Perticara, Sapigno, Casalbono e Polenta, mentre Cesena (come, pochi anni prima, Fano) diventava diretto dominio della Chiesa[2].

 

La crisi di Rimini (1468-69)

Gli anni immediatamente successivi alla crisi di Cesena furono di pace, almeno nella provincia[3]. Nel 1468 invece i rapporti tra Urbino e Pesaro subirono un peggioramento (sebbene Federico e Alessandro Sforza fossero strettamente imparentati, dato che il primo aveva sposato Battista, figlia del secondo)[4]. Nella crisi che sarebbe sorta per il controllo di Rimini alla fine di quell'anno i due si trovarono schiarati su posizioni opposte: Federico con Roberto Malatesta e contro le forze ecclesiastiche, Alessandro nel campo opposto.

Dopo la morte di Sigismondo Pandolfo (9 ottobre 1468) avevano infatti assunto il potere la moglie del defunto signore, Isotta degli Atti, e il di lui figlio Sallustio, appoggiati dai Veneziani[5]. Ciò non poteva essere accettato da Paolo II che, per il trattato del 1463, pretendeva che Rimini ricadesse sotto l'immediato dominio della Chiesa. Dato che le altre potenze italiane diffidavano dell'eccessivo rafforzamento del potere papale, il Papa esitava a risolvere militarmente la questione: convinse pertanto Roberto, signore di Meldola e anch'egli figlio (naturale) di Sigismondo Pandolfo, ad andare a Rimini, occupare la città e consegnargliela. Ma Roberto, entrato a Rimini nel gennaio 1469, si accordò con Isotta e Sallustio per spartirsi il potere e aderì alla lega tra Firenze, Milano e Napoli (che prevedeva la protezione dello Stato riminese), al cui servizio era Federico da Montefeltro (convinto anche lui che fosse necessario impedire un ulteriore rafforzamento del potere centrale nella regione, di cui avrebbe potuto far le spese, prima o poi, il suo stesso Stato)[6].

Il papa, dolendosi d'esser stato giocato, il 28 maggio 1469 si alleò con i Veneziani; scelse inoltre per generale delle sue armi Alessandro Sforza[7], che, approfittando anche delle incertezze degli avversari (soprattutto del duca di Milano, Gian Galeazzo, zio di Alessandro, che anteponeva l'amicizia del papa ad una possibile vittoria in Romagna), attaccò il 9 giugno di sorpresa Rimini, occupando il borgo di San Giuliano e assediando la città[8].

Si mossero però gli Aragonesi di Napoli (il cui esercito raggiunse lo Stato di Urbino il 10 agosto) e pertanto Federico, con le truppe napoletane e con i suoi uomini, il 30 agosto attaccò a Mulazzano, presso Rimini, le forze ecclesiastiche infliggendo loro una completa disfatta[9].

Il pericolo a questo punto era che lo stato malatestiano si rafforzasse troppo: infatti in pochi giorni Roberto riconquistava tutto il contado di Rimini (tolto alla città nel 1463), il contado di Fano (per altro già in rivolta e parzialmente occupato dalle truppe feltresche) e parte del Vicariato[10].

Le trattative di pace furono tirate in lungo dalle parti per diverso tempo. Ancora vivente Paolo II s'era fatta la pace tra la Lega e il Papa e questo promisse de recevere el signore Roberto a gratia et darli li Vicariati de Arimino et de quille terre ch'el teneva del contà de Arimino, cum questo che lui dovesse restituiri le terre che havia tolte in lo Vicariato et cossì el contado de Phano. Et cum questo acordo forno tolte le ofese. Et nondemeno non sequì lo efecto, perché Papa Paulo non detti li Vicariati et el signore Roberto non restituì le tere, et cossì restò la cosa sospesa[11]. Seguirono quindi la morte del papa (26 luglio 1471) e l'elezione di Francesco della Rovere (9 agosto 1471), che prese il nome di Sisto IV; finalmente, nell'agosto 1473, Roberto ebbe dal papa l'investitura di Rimini e riconsegnò alla Chiesa i castelli del contado di Fano e del Vicariato[12].

Il Malatesta, nel frattempo, il 28 aprile 1471, si era fidanzata con Elisabetta, figlia di Federico da Montefeltro, che quindi legava a sé lo Stato, risorto grazie soprattutto al suo intervento nel 1469, del suo ex nemico Sigismondo Pandolfo[13].

 

Morte di Alessandro Sforza

Nel periodo successivo possiamo ricordare, a parte le solite campagne militari del conte di Urbino (che nel 1472 sottomise la città di Volterra, che si era ribellata a Firenze), due morti: quella di Battista Sforza Montefeltro, avvenuta, pochi mesi dopo la nascita del sospirato erede maschio (il futuro Guidubaldo I) a Gubbio il 6 luglio 1472[14] e quella di Alessandro Sforza, signore di Pesaro, il 3 aprile 1473[15]. Gli subentrò  nella signoria di Pesaro il figlio Costanzo, che riuscì subito a sventare una congiura, capeggiata da Barnaba Merloni, vescovo della città, che aveva lo scopo di portare Pesaro sotto il diretto dominio della Chiesa[16].

 

La sistemazione del 1474

Sisto IV riuscì a dare una sistemazione alla Marca settentrionale muovendosi su due piani: uno, ormai tradizionale per la S. Sede, che prevedeva il coinvolgimento del Conte di Urbino in operazioni di polizia all'interno dello Stato della Chiesa; l'altro, caratteristico del suo pontificato, chiaramente nepotistico.

La piena sintonia tra Federico e papa Della Rovere fu sancita il 23 agosto 1474, quando il secondo investì il primo sia del Gonfalonierato della Santa Romana Chiesa, sia della dignità ducale, titolo che già il fratellastro Oddantonio aveva ricevuto nel 1443 (ma che non era stato confermato al successore dopo la morte del giovane duca). I poteri di Federico naturalmente non subivano particolari mutamenti ma il titolo contribuiva a porlo al di sopra di altri signori dell'Italia centrale[17].

Il giorno successivo veniva annunciato il fidanzamento di Giovanna, secondogenita del nuovo duca, con uno dei nipoti del papa, Giovanni della Rovere[18], il quale, a sua volta, otteneva dallo zio, il 12 ottobre 1474, la signoria di Senigallia e del Vicariato di Mondavio, composto di ventiquattro castelli tra le vallate del Metauro e del Cesano, a cavallo delle diocesi di Fano, Fossombrone e Senigallia[19].

Venne anche esteso il vicariato di Costanzo Sforza, signore di Pesaro, per altre due generazioni (per i figli e nipoti maschi di Costanzo)[20] e confermata, nello stesso anno, l’infeudazione concessa da Federico a Ottaviano degli Ubaldini, suo cugino, di Mercatello e di ampi territori della Massa Trabaria[21].

 

Federico da Montefeltro dal 1474 al 1482

Nello stesso 1474 Federico fu impegnato a pacificare Città di Castello che, insieme ad altre città umbre, si era ribellata alla Chiesa ed era assediata dall'esercito pontificio guidato da Giuliano della Rovere[22]. Quindi fu la volta di Montone, castello di Carlo Fortebracci, che fu conquistato e distrutto nel  settembre 1477[23]. In seguito alla congiura dei Pazzi (26 aprile 1278), Federico fu impegnato, negli anni 1478-79, al comando delle milizie ecclesiastiche contro Firenze[24]. Nel 1480 inoltre prese per Girolamo Riario, signore di Imola, nipote del papa e comandante delle forze ecclesiastiche nella campagna contro Costanzo Sforza (vds. infra), la città di Forlì[25].

Nella sua ultima campagna, alla quale partecipò benché stanco e malato, fu al comando dell'esercito della lega che, stretta tra Napoli, Firenze e Milano, si contrapponeva al papa e a Venezia, sostenendo le ragioni degli Estensi nella guerra di Ferrara. Condotto gravemente malato in questa città, qui morì il 10 settembre 1482. Nello stesso giorno moriva a Roma Roberto Malatesta, che nella guerra si era schierato con i Veneziani. Salivano pertanto al potere a Urbino e a Rimini due giovinetti: Guidubaldo di Montefeltro, di dieci anni, e Pandolfo Malatesta, di nove.

 

Costanzo Sforza contro il Papa

Particolarmente tesi furono in questi anni i rapporti tra Sisto IV e Costanzo Sforza che, al servizio di Firenze, aveva invaso nel 1479, contro il volere del Papa, il territorio senese[26]: fu dichiarato decaduto dai suoi domini, scomunicato ed escluso dalla lega firmata tra i principali Stati italiani il 13 marzo 1480; fu inoltre organizzata contro di lui una campagna militare per cacciarlo dai suoi domini[27]. Per l'occasione le milizie ecclesiastiche, comandate da Girolamo Riario, furono acquartierate, in vista dell'inizio delle ostilità nella primavera successiva, a Fano, dove i vari corpi giunsero dal dicembre 1479 al marzo 1480. A Rimini intanto arrivavano truppe venete, che avrebbero anch'esse sostenuto le ragioni della Chiesa[28].

La campagna poi non si fece sia perché le milizie napoletane, sbarcate a Fano su otto galere come alleate del papa, in realtà parteggiavano segretamente per Costanzo (e la tensione tra il Riario e gli ecclesiastici - da una parte - e napoletani e fanesi  - dall'altra -  era altissima), sia perché gli Sforza di Milano presero risolutamente le difese del loro congiunto pesarese, minacciando l'allargamento del conflitto (maggio 1480)[29].

La tensione raggiunse il culmine a metà giugno quando, nell'imminenza dell'attacco a Pesaro, sembrava dovesse saltare da un momento all'altro la pace in Italia[30].  Ma agli inizi di luglio gli abitanti di Forlì insorsero contro il legittimo signore, Sinibaldo Ordelaffi, che poco dopo fu assassinato. Subito Federico da Montefeltro, comandante dell'esercito ecclesiastico, si portò verso la città per recuperarla e i diplomatici milanesi e fiorentini ebbero buon gioco a proporre uno scambio al papa: il perdono a Costanzo Sforza e l'accantonamento di ogni velleità offensiva contro Pesaro in cambio dell'approvazione all'occupazione della città romagnola, che sarebbe stata data in vicariato a Girolamo Riario[31].

Anche se non era stata ancora completamente chiarita la sua posizione nei riguardi del pontefice (rimasero divergenze e tensione fino all'agosto 1481)[32], Costanzo fu preso al soldo della lega delle principali potenze italiane sottoscritta il 25 luglio 1480, per 22.000 ducati d'oro in tempo di pace[33].

Tuttavia le traversie per il signore di Pesaro non erano finite. Mentre costui, durante la guerra di Ferrara (in cui militava al servizio dei Fiorentini) provvedeva ad occupare Città di Castello, il papa pensò di inviare truppe a Pesaro, o per impadronirsene, essendo sguarnita dai difensori, o per costringere Costanzo a lasciare l'Umbria ed occorrere in difesa della sua città. Insistette pertanto (ottobre 1482) presso i Veneziani affinché mandassero navi per l'impresa di Pesaro e fece ammassare circa tremila soldati presso il Metauro, in contado fanese. Anche questa volta la fortuna fu dalla parte di Costanzo, subito precipitatosi a Pesaro, dato che l'esercito ecclesiastico, non avendo ricevuto i rinforzi che aspettava dai Veneziani, preferì far ritorno a Roma[34].

Era comunque destino per Costanzo Sforza militare contro le truppe papali. Il 6 gennaio si 1483 si formò infatti una lega contro Venezia a cui partecipava anche il papa, che aveva disinvoltamente cambiato politica: agli stipendi veneziani era stato chiamato, con trecento uomini d'armi, il signore di Pesaro[35].

Egli, tuttavia, non riuscì a partecipare allo scontro: il 20 luglio 1483 moriva a Montelabbate, nel Pesarese, dopo qualche giorno d'agonia (forse avvelenato), lasciando la signoria di Pesaro al figlio illegittimo Giovanni[36], che fu investito poi della città dal Papa e che mantenne il potere grazie all'aiuto prestato da Camilla d'Aragona, moglie di Costanzo (coreggente fino al 1489, quando si ritirò a vita privata)[37].

 

La situazione a Fano

L'11 agosto 1480 i Turchi sbarcarono ad Otranto e la saccheggiarono orrendamente; questa azione spinse le potenze italiane ad accantonare i reciproci contrasti e a organizzarsi per fronteggiare l'imminente pericolo[38].

Anche nel Fanese, per prevenire un possibile sbarco nemico, fu necessario sistemare le fortificazioni della città e programmare una vigilanza ininterrotta delle spiagge: furono presi accordi in tal senso anche con Costanzo Sforza di Pesaro, per la difesa del litorale tra le due città[39]. La situazione si fece ben presto incandescente, a causa delle incursioni di pirati e corsari musulmani[40].

Fortificazioni e vigilanza della$chÔ`Üavd6y^o del resto un costo economico abbastanza elevato(e(ertanto fu imposta a tutto il territorio una tassa generale, che però i castelii;el contado, sempre insofferenti nei aonÛóoܛ٠dei Fanewé\ÚH0reoccupati per l&iiÙqua ripartizione del carico fiscale, non accetTaono volentieri[41]; anzi in un primo momento rifiutarono di pagare le dovute tasse, malgrado le minacce del legato pontificio, cardinal Riario. Alla fine cedettero, ma il dissenso rimase e, in un congresso tenuto a Serrungarina, dichiararono solennemente di volersi sottrarre al dominio fanese e chiesero al papa la soggezione immediata alla Santa Sede[42].

Oppostisi sia il duca di Urbino sia il signore di Senigallia, la situazione rimase immutata, ma le comunità, scrive scandalizzato l'Amiani, "vieppiù obbligate di sottomettersi al governo dei fanesi, esclamarono con espressione inaudita di voler piuttosto ubbidire al comune nemico (scil. i Turchi), che più ricevere le leggi dal Consiglio nostro o dai suoi Capitani"[43].

 

Giovanni della Rovere a Senigallia

Nell'agosto 1485 fu saccheggiata dai pirati barbareschi Mondolfo[44]; il mese successivo una scorreria interessò Case Bruciate e Montemarciano[45]; nel 1488 è la volta ancora di Senigallia, che si salvò chiudendo le porte della città, ma che vide il suo contado messo a sacco[46].

Il Della Rovere era spesso assente dai suoi possedimenti marchigiani, impegnato a combattere per il papa (deteneva anche la carica di Prefetto di Roma) o per le altre signorie italiane (Venezia e Firenze); durante la guerra di Ferrara era schierato con la S. Sede[47].

Qualche problema dovette subirlo Giovanni della Rovere anche durante la guerra tra S. Sede e Re di Napoli (di cui era feudatario per il ducato di Sora e Arce), dato che, mentre era al servizio del papa, alcuni luoghi del Vicariato furono saccheggiati da Castracane de' Castracani, signore di Castelleone e fautore degli Aragonesi[48]: nel 1488 il protonotario apostolico della Marca allontanò però la famiglia da Castelleone che cadde nella zona di influenza del Della Rovere (l'investitura ufficiale gli venne conferita poi nel 1493 dall'abate di S. Lorenzo, da cui formalmente quella terra apparteneva)[49].

 

Il nuovo duca di Urbino, Guidubaldo di Montefeltro

Nel settembre 1482, alla morte di Federico di Montefeltro, diventava duca di Urbino il figlio Guidubaldo, allora decenne, affidato alla tutela di Ottaviano degli Ubaldini, vicario generale e luogotenente.

In politica estera, le prime mosse seguirono la via precedentemente battuta dal padre che aveva combattuto l'ultima campagna agli ordini della lega Milano-Firenze-Napoli (allargata a comprendere anche Roma all'inizio del 1483): il re di Napoli in particolare concesse a Guidubaldo (in pratica ai generali feltreschi), a nome della lega, una condotta di centottanta uomini d'arme e trenta "lance spezzate"; il 1 maggio dello stesso anno fu inoltre nominato, anche se fanciullo, capitano generale dell'esercito della lega[50].

Un cambio di politica, e il ritorno alla stretta alleanza che si era configurata tra duca di Urbino e papa dopo il 1474, si ebbe però poco dopo, quando, a Sisto IV, morto il 12 agosto 1484, subentrò Innocenzo VIII. Da questo momento le milizie feltresche furono impegnate in diverse operazioni di polizia. In primo luogo combatterono contro fautori del re di Napoli, Ferrante d'Aragona (1485-86) in Italia centrale: in occasione della guerra tra Roma e Napoli (1485-1486), infatti, si ribellati sia Castracane de' Castracani, signore di Castel Leone, sia le città di Città di Castello, Osimo, Fermo e Ascoli[51]. Fu la volta quindi di Imola dove nell'aprile 1488 era stato ucciso Girolamo Riario (ma prima che arrivassero le milizie feltresche la città fu recuperata dalla forze ecclesiastiche), e di Cesena, sconvolta in quell'anno da lotte di fazione[52]. Inoltre, sempre al servizio del papa, dal 1488 al 1492, i feltreschi allontanarono i fuoriusciti fiorentini dallo Stato, presidiarono la costa contro il pericolo turco, soccorsero i Folignati assaliti dagli Spellani e gli abitanti di Offida assediati dagli Ascolani.

I rapporti tra Roma e Urbino non furono sempre buoni, come potrebbe far pensare l'ininterrotta militanza di Guidubaldo al servizio della Santa Sede. Nel 1485-86 infatti una questione riguardante il castello di Petroia, nel contado eugubino, divise le due Corti: il Papa aveva confermato il feudo, che il Duca di Urbino pensava gli spettasse come alto dominio, a Federico Bandi. In risposta le milizie ducali  saccheggiarono il luogo. La divergenza fu appianata solo nel 1487, quando i Bandi vendettero al Duca i loro diritti sul castello[53].

 

Vicende matrimoniali di Montefeltro, Sforza, Della Rovere

Debbono inoltre essere ricordati i matrimoni di Guidubaldo e di Giovanni Sforza che furono contemporaneamente fidanzati nell'agosto 1486 a Elisabetta e Maddalena Gonzaga, figlie di Federico I, marchese di Mantova; così che i signori di Urbino e Pesaro, in procinto di diventare cognati, si legavano strettamente l'uno all'altro[54]. Il matrimonio di Guidubaldo e Elisabetta Gonzaga avvenne nel 1488. Quello di Giovanni e Maddalena il 27 ottobre 1489, ma fu brevissimo: l'8 agosto 1490 Maddalena Gonzaga moriva di parto[55].

Il 25 marzo 1490 nasceva a Senigallia un figlio maschio a Giovanni della Rovere e Giovanna da Montefeltro, che fu battezzato con il nome di Francesco Maria[56].

 

Espansione di Firenze oltre Appennino

Negli anni 1489-90 fu insidiosa, per il duca di Urbino, la politica della Firenze medicea, che riuscì ad attrarre un gruppo di piccole signorie della zona montana cisappenninica che, finirono da questi anni per gravitare verso la Toscana.

Nel 1489 infatti l'influenza fiorentina si estese su Badia Tedalda[57] (mentre Sestino sarebbe passato allo Stato di Firenze solo nel 1520) e su Montedoglio (a cui era unita S. Sofia, enclave situata in pieno Montefeltro, ancor oggi enclave toscana in terra marchigiana), concesso poi in feudo ai figli del conte Andrea[58].

Il 4 marzo 1490, inoltre, i conti Giovanni e Ramberto di Carpegna (e il loro parente conte Ugo di Gattara il 26 marzo dello stesso anno) si posero sotto la protezione di Firenze che, in cambio dell'aiuto e della difesa dello Stato, otteneva, oltre a segni formali di alta sovranità,  il diritto di annettere i loro territori in mancanza di eredi[59]. Era uno schiaffo agli Urbinati, che vanamente appoggiarono, nel successivo anno, un parente del conte Ugo, un tal Giannicolo, che rivendicaa la giurisdizione su parte della contea e che occuparono in suo nome, per qualche tempo, Scavolino[60].

 

L’invasione francese

Il 25 luglio 1492 morì papa Innocenzo VIII e, l'11 agosto dello stesso anno, venne eletto il suo successore, il cardinal Rodrigo Borgia, che assunse il nome di Alessandro VI. Al servizio di questo papa, seguendo la politica ormai tradizionale di casa Montefeltro, Guidubaldo inviò milizie a mantenere o riportare l'ordine nelle varie province dello Stato: nel 1493 è a Foligno[61]; alla fine del 1494 a Cesena, ancora sconvolta da lotte di fazione[62].

Ma ben presto si pose agli ordini del re di Napoli, in un periodo particolarmente tormentato della storia italiana: nel  marzo 1494 firmò infatti una condotta con  Alfonso II (allora alleato di Alessandro VI), nel momento in cui si temeva per la sopravvivenza dello Stato aragonese, dato che Carlo VIII, re di Francia, stava allestendo un grosso esercito per occupare il Regno, su cui vantava diritti come discendente degli Angioini. Gli Aragonesi volevano bloccare l'invasione in Romagna utilizzando come retroguardia e posizione avanzata proprio lo Stato di Urbino[63].

Tutte le speranze della coalizione antifrancese naufragarono miseramente: gli Aragonesi furono sconfitti presso Bologna; il duca d'Urbino, il Trivulzio e don Alfonso d'Avalos cercarono di sbarrare il passo ai nemici presso la fortezza di S. Agata Feltria[64], ma l'esercito francese passò oltre. L'esito della guerra si stava profilando catastrofico e di lì a poco il Re di Francia entrò vincitore a Napoli. Comunque, nel trattato firmato a Roma tra il papa e il re francese, lo Stato urbinate era compreso tra quelli che il Re prendeva sotto la sua protezione come raccomandati della Chiesa[65].

Il 3 marzo 1495 veniva firmata a Venezia la lega tra i principali Stati Italiani, Impero e Re di Spagna (tutti preoccupati per il travolgente successo dell'esercito invasore) contro i Francesi. Nell'esercito della lega militavano anche le milizie di Guidubaldo, che  operò in Toscana al servizio dei Fiorentini[66], quindi  nel Lazio e nel Regno[67]. Nell'ottobre 1496 fu poi richiamato nel Lazio per la campagna contro gli Orsini, potenti feudatari del Lazio fautori dei Francesi, ma l'esercito ecclesiastico fu sopraffatto e Guidubaldo catturato: per riottenere la libertà dovette pagare un forte riscatto[68]. Intervenne nel luglio 1498 contro Perugia in difesa dei suoi parenti Oddi, espulsi dalla città ed entrò quindi  al servizio di Venezia nell'agosto dello stesso anno, combattendo contro i Fiorentini, senza risultati apprezzabili[69].

L'anno successivo fu rinnovata la condotta con Venezia[70], ma le condizioni di salute del duca, peggiorarono. Anche per il fatto che la speranza di avere un figlio era ormai svanita, Guidubaldo designò alla sua successione suo nipote Francesco Maria, figlio di  Giovanna di Montefeltro e di Giovanni della Rovere, signore di Senigallia. L'adozione ottenne anche l'assenso del pontefice, che in quel periodo si era riavvicinato allo zio di Giovanni della Rovere, il cardinal Giuliano (il futuro papa Giulio II)[71].

 

Le disavventure di Giovanni Sforza

Giovanni Sforza, poco dopo la morte della prima moglie Maddalena Gonzaga, sposò a Roma il 12 giugno 1493 Lucrezia Borgia, figlia del papanaturalmente legata)[72].

Ma sarebbero sorti problemi tra Pesaro e Roma, dato che Giovanni era sia genero e vassallo del papa, sia parente e protetto di Ludovico il Moro e, quando i rapporti tra i due  si guastarono, il Signore di Pesaro fu costretto ad una difficile politica di equilibrio[73].

Dal giugno all'agosto 1494 Giovanni era a Pesaro, impegnato a mettere in ordine la compagnia destinata a congiungersi all'esercito che sotto Ferdinando d'Aragona, figlio di re Alfonso, doveva arrestare in Romagna l’esercito francese; ma, nello stesso periodo, informava segretamente il duca di Milano dei preparativi militari dell'esercito pontificio[74].

Poco brillante la sua partecipazione alle campagne militari dei successivi anni: in Romagna, nel 1494, fu l'ultimo ad arrivare e uno dei primi ad andarsene, quando l'esercito napoletano, a metà ottobre, si ritirò verso il Mezzogiorno[75]; nel 1495 combatté in Lombardia, nel 1497 nel Regno, contro i Francesi (ma anche in questa occasione fu lento nell'andare, veloce nel tornare): né vengono ricordate in questi anni sue imprese significative[76]. Se i vantaggi del matrimonio non erano stati eccessivi per il signore di Pesaro[77], Giovanni a dire il vero non fece molto per meritarsi la riconoscenza o l'approvazione del suocero. La situazione quindi presto precipitò: il 24 marzo 1497 Giovanni fuggì precipitosamente da Roma, forse a causa di un tentativo di omicidio tramato ai suoi danni dal cognato Cesare Borgia[78].

Da questo momento il Papa brigò per lo scioglimento delle nozze (il matrimonio della figlia gli avrebbe permesso di rinsaldare i rapporti con altre corti italiane) e utilizzò come motivo la constatazione che, a suo dire, il matrimonio non era stato consumato[79]. Giovanni cercò di resistere a questa accusa infamante (e difficilmente credibile), ma le pressioni  congiunte del papa e dei suoi parenti milanesi (nell'occasioni bisognosi dell'aiuto papale) lo costrinsero a firmare il 18 novembre la dichiarazione richiestagli: ammetteva di non aver consumato il matrimonio[80].

Compromessi i rapporti con Roma, e basando la sua politica estera solo sulla fedele sudditanza ai parenti milanesi, in breve Giovanni si trovò in un vicolo cieco: dopo essere stato al servizio della coalizione antifrancese nel 1496, si inimicò nella primavera dell'anno successivo anche la repubblica di Venezia che lo accusava di avere ambigue relazioni con i Turchi in favore del duca di Milano[81].

Alla caduta di Ludovico il Moro (1499), perso l'unico sostegno della sua fallimentare politica estera, avrebbe visto in pochi mesi il suo Stato dissolversi, occupato dalle truppe dell’ex cognato Cesare Borgia.

 

Giovanni della Rovere partigiano dei Francesi

L'ascesa sul soglio pontificio di Alessandro VI, acerrimo nemico dei Della Rovere, provocò subito tensione tra il papa e i membri della famiglia, non ultimo il signore di Senigallia. Il 20 novembre 1494, nel bel mezzo dell'avventura italiana di Carlo VIII, Giovanni della Rovere, a Senigallia, fece arrestare un ambasciatore del Sultano e l'inviato del papa Giorgio Bocciardo, e sequestrò 40.000 ducati d'oro. Rese inoltre pubbliche le istruzioni pontificie e la lettera del sultano (che crearono sconcerto in Italia, dato che il papa chiedeva aiuto ad un nemico della fede contro il re di Francia Carlo VIII), la cui autenticità venne smentita dal Pontefice[82].

Il signore di Senigallia fu subito dal papa scomunicato e privato sia del vicariato, sia della carica di prefetto ma il papa stesso dovette revocare i suoi provvedimenti (del resto egli non aveva mai abbandonato i suoi Stati grazie all'appoggio della popolazione) quando si riappacificò con il re di Francia, il 15 gennaio 1495[83].

Si distinse quindi, nei due anni successivi, come fedele sostenitore dei francesi, per i quali combattè nel Meridione anche dopo il rientro di Carlo VIII in Francia: solo nel 1497, grazie alla mediazione di Venezia, fu reintegrato nei suoi Stati e cariche (sarebbe poi morto a Senigallia nel 1501)[84].

 

Fano alla fine del secolo XV

Si ebbe qualche tensione tra Fano e Urbino nel 1489 quando, per questioni di confine, furono presidiate le rocche confinanti con i domini feltreschi[85] e nel 1493, quando si fece lo stesso con i castelli di Cartoceto, Serrungarina e Ripalta (non Monte Giano, dove infuriava la peste), per prevenire possibili mosse di Giovanni Sforza di Pesaro[86].

Gravi disordini ci furono invece nel 1498, causati dal malgoverno di Paolo Cibo, governatore della città, contro cui fu fatto ricorso al Pontefice. Il popolo di Fano però, alla notizia che costui era stato confermato nella carica dal Papa, gli si ribellò apertamente e il Cibo, in un tumulto, perse la vita[87].



[1]Già Federico aveva dato prova di efficienza a Fano quando aveva inviato, nell'agosto 1464, due compagnie di fanti urbinati nella città metaurense per sedare un tumulto suscitato da nostalgici dei Malatesta: vds. P.M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, II, p. 20.

[2]Paltroni, Commentari, pp. 206-208. Vds. anche L. TONINI, Storia di Rimini (o "Storia civile e sacra riminese"), vol V, Rimini 1882, p. 308; G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, pp. 417-418; Franceschini, Montefeltro, p. 480.

[3]Nel marzo 1466 Federico è a Milano per assicurare il potere a Galeazzo Maria Sforza, erede di Francesco, morto l'8 di quel mese; nella primavera-estate 1467 combatte per la Repubblica Fiorentina contro i fuoriusciti che, capitanati dal Colleoni, cercavano, attraverso la Romagna di prendere il potere in Toscana (battaglia della Riccardina, 25 luglio 1467);  nell'estate 1468 è a Milano; nell'ottobre inizia una campagna in Piemonte contro il Duca di Savoia.

[4]ANONIMO VERONESE, Cronaca 1446-1488 (a cura di Soranzo G.), Venezia 1915, p. 254: Alexandro Sforza, insidiato Carlo da Lautilla, suo citadino rebbelle in quello de Urbino, ali XIII de aghosto (1468) lo prexe e ali XIIII lo fece impichare: per la qual cosa nacque grande odio tra el ditto Alexandro e lo conte de Urbino, suo gienero. Vds. anche nota 4 p. 254: "Di questa congiura, o meglio della colpa di Carlo di Lautilla, non si hanno notizie nelle storie edite ed inedite di Pesaro; si accenna invece ad una congiura, ordinata nel 1468 contro il signore di Pesaro per opera di un certo Antonio Maria della Valle, abitante in Pesaro, e della moglie di lui, Lucrezia vedova Fanuzzi, congiura scoperta dal figlio di Alessandro, Costanzo Sforza, per cui i due rei furono puniti (Bonamini, Cronaca della città di Pesaro, ms. dell'Oliveriana sgn. 966, c. 238). I Lautilla avevano tramato una grave congiura contro Alessandro Sforza nel 1462".

[5]Paltroni, Commentari, pp. 237-238. Franceschini, Montefeltro, p. 502.

[6]Paltroni, Commentari, pp. 239-240 (Et facto questo, (Roberto) se excusò cum lo Papa, facendo chiara la Sua Santità che li volea essere servitore pheudatrio et vasallo, ma che Sua Santità lo dovea havere per scusato se lui desiderava morire in casa sua, etc. Parve al Papa essere gabato et per niente potea havere patientia, anzi continuo non pensava, né cercava altro se non per che via potesse havere quella città). W. TOMMASOLI, La vita di Federico da Montefeltro 1422-1482, Urbino 1978, p. 199.

[7]A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Alessandro Sforza signore di Pesaro, Pesaro 1785, p. 106.

[8]Paltroni, Commentari, pp. 240-250. Franceschini, Montefeltro, pp. 502-509.

[9]Sulla data dello scontro vds. Giovanni di Nicolò BRANCALEONI, Cronachetta (1449-1469) (edita da E. Liburdi), in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie VIII, vol. V (1966-67), pp. 171-194, p. 191 e Paltroni, Commentari, p. 253 (Non venero el die seguente li inimici come se credette, ma l'altro die, che fu a die 30 de Augusto).

[10]Paltroni, Commentari, p. 262: ... el signore Roberto (dopo Mulazzano)  andò lui a quille terre che erano state del signore Sigissimondo, et reaquistò tucto el contà da Arimino in qua, excepto Mondaino et acquistò tucto el contà de Phano et parte del Vicariato. Vds anche Amiani, Memorie istoriche, II, pp. 19-21. Cfr. lettera di Paolo III in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, p. LXXXIII: "Paolo III dolendosi dell'empietà del nostro contado ribelle alla Chiesa, commanda la fedeltà de' Fanesi", del 1469 (datata die VIIII Octobris MCCCCLXVIIII Pontificatus nostri anno sexto).

[11]Paltroni, Commentari, p. 263.

[12]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 23. Vds. anche le seguenti lettere del papa: 1) "Sisto IV assicura i Fanesi, di non voler concedere ad alcuno la Città, e che il contado quanto prima ritornerà all'obbedienza loro" - 1473 (die VII Aprilis MCCCCLXXIII Pontificatus nostri anno secundo), in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, p. LXXXV: 2) "Sisto IV avvisa la Città d'aver commesso al Vescovo di Tivoli la restituzione de' Castelli del Contado di Fano occupati da Roberto Malatesta" - 1473 (die decima sexta Augusti 1473 Pontificatus nostri anno secundo), in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pp. LXXXV-LXXXVI. Nel 1471 Giacomo Piccolomini cercò anche di rioccupare Senigallia, allora possesso della Chiesa, ma ne fu impedito dai Fanesi: vds. lettera del 2 agosto 1472 (die secunda Augusti MCCCCLXXII Pontificatus nostri anno primo), in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pp. LXXXIV-LXXXV.

[13]Paltroni, Commentari, p. 265. Roberto Malatesta avrebbe sposato Isabella di Montefeltro il 24 giugno 1475 (Franceschini, Malatesta, pp.  431-2).

[14]Paltroni, Commentari, pp. 277-278: Federico andò subito ad Eugobio dove era  la prefata Madonna, et arivò la matina a die sei de luglio 1474 (sic, per 1472), et la sera, a hore doe de nocte, la prefata Madonna abandonò el misero mondo et andò a la celestiale gloria, lassando lo illustrissimo suo consorte, li figlioli, li servi et subditi tucti, cum tanta doglia et aflictione et pianto quanto mai fusse inteso, per la perdita et grandissima iacuta che se intendeva havere receuto de sì virtuosa, prudente et savia Madonna, vero spechio de pudecitia et de castità, clementissima a li subditi, liberalissima a li abisugnosi, caritativa, religiosissima iu / stissima et piena de omne virtù, cum singulare ingengo et eloquentissima... Il Paltroni (e seguendolo sbagliano Muzio, Baldi e Ugolini) riferisce il fatto al 1474, ma ciò è impossibile e l'errore è comprovato da vari documenti, citati da Tommasoli, editore dei Commentari, alla nota 2 p. 277).

[15]Anonimo Veronese,  Cronaca, p. 296: Alexandro Sforza... de aprile MCCCCLXXIII  parte da Pexaro, per venire a Venetia per via de Ferara; gionto a la Torre de la Fossa, more in quel loco, et lo corpo suo viene riportato a Pexaro a sepelire, de aprille ditto. Nella nota 3 p. 296 è citato anche il Diario Ferrarese, p. 247: Adì IV de aprile (1473) di domenica la mattina (si seppe) come heri sera di nocte a hore doe moritte in la Hostaria de la Fossa el sig. Alexandro da Pesaro etc. Vds. anche Olivieri, Alessandro Sforza, p. 110.

[16]Anonimo Veronese, Cronaca, p. 297: Mis. Bernabeo, vescovo de Pexaro, che lo acompagnava et che haveva praticha con la Chiexa de darli Pexaro, morto Alexandro, per Constantio, figliolo del ditto Alexandro, vien cerchato el Vescovato et, in quello atrovato de molte arme, aspetta el ritorno del vescovo; el quale col morto corpo gionto al Cexenatico e persentito el trovar de le arme per Constantio, abandona el corpo e va a Cexena; fu de aprile 1473. Vds. anche nota 1 p. 297: "Nelle storie edite o inedite di Pesaro non si trova cenno di questa trama del vescovo; solo si apprende che l'anno seguente, essendo in discordia col nuovo signore, il vescovo fu trasferito alla diocesi di Narni".

[17]Tommasoli, Federico, p. 247.

[18]Franceschini, Montefeltro, p. 525.

[19]ANONIMO, Cose occorse ne li anni 1450-1486 a Senegallia (a cura di S. Anselmi e R. Paci), Senigallia, 1972, nn. 51-54, pp. 32-34; A. POLVERARI, Senigallia nella storia, III, Senigallia 1981, p. 35; M. BONVINI MAZZANTI, Giovanni della Rovere, Senigallia 1983, pp. 45-49; V. LANCIARINI, Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912 (ristampa anastatica, S. Angelo in Vado, 1988), p. 660. Giovanni della Rovere ottenne nel novebre 1475, alla morte del cugino Leonardo, anche il ducato di Sora e Arce (tra Stato della Chiesa e Regno di Napoli, ma dipendente da quest'ultimo) e la carica di Prefetto di Roma (Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, pp. 57-65).

[20] F. AMBROGIANI, Il vicariato degli Sforza a Pesaro, in “Pesaro città e contà” 13 (2001), pp. 5-16, a pag. 7.

[21]C. BERLIOCCHI, Apecchio tra Conti Duchi e Prelati, s.l. (Petruzzi Editore), 1992, n. 8, p. 116. Ai possessi fu aggiunto, l’anno successivo, anche Serravalle (già del comune di Cagli).

[22]Paltroni, Commentari, pp. 281-283. Franceschini, Montefeltro, pp. 525-527. Lanciarini, Tiferno, pp. 609-10.

[23]Tommasoli, Federico, p. 272. Franceschini, Montefeltro, p. 527.

[24]Franceschini, Montefeltro, pp. 527-528. Da notare che alla fine del 1478 si separò da Federico il genero, Roberto Malatesta, che combattè l'anno successivo al soldo dei Fiorentini.

[25]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 49.

[26]F. AMBROGIANI, Papa Sisto IV e la questione di Pesaro (1480-81), in "Pesaro città e contà", n. 9, 1998, pp. 11-32, alle pagg. 11-12: Costanzo era arrivato in Toscana nel 1478 al soldo della coalizione aragonese-pontificia ma nel febbraio 1479 era passato al soldo dei Fiorentini. Il disinvolto cambiamento di fronte (effettuato in quei mesi anche da Antonello degli Armuzzi di Forlì e Roberto Malatesta di Pesaro) fornì il pretesto a Sisto IV, interessato ad ampliare i possessi di suo nipote Girolamo Riario nella regione, per attaccare Pesaro e Forlì (Roberto Malatesta era nel frattempo entrato al servizio di Venezia, alleata del Papa).

[27]A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Gradara, terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775 , p. 94;  Amiani, Memorie istoriche, II, pp. 47-48.

[28]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 48.

[29]Ambrogiani, Papa Sisto IV, p. 16 ss.

[30]Ambrogiani, Papa Sisto IV, pp. 18-19.

[31]Ambrogiani, Papa Sisto IV, pp. 19-20 (il Riario ottenne il 21 agosto il titolo di vicario di Forlì). 

[32]La scomunica fu tolta e il vicariato su Pesaro confermato a Costanzo solo il 25 agosto 1481, a causa di divergenze sui censi arretrati (3.550 ducati) che il signore di Pesaro, quale vicario apostolico, doveva alla Santa Sede (vds. Olivieri, Gradara, p. 94 e Ambrogiani, Papa Sisto IV, p. 26, che riporta la data del 26 agosto).

[33]Ambrogiani, Papa Sisto IV, p. 21. Nello stesso anno il soldo di Roberto Malatesta, al servizio di Venezia, era di 40.000 ducati; quello di Federico da Montefeltro (in bilico tra papa e re di Napoli) di 50.000.

[34]Anonimo Veronese, Cronaca, p. 386: Conte Hieronymo, nipote de Sixto papa, con circa III milia persone tra piedi e cavallo se riduce in quello de Fano de ottobre 1482 et allogiase sul Metro. Constantio Sforza, signore de Pexaro, con le giente se riduce a Pexaro et così fa la giente del duca de Urbino al governo del conte Antonio, suo figliolo naturale, et obviano el passare del conte Hieronymo. A le fine perchè volesse passare, pro nunc non se intende. Vds. anche nota n. 2 pag. 386.

[35]B. BALDI, Vita e fatti di Guidubaldo I Duca di Urbino, Roma 1824, p. 47.

[36]Anonimo Veronese, Cronaca, p. 399: Constantio Sforza..., acontiato con honorevel conditione con la Signoria de Venetia et messo quasi che in ordine et benissimo, havendo le sue giente d'arme fuor de Pexaro et essendo andato a trovar quelle et volendo cavalchare per ritornare a Pexaro, montato a cavallo ali XV de luglio MCCCCLXXXIII cognosse firmamente esser stato atosichato et così mal conditionato capitò a Pexaro, dove lui expresse a la donna la morte sua esser vicina e, per quanto se havesse, havendo a la donna ordinato quanto del suo stato havesse a seguire et certe altre cose, atexe al anima sua. Fra questo megio mis. Carlo Sforza, suo frattello naturale, che era rimasto in campo con le giente, fece mettere a ordine quelle et cavalchò con esse verso Pexaro; gionto a le porte e credendo intrare, li fo serato li restelli avanti; maravegliandosi e domandando de essere aperto, li fu risposto questo esser ordine de madonna Camilla. Il che sentendo la prefata madonna la gionta de mis. Carlo con le giente a la porta, subito montò a cavallo et andò lì, ancor sopravivendo el signor Constantio, et, gionta a la porta, chiamò mis. Carlo che intrasse con quattro cavalli e venisse a vedere el languente suo frattello. El quale, intrato a man a mano, andò in palazo e visitò el frattello infirmo e poi (de) volontà de madonna, ambi se ridusseno in un'altra camera, ala quale mis. Carlo se alargò e scoperse voler farse signor de Pexaro. La prudente madonna, che forsi haveva in mandatis dal marito quello la dovesse fare de la signoria de quella terra, subito, presto e cautamente fece prender el ditto mis. Carlo et mettere in uno fundo de torre del casero, che va verso Fano, et quel hora stessa, morto el marito, cavalchò per la terra con uno figliolo naturale del morto signor Constantio, chiamato Zohanne, et chiamossi de la terra signori la prefata madonna e quello piccolo figliolo del prefato signor Constantio Sforza; fu come de sopra.  Vds. anche nota 1 p. 399.

[37]P. CASTELLI, Cronache dei loro tempi. II. Le "allegrezze" degli Sforza di Pesaro 1445-1512, in AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 223-254, a pag. 241; F. AMBROGIANI, Il vicariato degli Sforza a Pesaro, in “Pesaro città e contà” 13 (2001), pp. 5-16, a pag. 9 (la bolla del 24 novembre 1483 prevedeva la concessione del vicariato a Camilla e Giovanni).

[38]La flotta turca salpa da Valona alla fine di luglio 1480. Otranto sarebbe stata riconquistata dalle truppe del Regno di Napoli solo il 10 settembre 1481 (Ambrogiani, Papa Sisto IV, p. 27).

[39]Ambrogiani, Papa Sisto IV, p. 22.

[40]Ad esempio nel 1485 i corsari barbareschi attaccano Case Bruciate, Montemarciano, Marzocca e Mondolfo; nel 1488 è la volta di Senigallia, le cui campagne vengono messe a sacco. Dal secolo XVI le coste marchigiane, come quelle di altre regioni poste sul litorale adriatico, si riempiono di fortificazioni e torri di avvistamento contro vascelli barbareschi e ponentini che, provenienti da Algeri, Durazzo e uno degli altri porti mediterranei base di pirati, volgevano con la bella stagione la prora verso la costa italiana con lo scopo di far prigionieri (che sarebbero poi stati riscattati)  o depredare costa e navi.

[41]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 51.

[42]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 51.

[43]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 51.

[44]Anonimo, Cose occorse, n. 79, p. 37: E le debito di gran memoria de li Turchi, che vennero a Mondolfi adì 11 d'Agosto 1485 e menorno in Turchia da Mondolfo 53 teste infra maschi e femine, erano di fuste piccole.

[45]Anonimo, Cose occorse, n. 80, p. 37: Ancora tornorno li Turchi adì 28 di settembre del 1485 in le fuste e calorono in una notte cinque fuste: doi a Casa Brusata, e corsero a Monte Marzano sino al ponte della Rocca, e fu ucciso un  turco sopra il ponte e cadde nel fosso, e delli altri feriti a morte, e li portorono via sopra li asini, e menorno in preda 46 teste la maggior parte donne. Furono morti tre christiani. N. 81, p. 37: Una fusta calò a Casa Nuova, e mise a sacco l'hosteria, e menò via due femine a le case de Sano di Sacoccia ancora mesero a sacco. Corsero alla possessione di meser Agostino Fregoso e fecero poco danno perché sentirono il rumore. Venne l'altra e calò al Morignano e presero doi piscador, e andavano alla casa del vigna del s.r. e la mesero a sacho e voitorno li sacchi della farina in terra per torre li sacchi, et roppero le casse, e robborno fino li catenzzi delli ussi e lorumor si levò in Seneg(alli)a e per il morbo non ci era huomini. Pure fecero gran tirare de bombarde e de campane, e aisorno il paese, chi fugite e chi venne alla terra, in modo che non andò più inante. Uscì dalla terra e del borgo circa diece cavalli, e la trombetta del Comune. Sonò sopra un torresino in modo che tanto per la notte, tanto per lo strepito delli cavalli, tanto per la voce grande tornarno in fusta et non fecero altro danno. Una fusta remase in amre alla guardia armata che non calò in terra.

[46]S. ANSELMI, Economia e vita sociale in una regione italiana tra Sette e Ottocento, Urbino 1971, p. 209.

[47]Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, pp. 86-87 (ma il suocero Federico da Montefeltro aveva contemplato, nelle clausole dell'accordo da lui stipulato con la lega Firenze-Milano-Napoli che i territori del genero, anche se militava in campo avverso, fossero tutelati dalla lega).

[48]Baldi, Guidubaldo, I pp. 58-59.

[49]Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, pp. 211-212.

[50]Baldi, Guidubaldo, I p. 47; Franceschini, Montefeltro, p. 547; F. UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, Firenze 1859, II, p. 45. La lancia era un’unità di cavalleri comprendente un certo numero di combattenti a cavallo (da due a cinque) e alcuni uomini di supporto a piedi.

[51]Baldi, Guidubaldo, I, pp. 59-60. Ugolini, Storia, II, pp. 48-57.

[52]Baldi, Guidubaldo, I, p. 98-102.

[53]Baldi, Guidubaldo I, I, pp. 51-54; 81-82; 97; Ugolini, Storia, II, p. 47.

[54]Ugolini, Storia, II, p. 58.

[55]Castelli, Cronache, pp. 241-242.

[56]Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, p. 224.

[57]L. ROMBAI - M. SORELLI, Demografia, insediamento, mestieri nel vicariato di Sestino tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo, in S. Anselmi (a cura di),  "La montagna tra Toscana e Marche. Ambiente, territorio, cultura, società dal medioevo al XIX secolo", Milano 1985, pp. 234-265, a p. 235.

[58]E. COPPI, L'Appennino tra Toscana e Marche: fra politica del principato mediceo e ducato di Urbino, in S. Anselmi (a cura di), "La montagna tra Toscana e Marche. Ambiente, territorio, cultura, società dal medioevo al XIX secolo", Milano 1985, pp. 112-119, a p. 113.

[59]F.V. LOMBARDI, La contea di Carpegna, Urbania 1977, p. 103 e pp. 117-118; M. BATTISTELLI, Miratoio. Una comunità di confine tra Montefeltro e Massa Trabaria, Rimini 1992, p. 32.

[60]Battistelli, Miratoio, p. 32.

[61]Franceschini, Montefeltro, p. 552.

[62]Franceschini, Montefeltro, p. 552.

[63]Franceschini, Montefeltro, p. 553.

[64]S. Agata e il suo Rettorato furono governati,  tra 1482 e 1506 da Antonio di Montefeltro, figlio naturale di Federico e fratellastro di Guidubaldo, a cui spettava comunque l'alta sovranità del piccolo Stato. Nel 1494 Antonio era agli ordini di Venezia con quattrocento cavalli (Franceschini, Montefeltro, p. 553, An 156).

[65]Franceschini, Montefeltro, p. 553.

[66]Franceschini, Montefeltro, p. 554.

[67]Franceschini, Montefeltro, p. 556.

[68]Franceschini, Montefeltro, pp. 557-558.

[69]Franceschini, Montefeltro, pp. 558-560.

[70]Franceschini, Montefeltro, p. 560

[71]Franceschini, Montefeltro, p. 560.  Giovanni della Rovere, signore di Senigallia e del Vicariato di Mondavio, che ottenne, il 5 luglio 1494, anche Castelleone, già di Castracane de' Castracani, rivoltatosi al papa qualche anno prima. L'alta sovranità di Castelleone spettava al monastero di S. Lorenzo in Campo il cui abate commendatario, il cardinal Giuliano della Rovere, fratello di Giovanni, lo passò al Signore di Senigallia che già di fatto controllava il castello dal 1488 (Polverari, Senigallia, III, p. 38; C. MICCI, Il monastero di S. Lorenzo in Campo, Ancona 1965, p. 104).

[72]Il matrimonio di Lucrezia doveva essere e fu in effetti pegno dell'alleanza politica stipulata fra Ludovico il Moro, papa Alessandro e la repubblica di Venezia il 22 aprile 1493 (Feliciangeli, Lucrezia,  p. 7).

[73]Feliciangeli, Lucrezia, pp. 10-13. Il 16 giugno 1493 veniva firmata la lega tra papa, Milano e Venezia; nell'agosto dello stesso anno Alessandro VI si riavvicinava a Napoli; all'inizio del 1494 sembrava prevalere di nuovo l'alleanza con Milano ma il 18 aprile il papa riconosceva come legittimo re di Napoli Alfonso II (era nel frattempo morto, il 17 gennaio 1494, re Ferrante, e Carlo VIII stava preparando, col sostegno del duca di Milano, la sua spedizione in Italia per la conquista del Regno).

[74]Feliciangeli, Lucrezia, pp. 16-19, che parla di “falsità e perfidia” di Giovanni.

[75]Feliciangeli, Lucrezia, pp. 21-23.

[76]Feliciangeli, Lucrezia, pp. 32-35. Una lettera del papa a Giovanni datata 17 settembre 1496, riportata dal Feliciangeli, "ci permette di supporre che la partecipazione dello Sforza alla campagna del 1496 nel regno di Napoli, a favore di re Ferdinando, non fu meno tepida e fiacca di quella che vedemmo alla spedizione in Romagna".

[77]Il 1 marzo 1494 il papa riconosceva a Giovanni Sforza il possesso di Gradara, controllato dalla sua famiglia dal 1463 ma inserito nell'investitura a favore dei figli di Roberto Malatesta nel 1482 (Olivieri, Gradara, p. 96).

[78]Feliciangeli, Lucrezia, pp. 38-43.

[79]Feliciangeli, Lucrezia, pp. 45-50.

[80]Feliciangeli, Lucrezia, pp. 51-67.

[81]Castelli, Cronache, p. 244.

[82]Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, p. 257.

[83]Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, pp. 261-265.

[84]Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, pp. 266-286.

[85]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 65.

[86]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 72.

[87]Amiani, Memorie, II, p. 77. E' questo il primo dei gravi problemi di ordine pubblico che i vari governatori ecclesiastici di Fano dovettero affrontare, dopo la parentesi del Valentino, nei primi decenni del Cinquecento.