Cap. XVII

 

Verso l’unificazione della Provincia

 

Cesare Borgia, nato nel 1475, seguì dapprima la carriera ecclesiastica divenendo a diciassette anni vescovo di Pamplona, quindi, nel 1493, cardinale. Deposta la porpora nell’agosto 1498, intraprese dall’anno successivo un ambizioso programma di conquiste con l’occupazione prima di Imola, poi di Forlì, dominio di Caterina Riario Sforza, non più protetta da Ludovico il Moro di Milano, il cui Ducato era ormai caduto nelle mani del re di Francia[1].

A questo punto l’altra signoria sforzesca dello Stato Pontificio, quella di Pesaro, da qualche tempo malvista dalla S. Sede, aveva i giorni contati, e non servì affatto a Giovanni Sforza richiedere aiuto a Venezia, che giudicò rischioso intervenire. Lo Sforza si preparava alla resistenza quando disordini in città (11 ottobre) lo spinsero a rifugiarsi nella rocca e, nella notte tra l’11 e il 12 ottobre, ad allontanarsi dalla città verso Ravenna, dominio veneziano. Mentre invocava i soccorsi, “la città era già stata presa per il duca. Da Rimini con soli 30 o 40 cavalli vi era andato Ercole Bentivogli, e a lui subito Galeazzo Attendolo da Cotignola fratel naturale di Giovanni aveva consegnato la rocca”, provvedendo comunque a condurre ad Urbino la madre, la figlia e gli oggetti più preziosi del fratello[2]. L’entrata del Borgia a Pesaro avvenne qualche giorno dopo, il 27 ottobre[3]. Il Valentino si diresse quindi alla volta di Rimini, anch’essa occupata dopo la fuga di Pandolfo Malatesta[4].

Le operazioni di guerra ripresero in Romagna nella primavera successiva e videro la conquista di Faenza, arresasi dopo una lunga resistenza il 25 aprile 1501, e un tentativo di conquista di Bologna, fallito per l’intervento di Luigi XII re di Francia (ma che fruttò al Borgia Castelbolognese). Ad accrescere le sue conquiste nel fianco sud del suo dominio, il 6 maggio 1501 Alessandro VI investiva il figlio (che in quei giorni ottenne anche il titolo di “duca di Romagna”) del vicariato perpetuo di Fano: il Valentino suscitò grande entusiasmo nei Fanesi che, nei mesi successivi, seguirono fedelmente (e non sempre con la dovuta moderazione) il suo partito[5].

 

Conquista di Urbino e Senigallia (giugno 1502)

Nella primavera 1502 Cesare Borgia inviava le sue genti sia contro i Varano di Camerino sia contro la Repubblica di Firenze, alla quale cercava di sottrarre Arezzo. Nel giugno il Valentino era a Spoleto, dove aveva fissato il suo quartiere generale e da dove inviò messaggeri a Guidubaldo di Montefeltro per richiedere alcuni pezzi di artiglieria per le imprese di Camerino ed Arezzo; gli chiese inoltre di rendere accessibili le vie di Gubbio, Cagli e Sassoferrato e di provvedere al vettovagliamento per 1500 fanti che dovevano far la scorta ai pezzi[6]. “Ad ingraziarsi il nuovo potente signore il duca d’Urbino non solo accedette alla richiesta, ma gli mandò anche in dono un superbo corsiero. Ad Urbino si era ancora lontani dal sospetto di tradimento: la duchessa era assente, mandata ad accompagnare Lucrezia, figlia del papa, che per la quarta volta andava a marito, sposa d’Ercole d’Este, duca di Ferrara”[7].

Il 18 giugno 1502 Cesare Borgia, partito da Spoleto alla volta di Camerino, giunto a Nocera inviò duemila fanti a Cagli, come se volesse far eseguire gli accordi presi in precedenza con il duca Guidubaldo. Ma, entrati il 20 in città da amici, essi la occuparono improvvisamente[8]. Contemporaneamente un’altra parte dell’esercito borgiano, forte di circa mille uomini, acquartierato nel contado di Fano (ma ai confini con il ducato d’Urbino), occupava Fossombrone; si sarebbero poi dovuti muovere un altro migliaio di uomini, accampati tra Verucchio e S. Arcangelo per stringere in una morsa mortale la capitale del Ducato[9].

Guidubaldo, che non aveva sospettato il tradimento del Valentino, che non aveva un esercito da contrapporre alle milizie borgiane, che sapeva che Urbino non poteva resistere ad un assedio, fuggì dalla città insieme al nipote Francesco Maria della Rovere (mandato in quella corte dalla madre) e riuscì avventurosamente a raggiungere il territorio veneto[10].

Il Valentino occupò  quindi tutto lo Stato: fu decapitato il segretario del duca, messer Dolce[11]. Riuscì anche ad impossessarsi dell’imprendibile rocca di S. Leo, consegnatagli dal tradimento del commissario feretrano Giovanni Scarmiglione da Foligno[12]. I Fanesi subito inviarono rallegramenti per la vittoria e chiesero al Valentino i castelli di Montebello, Montefelcino e S. Ippolito su cui vantavano diritti: furono subito concessi dal principe[13].

 

La Lega della Magione e  la riconquista feltresca del Ducato (ottobre 1502)

Le vittorie conseguite dal Valentino in Romagna e Marche in così breve tempo[14] suscitarono la preoccupazione dei suoi condottieri, signori di piccoli stati dell’Italia centrale: contro il Valentino fu firmata pertanto il 9 ottobre una lega che, dalla località in cui fu sottoscritta, è detta “della Magione”. Ad essa aderirono gli Orsini, Vitellozzo Vitelli di Città di Castello, Pandolfo Petrucci, Oliverotto da Fermo, Gian Paolo Baglioni di Perugia e i Bentivoglio di Bologna. La lega sarebbe presto naufragata, dato che mancava ai congiurati l’appoggio delle grandi potenze; in un primo momento però ottenne diversi successi, tra cui quello di liberare lo Stato di Urbino dai borgiani.

In ciò fu aiutata dai partigiani feltreschi che, numerosi nei vari centri del Ducato, occuparono S. Leo[15] e fecero sollevare, prima dell’arrivo degli aiuti dei congiurati, le principali città[16]. Rimanevano però fedeli al Borgia le rocche di Urbino[17], Gubbio[18], Pergola, Fossombrone e Cagli: fu pertanto organizzata da due capitani del Borgia, Ugo di Moncada e Michele Coreglia, una spedizione per recuperare le città principali del Ducato. I Borgiani riuscirono a recuperare Pergola, che fu orrendamente saccheggiata (9 ottobre): furono anche massacrati dal Coreglia nell’occasione i tre figliuoli di Giulio Cesare Varano, prigionieri nella rocca della città[19]. Da Pergola il Coreglia si diresse a Fossombrone, una cui porta era stata occupata, nella notte dal 9 al 10, da fedeli del Valentino guidati da un tal M. Raniero da Pesaro: le truppe borgiane poterono quindi agevolmente penetrare nella città, che fu anch’essa sottoposta ad un ferocissimo saccheggio (10 ottobre)[20].

Ma ormai stavano sopraggiungendo nel Ducato le truppe dei collegati, decisi a sostenere i ribelli contro il Borgia: il Vitelli da Città di Castello aveva inviato fanti e cavalli; Paolo Orsini avanzava lungo la Flaminia; avevano inviate le loro schiere anche Liverotto, Bentivoglio e Baglioni[21]. L’11 ottobre i collegati erano nel contado di Urbino dove si accanirono nella facile impresa di saccheggiare i castelli di Fossombrone[22].

Ma i Borgiani non stavano inoperosi. Il 12 e il 13 ci furono scontri nel territorio urbinate al di là del Foglia: gli uomini del Valentino presero prima Montecalvo, poi Auditore e Monte Altavellio (questi due castelli furono dati alle fiamme)[23]. Il 15 poi il Coreglia si mosse da Fossombrone, dopo aver ricevuto rinforzi dalla Romagna, verso Urbino, ma le sue schiere (un migliaio circa di uomini) furono dapprima respinte dagli Urbinati, poi, a Calmazzo, assalite dai collegati che nel frattempo avevano ingrossato le loro file a Cagli. I Borgiani furono completamente disfatti: quattrocento furono, secondo le fonti, i morti; diversi comandanti, ma non il Coreglia che riuscì a fuggire a Fossombrone, furono catturati[24].

Il giorno successivo continuarono le operazioni di guerra e fu preso dagli Urbinati il castello di Primicilio, mentre si accendevano combattimenti intorno a Tavoleto[25].

Il 18 ottobre, quindi, rientrava ad Urbino Guidubaldo, accolto dalle dimostrazioni d’affetto dei suoi sudditi[26].

Nel frattempo anche la rocca di S. Leo era tornata in mani feltresche[27]. Restava in mano borgiane la parte alta di  Fossombrone, che fu presa tra il 19 (cittadella) e il 23 ottobre (rocca). I difensori ebbero il permesso di ritirarsi a Fano ma, appena usciti dal territorio dello Stato di Urbino, furono massacrati dalle truppe di Oliverotto da Fermo, che s’impossessò di tutto il bottino che recavano[28].

Si arrendevano quindi i castellani delle rocche di Pergola (26 ottobre) e Cagli (29 ottobre)[29]. Venivano anche saccheggiati ed arsi, in concomitanza con gli avvenimenti sopra descritti, vari castelli dei contadi di Fano, Pesaro e Rimini, città che rimasero comunque saldamente in mano al Borgia[30].

 

Il Valentino recupera il Ducato

Nonostante i successi conseguiti, la situazione per i congiurati era senza via di uscita: né Venezia né Firenze avevano intenzione di intervenire in loro favore e il re di Francia, malgrado i recenti contrasti, non aveva nessuna intenzione di giocarsi l’alleanza di papa Alessandro VI. Molti dei collegati, pertanto, si mostrarono disposti a tornare al servizio del Valentino, cosa che realizzarono nel mese di novembre. Ma il Borgia, che li aveva pubblicamente perdonati, meditava già il bellissimo inganno di Senigallia: nella notte tra il 31 dicembre 1502 e il 1 gennaio 1503 Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo e una quindicina d’altri personaggi, catturati a tradimento dal Borgia, furono uccisi nella rocca di Senigallia, che le truppe borgiane avevano da poco occupato[31].

Nel frattempo, dopo il ritorno dei congiurati al servizio di Cesare Borgia, la situazione di Guidubaldo si era fatta insostenibile, malgrado l’appoggio popolare[32]: si accordò in un primo momento con il Valentino, che sembrò disposto a riconoscergli il possesso del Montefeltro[33]; l’8 dicembre tuttavia pensò opportuno scegliere per la seconda volta la via dell’esilio e, dopo aver dato l’ordine di distruggere le fortezze dello Stato, partì da Urbino dirigendosi a Città di Castello e, da lì, a Mantova e a Venezia[34]. Subito le milizie borgiane penetrarono nel Montefeltro (principio 1503), occuparono la fortezza di Maiolo e assediarono S. Leo, che tuttavia avrebbe resistito fino al ritorno di Guidubaldo[35].

Gravi disordini nel frattempo erano scoppiati a Cagli, dove i cittadini, guidati dal vescovo Gaspare Golfi, si erano apertamente ribellati al Borgia e avevano rifiuto di accogliere entro le mura il commissario del Valentino, Galeotto da Rimini. Furono inviate, agli ordini del Coreglia e del Moncada, milizie borgiane per ristabilire l’ordine e a questo punto i Cagliesi, vista l’inadeguatezza delle loro forze, si arresero. Il vescovo Golfi, fuggito dalla città, fu inseguito e ucciso da due sicari presso Frontone; il conte Luigi di Montevecchio, uno dei responsabili della ribellione, fu arrestato e decapitato, il 6 gennaio 1503, sulla piazza di Cagli. Riuscirono invece a fuggire altri due nobili coinvolti, il conte Ottaviano di Montevecchio e il conte Ugolino Oliva di Piandimeleto[36].

In tutta la nostra provincia si affermò quindi l’autorità del Borgia. Il governo del ducato fu affidato in un primo momento ad Antonio di San Savino, protonotario apostolico[37]; poi, il 27 febbraio 1503, Cesare Borgia nominò quattro commissari per la cura dello Stato: lo spagnolo Girolamo Bonadio fu preposto, oltre che a Cesena e Rimini, a Pesaro; lo spagnolo Pietro Ramires allo Stato di Urbino; messer Andrea Cossa a Fano, Fossombrone, Senigallia e Pergola[38].

 

Crollo del dominio borgiano

Ma il malcontento continuava a serpeggiare nel Ducato. S. Leo era in armi e l’assedio non procedeva affatto bene; il 5 giugno molti francesi, al servizio del Borgia, furono uccisi tra S. Leo e Monte Copiolo e questa ultima comunità, insieme a quattro altri luoghi vicini, si ribellò apertamente. Disordini minacciavano di scoppiare ad Urbino, e ciò spinse i fedeli del Borgia ad aumentare la sorveglianza[39].

Dette tuttavia il colpo di grazia al dominio del Valentino la morte del padre, avvenuta improvvisamente il 18 agosto 1503. Anche papa Pio III, non ostile ai Borgia, eletto il 22 settembre e consacrato il 1 ottobre, morì il 18 dello stesso mese e, il 31 ottobre, fu eletto papa il cardinale Giuliano della Rovere (Giulio II), acerrimo nemico dei Borgia, zio di Francesco Maria (il giovane signore di Senigallia spodestato dal Valentino).

Ma già alla morte di Alessandro VI tutto il ducato di Urbino si era di nuovo sollevato e lo stesso Guidubaldo, da Venezia, era ritornato: il 23 agosto tutto lo Stato era in rivolta[40]; il 24 il Principe era a San Leo[41], il 28 ad Urbino, accolto dal tripudio della popolazione[42]. Il 14 settembre il duca di Urbino stipulava una condotta al servizio di Venezia, che assumeva la protezione dello Stato[43]. Contemporaneamente anche Pesaro e Senigallia ritornavano sotto gli antichi signori. Galeazzo Sforza il 31 agosto era ad Urbino ed il giorno dopo cavalcava già verso Pesaro; il 1 settembre suo fratello Giovanni era ospite di Guidubaldo nella città feltresca[44] e il 3 settembre rientrava a Pesaro[45], dove si vendicò di coloro che l’avevano tradito (tra cui l’umanista Pandolfo Collenuccio). Anch’egli ha ormai scelto l’alleanza veneziana[46].

Nello stesso periodo cadevano nelle mani  degli Urbinati e dei fedeli dei Della Rovere anche Senigallia e il Vicariato: Mondolfo era conquistata il 31 agosto[47]; la rocca di Senigallia il 24 settembre[48].

 

La guerra di Fano

Le cose invece non si mettevano bene per Fano che, fedelissima al Borgia, dovette sostenere l’attacco delle città confinanti. La situazione era critica anche perché il territorio era sguarnito di truppe, dato che le milizie urbane erano partite al seguito del Valentino[49].

Le truppe del duca di Urbino riconquistarono, alla fine di agosto, i castelli di Fossombrone controllati dai fanesi (Montebello, S. Ippolito e Montefelcino); fu la volta quindi di Reforzate, Isola Gualteresca e Sorbolongo (gli ultimi due erano enclavi fanesi tra Vicariato e territorio di Fossombrone), a cui fu dato il sacco[50]. Il 10 settembre gli Urbinati occuparono Cartoceto, che però fu presto recuperata dai Fanesi[51].

Ma la situazione stava diventando critica proprio in città: il 29 settembre la rocca cadde, per tradimento, nelle mani degli Sforza di Pesaro[52] e la situazione si fece, per gli abitanti della città, insostenibile e fu giocoforza piegarsi, chiedere perdono al duca di Urbino[53] e accordarsi con lo Sforza[54]. Si ricorse poi, per aiuti, ai Veneziani, particolarmente attivi, in questo periodo, nella vicina Romagna; ma, con l’elezione di Giulio II (31 ottobre 1503), la situazione si normalizzò e il 21 novembre 1503 i Fanesi, che si erano poco prima sottomessi a Venezia, giuravano fedeltà alla Chiesa[55].

 

Venezia in Romagna

Nel frattempo i Veneziani, alla dissoluzione dello Stato del Valentino, avevano allargato i loro possedimenti in Romagna, dove già possedevano Ravenna e Cervia (era al loro servizio, dal settembre 1502, Guidubaldo da Montefeltro)[56]. Essi occuparono, nel novembre del 1503, Faenza e altri luoghi[57], quindi Rimini. Qui il potere di Pandolfo Malatesta[58], appena restaurato, era assai debole, e di ciò era cosciente lo stesso signore. Vendette quindi alla Serenissima (16 dicembre 1503) i suoi domini in cambio di alcuni privilegi, un indennizzo e la signoria di Cittadella, in territorio padovano: passavano in potere veneziano tutti i domini malatestiani della Romagna, comprendenti Rimini, Sarsina e Meldola e altri territori minori[59].

L’ascesa di Venezia sembrava inarrestabile[60], ma si scontrò ben presto con l’intenzione di Giulio II di riaffermare il diretto dominio della Chiesa nella Regione. Riuscì in primo luogo a staccare Guidubaldo dall’alleanza con la Serenissima, lo ricolmò di onori e lo nominò Gonfaloniere di S. Romana Chiesa: ben presto, anche per i legami di parentela[61], il duca di Urbino si spostò in campo ecclesiastico. I Veneziani stessi capirono di non poter detenere tutti i domini conquistati e, già nel marzo 1505, consegnarono alcuni centri minori (S. Arcangelo, Montefiore, Savignano, Tossignano, Cesenatico) alla Chiesa[62], mentre rimanevano in loro potere, oltre a Ravenna e Cervia, Rimini e Faenza.

 

Disordini a Fano

Il crollo del dominio del Valentino provocò, negli anni successivi, sanguinosi strascichi sia a Fano sia a Pesaro, dove parte delle classi dirigenti cittadine aveva sostenuta l’esperienza borgiana. Nel 1505 un gravissimo tumulto a Fano costò la vita ad Antonio da Gualdo, vicario di Angelo vescovo di Tivoli, commissario pontificio. Il Da Gualdo, inviato a Fano all’inizio di quell’anno per sedare i tumulti, reprimere le fazioni ed eliminare gli abusi, con la sua severità aveva suscitato malanimo in certi settori: una notte fu assalito nel palazzo apostolico da sconosciuti e ucciso a pugnalate[63]. La situazione era caotica e cercarono inutilmente di riportare la pace in città il vescovo Gabrielli e un tal Angelo di Tivoli; dovette quindi intervenire, incaricato da Giulio II, il Duca di Urbino, che inviò  truppe consistenti (che sarebbero rimaste in città per alcuni anni) e cercò di riconciliare le fazioni[64]; se riuscì a risolvere per il momento i problemi, non eliminò alla radice la causa dei mali, che pertanto si ripresentarono negli anni successivi[65]

 

I fuoriusciti contro Giovanni Sforza

Giovanni Sforza era giunto a Pesaro nel settembre 1503 (ed avrebbe ottenuto nuova investitura di vicariato per la città da papa Giulio II nell’aprile 1504)[66]. “E’ ben facile a concepirsi che” per il suo ritorno “universale essere non poteva l’allegrezza, e che mentre alcuni soggiacevano agli effetti della vendetta e crudeltà di lui, altri colla fuga procurarono mettersi in salvo, non lasciando però di tentare in tutti i modi di cacciar nuovamente di Stato lo stesso Sforza”[67].

Essi trovarono aiuto, a quanto sembra, nello stesso Giulio II (che aveva concesso l’investitura a Giovanni ma che aveva risentimento nei suoi confronti)[68], che spinse un condottiero al suo servizio, Giovanni Sassatelli da Imola, nei primi giorni di giugno del 1505 ad attaccare, insieme con un gruppo di fuoriusciti, il contado pesarese. Il 5 giugno il gruppo, forte di circa cento cavalieri e duecento fanti, si spingeva da Roncosambaccio (territorio di Fano) a Trebbioantico (villa di Pesaro), che fu messa a sacco; il 6 era sotto le mura di Novilara, dove però il Sassatelli fu ferito alla bocca da un abitante del luogo (un tal Cristoforo Guarente della Busca) e dovette abbandonare l’impresa[69]. I fuoriusciti però cercarono di portare la rivolta in altri luoghi e si spinsero a Montelabbate (che conquistarono) e a Mombaroccio (da cui furono respinti). Costretti a rinchiudersi a Montelabbate, furono assaliti da Galeazzo Sforza, fratello di Giovanni, che guidava le milizie cittadine e che recuperò facilmente il castello: coloro che non erano morti nello scontro, condotti poi a Pesaro, furono nel dì 11 e 12 del medesimo mese orrido spettacolo a tutta la Città[70].

 

Riorganizzazione giudiziaria del Ducato di Urbino

Un importante provvedimento del papa fu emanato il 18 febbraio 1507, quando Giulio II, per dare maggiore consistenza giuridica e politica all’adozione del nipote Francesco Maria della Rovere da parte di Guidubaldo da Montefeltro” (avvenuta nell’aprile 1504)[71], ampliò le prerogative della “Rota”, cioè del  Collegio dei Dottori di Urbino (bolla Ad Sanctam Petri divina dispositione sublimati): “il Collegio veniva infatti creato tribunale competente  a giudicare le cause, anche in ultima istanza, nei territori dei Montefeltro e della Rovere (Urbino e Senigallia; dal 1512 anche Pesaro), che così erano sganciati dalla giurisdizione delle Legazioni di Romagna, Marca e Perugia[72]. Sarà pertanto uno strumento importante nelle mani dei Della Rovere che riusciranno, anche utilizzando quest’organo, ad uniformare ed armonizzare l’apparato giudiziario delle città a loro sottoposte (fino a quel momento scarsamente omogenee).

 

Morte di Guidubaldo e successione di Francesco Maria I

Guidubaldo da Montefeltro, da tempo malato, finì la sua vita l’11 aprile 1508[73], ad appena trentasei anni d’età. Gli successe il nipote diciottenne Francesco Maria della Rovere[74], già signore di Senigallia e del Vicariato di Mondavio, che quindi, da questo momento amministrerà uno Stato esteso su buona parte della nostra provincia[75]. In quel periodo papa Giulio II (zio del giovane Duca di Urbino) stava organizzando una lega contro Venezia (che controllava diverse città romagnole) e fu scelto come capitano generale della Chiesa Francesco Maria (4 ottobre 1508)[76]. La guerra ebbe un esordio felice: i Veneziani, sconfitti dalle potenze coalizzate, abbandonarono le loro posizioni in Romagna e consegnarono Rimini al pontefice il 26 maggio 1509[77]. Poco fortunata fu invece la campagna dell’anno successivo, contro Ferrara, che vide anche inasprirsi l’ostilità tra Francesco Maria e il cardinal Alidosi, governatore di Bologna, poi ucciso dal Della Rovere il 24 maggio 1511[78]. Il Duca fu poi assolto nel processo[79], ma il delitto sarebbe stato in futuro utilizzato da Leone X, successore di Giulio II, per togliere al Della Rovere lo Stato di Urbino.

 

La fine della signoria sforzesca di Pesaro

Nel frattempo si avviava a conclusione la signoria sforzesca di Pesaro. Il 24 febbraio 1510 nasceva a Gradara il tanto atteso erede di Giovanni Sforza, Costanzo, ma il signore di Pesaro moriva pochi mesi dopo (27 luglio 1510)[80]. Galeazzo Sforza, zio di Costanzo, assumeva il controllo della città per il bambino, che però moriva il 5 agosto 1512. Essendo terminata la linea legittima (Galeazzo, fratellastro di Giovanni, era figlio naturale non legittimato di Costanzo I), papa Giulio II negò l’investitura e inviò milizie contro Galeazzo, che si rinchiuse nella rocca, mentre la città e il contado cadevano nelle mani degli ecclesiastici. Si arrese quindi il 30 ottobre 1512 e, accompagnato dal popolo fino a Cattolica, lasciò tra il rimpianto popolare la città[81].

Sotto il governo ecclesiastico Pesaro rimase per pochissimo tempo: il 20 febbraio 1513 infatti papa Giulio II concesse a Francesco Maria la città, ad estinzione di crediti che questi aveva con la Camera Apostolica[82].



[1]Imola fu conquistata il 19 dicembre 1499; Forlì il 12 gennaio 1500. Ludovico il Moro aveva rioccupato il ducato di Milano, perso l'anno precedente, all'inizio di febbraio 1500, ma sarebbe stato definitivamente sconfitto e fatto prigioniero dai  Francesi a Novara il 9 aprile dello stesso anno.

[2]E. ALVISI, Cesare Borgia duca di Romagna - notizie e documenti, Imola 1878, pp. 130-131.

[3]P. CASTELLI, Cronache dei loro tempi. II. Le "allegrezze" degli Sforza di Pesaro 1445-1512, in AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 223-254, a pag. 244: "L'ingresso del Borgia a Pesaro, dopo varie vicende, avvenne il 27 ottobre 1500 sull'imbrunire, mentre cadeva una pioggia torrenziale. Gli anziani, secondo il solito cerimoniale, lo andarono a riverire con gran concorso di popolo. Cesare era scortato da duemila fanti e cavalieri, abbigliati in modo sontuoso".

[4]Pandolfo Malatesta era stato privato del vicariato per non aver pagato il censo il 16 agosto 1499; abbandonato dai Veneziani, era odiato da buona parte della nobiltà riminese; il 5 di ottobre affidò al consiglio municipale la custodia della città, che entrò in possesso del luogotenente del Valentino il 10 dello stesso mese. Il 30 ottobre Cesare Borgia faceva il suo ingresso in città, scortato da diecimila fanti e duemila cavalieri (L. TONINI, Storia di Rimini, vol. V, Rimini 1882, pp. 435-438 e, nell'appendice di documenti allo stesso volume, doc. n. CXLIII del 10 ottobre 1500, pp. 330-335; G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, p. 445).

[5]P. M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, vol. II, Fano 1751, p. 81; Alvisi, Cesare Borgia, p. 199. La notizia ufficiale dell'investitura giunse a Fano l'11 luglio; il giuramento di fedeltà al nuovo signore da parte di tutto il popolo fu fatto in Duomo il 21 (Alvisi) o 22 (Amiani) luglio. Il documento di concessione di vicariato è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pp. LXXXVI - LXXXVII.

[6]B. BALDI, Vita e fatti di Guidubaldo I Duca di Urbino, Roma 1824, II,  pp. 75-77; Alvisi, Cesare Borgia, p. 280 ss.

[7]Franceschini, Montefeltro, p. 562.

[8]Amiani, Memorie istoriche, II, p. 83; Baldi, Guidubaldo, II, p. 78; Franceschini, Montefeltro, p. 562.

[9]Baldi, Guidubaldo, II, p. 234; Alvisi, Cesare Borgia, pp. 281-282; C.H. CLOUGH, La successione dei Della Rovere nel Ducato di Urbino, in B. Cleri e altri (a cura di), "I Della Rovere nell'Italia delle corti", vol. I (Storia del Ducato), Urbania 2002, pp. 35-62, a pag. 37.

[10]La fuga venne narrata dal Duca stesso in una lettera del 28 giugno 1502 indirizzata al card. Giuliano della Rovere: è riportata da Alvisi, Cesare Borgia, doc. 60, pp. 528-533. Vds. anche Alvisi, Cesare Borgia, pp. 283-288; Franceschini, Montefeltro, p. 563,; Clough, La successione, p. 37. ANONIMO, Diario delle cose di Urbino, a cura di F. Madiai, in "Archivio Storico per le Marche e l'Umbria", vol. III, fasc. IX e X, 1886, pp. 419-464, a pag. 423: Addì 21 di giugno, il Duca Valentino figlio di papa Alessandro pigliò lo Stato di Urbino, e il Duca Guido si partì la notte avanti fra le ore 4 e le 5 e andò alla volta di Sanleo, dov'erano stati presi tutti i passi, e non potè entrarvi; per la qualcosa M. Dionigi da Sant'Agata il campò". Francesco Maria era stato nominato dal papa vicario di Senigallia e degli altri territori dello Stato il 18 marzo 1502.

[11]Clough, La successione, p. 35.

[12]O. OLIVIERI, Monimenta Feretrana (introduzione, edizione critica e traduzione a cura di Italo Pascucci), Rimini 1981, pp. 267-269.

[13]Amiani, Memorie istoriche, II, pp. 84-85. Il  9 ottobre 1502 i senatori dei castelli di Montefelcino, S. Ippolito e Montebello giuravano fedeltà a Fano. Il Duca promise anche la restituzione del Vicariato, ma gli affari del suo Stato ne impedirono l'esecuzione; aveva anche assicurato di reintegrare Fano dell'antico dominio sopra il Presidiato di S. Lorenzo in Campo.

[14]Il 23 luglio 1502 il Borgia aveva occupato anche Camerino: J.E. LAW, Relazioni dinastiche tra i Della Rovere e i Varano, in B. Cleri e altri (a cura di), "I Della  Rovere nell'Italia delle corti", vol. I (Storia del Ducato), pp. 21-34, a pag. 22.

[15]Alvisi, Cesare Borgia, p. 323: "Ai primi (di ottobre) costruivasi una muraglia nella rocca di S. Leo, quando alcuni fedeli del Montefeltro, intesi con chi era deputato al lavoro, sforzata una porta con una trave, entrarono nella fortezza e uccisero i soldati che vi erano per il duca; fece il colpo un Giambattista Brizio stato scudiero del fu Federico. Dopo S. Leo si ribellarono due altri piccoli castelli". La notizia del fatto raggiunse Imola il 7 ottobre e Roma l'11 (Ivi, p. 323, nota 1).

[16]Anonimo, Diario, p. 424: Addì 8 d'ottobre venne (in Urbino) la novella che s'era avuto Sanleo e S. Marino e Tavoleto, e che tutto Montefeltro, Ugubio e Cagli erano tornati alla devozione del signor Guido Ubaldo, il quale s'era partito alli 21 di giugno, e così senza vederlo e senz'altro aiuto tutto Urbino si levò in armi.

[17]La rocca di Urbino fu la prima ad esser conquistata, il 9 ottobre. Vds. Anonimo, Diario, p. 424: Addì 9 detto... gli uomini della  terra insieme co' nostri contadini diedero la battaglia alla rocca d'Urbino, e in tempo di tre ore l'ebbero. Morirono de' nostri contadini 4, e feriti ne furono assai. Di quelli della rocca morirono circa 6 e tre furono impiccati.

[18]Sarebbe caduta in potere degli insorti il 19 ottobre (Anonimo, Diario, p. 428).

[19]Anonimo, Diario, p. 424; L. NICOLETTI, Di Pergola e suoi dintorni, Pergola 1899, p. 201; G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. II,  Fossombrone 1914, p. 234.

[20]Anonimo, Diario, p. 424: Addì 10... (a Fossombrone) giunse intanto don Micheletto che veniva dalla Pergola... Vi arrivò M. Raniero da Pesaro, e in un punto certi traditori gli apersero la porta. Entrarono dentro e la misero a sacco e fecero gran crudeltà...; Vernarecci, Fossombrone, II, p. 234.

[21]V. LANCIARINI, Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912, p. 70.

[22]Anonimo, Diario, p. 425: In detto dì (11 ottobre) fu messo a sacco S. Ippolito, Montemontanaro, Montefelcino, Bellaguardia e certi altri castelli; fu tagliato a pezzi un Francesco della Carda e preso per sospetto m. Guido degli Arcangeli priore di S. Sergio a Cagli, il quale fu poi rilasciato per non esser stato trovato in fallo. A Cagli  arrivò il vescovo di Castello monsignor Paolo Orsini con forse 5000 persone. Vernarecci, Fossombrone, II, p. 238.G. VERNARECCI, Del Comune di Sant'Ippolito, Fossombrone 1900, p. 56: "L'anonimo autore del Diario delle cose di Urbino dice che il sacco di S. Ippolito e degli altri castelli seguì il giorno 11 ottobre 1502; ma se è vero che il sindaco di S. Ippolito mandò le chiavi del castello il giorno 13 ottobre a Fano, il sacco dev'essere avvenuto dopo, o la presentazione di quelle chiavi qualche giorno innanzi".

[23]Anonimo, Diario, p. 426: (Il 12 ottobre) i nemici tolsero Montecalvo... Addì 13 i nemici tolsero l'Auditore e lo bruciarono e così fecero a Monte Altavellio.

[24]Anonimo, Diario, p. 426: Addì 15 detto (ottobre), i nemici bruciarono Gaifa e vennero sino alla croce di S. Donato e tolsero del nostro bestiame. La nostra fanteria andò loro contra e caccianli fin sotto la Badia. Il Vescovo di Castello e Paolo Orsini venivano da Cagli con le loro genti. Quando furono a S. Eufemia intesero quello che avevano fatto i nemici e li seguitarono. I nemici si fecero forti lì a Casa del Mazzo. I nostri dettero dentro e le ruppero per modo che ne ammazzarono circa 400 e pigliarono don Ugo che era uno delli tre. Fu estimato che i nostri avessero guadagnato infra cavalli, vestimenti e denario per 3 mila ducati; ne furono feriti de' nostri assai ed uno morto. Vernarecci, Fossombrone, II, 239-240: "Secondo lo scrittore dei Comentaria fu di 400 il numero dei morti; il Baldi li ridusse a 250. Fra i morti Antonio Stati, conte di Montebello, di 17 anni; Bartolomeo Capranica, nobile romano (ucciso dai villani del paese). Furono catturati don Ugo di Moncada ed altri spagnoli. Don Michele riuscì a salvarsi fuggendo a Fossombrone, inseguito inutilmente da Camillo Brancaleoni di Pecorari".

[25]Anonimo, Diario, pp. 426-427: Nel seguente giorno, 16, ogni uomo si drizzò verso Fossombrone con l'artiglieria; quelli di Sant'Angelo e da Casteldurante verso il Tavoleto. Ser Tommaso dei Felici andò la notte a Primicilio con la sua compagnia de' Venturieri. Essendovi stati tutta la notte, avendo la mattina cominciato a dar battaglia, arrivò in quel luogo il Duca di Gravina con Gio. Paolo Baglione che venive da Cagli. Andarono tutti al detto Primicilio, il quale subito presero e misero a sacco ammazzando 9 spagnuoli e presero assai prigioni.

[26]Anonimo, Diario, p. 427.

[27]Olivieri, Monimenta Feretrana, pp. 267-269.

[28]Anonimo, Diario, pp. 427-428: (Guidubaldo, il 23 ottobre,) cavalcò a Fossombrone, ebbe la rocca d'accordo, e fece salvi gli uomini, che potessero portare quello che volevano, e così ne cavò circa 40 con un cariaggio, ed ogni uomo portava un fardello quanto poteva, e li assicurò per tutto il suo terreno con la scorta di quelli di Vitellozzo. Si diceva per ogni uomo che portassero roba per circa 4 mila ducati. Quanto furono fuora delle terre del signore, si scoperse la gente addosso, gridando "Liverotto, Liverotto", e li ammazzarono tutti e tolsero la roba". Vernarecci, Fossombrone, p. 241.

[29]Anonimo, Diario, p. 429.

[30]Anonimo, Diario, p. 428. Ma vds. ivi, p. 430:  (il 2 novembre) Venne nuova che don Michele aveva impiccato a Pesaro cinque persone delle principali.

[31]A. POLVERARI, Senigallia nella storia, Senigallia 1979 -1981, vol III, p. 52.

[32]Da ricordare almeno Anonimo, Diario, pp. 432-433: Il 19 (novembre) le donne di Valbona, dal pozzo in giù, vennero in corte pregando il signore che facesse guerra, dandogli tra argento e oro la valuta di 42 ducati in circa.

[33]Anonimo, Diario, p. 434: Il 5 dic. notizia che si doveva restituire lo Stato al Valentino, tranne S. Leo, Maiolo, S. Martino (sic, per S. Marino), S. Agata.

[34]Anonimo, Diario, p. 435: L'8 G. parte alle 5 accompagnato da forse 2000 persone. Vernarecci, Fossombrone, p. 243. Nicoletti, Pergola, p. 204. Lanciarini, Tiferno, p. 671.

[35]Anonimo, Diario, pp. 438-444; Olivieri, Monimenta, pp. 269-271; Lanciarini, Tiferno, p. 671.

[36]Anonimo, Diario, p. 438: 6 gennaio. S'intese essere stato preso il conte Ugolino da Pian di Meleto, e donato il suo stato ad uno chiamato "il Corborano". Fu preso e decapitato il Vescovo di Cagli, il conte Aloigi di Montevecchio... Il conte Ottaviano di S. Lorenzo si fuggì, e fu donato quello stato a don Ugo. Lanciarini, Tiferno, p. 610 e Vernarecci, Fossombrone, II, p. 244 menzionano per errore come decapitato nella piazza di Cagli anche il conte di Piandimeleto, ma vds. W. TOMMASOLI, Per una storia dellse Signorie minori fra Marche e Romagna: i conti Oliva di Piandimeleto, in AAVV, "Il convento di Montefiorentino", San Leo 1982, pp. 7-50, a pag. 48.

[37]Nominato luogotenente a Urbino l'8 dicembre (Anonimo, Diario, p. 435).

[38]Vernarecci, Fossombrone, II, 243-245.

[39]Anonimo, Diario, p. 489.

[40]Anonimo, Diario, p. 443: Alli 23 (agosto) venne (a Urbino) il Catelano e l'Ongaro, e subito si gridò Feltro, Feltro; e ad un istante si sollevò tutto lo stato, salvo la rocca del Tavoleto, nel qual dì successe male assai. Si misero a sacco le case di Gaspare Fazzini, di Federico del Castellaro, ed esso fatto prigione; la casa di Messer Giovan Bastaro da Montefiore, del Paparello e parte di quelle di Giordano. Fu ammazzato il Luogotenente, Luca di Scaglione ed altri. Il Barigello fu nascosto in casa della Isotta e perciò scampò. Ivi, pp. 443-444: Alli 24 venne Messer Simonetto Fregoso con molti di quelli di S. Leo, e subito mandò bando, che non si facesse più danno e fu eseguito.

[41]Alvisi, Cesare Borgia, p. 408; Vernarecci, Fossombrone, II, p. 248.

[42]Anonimo, Diario, p. 444. Meno gioiosa e compatta l'esultanza dei cittadini di Urbino secondo Alvisi, Cesare Borgia, p. 409: "Il governatore Antonio dal Monte, che era in Urbino, dà le armi ai cittadini che per qualche dì difendono la città dai villani che a frotte discendono dal Montefeltro; ma la città è presa e il governatore si ritira a Cesena. Nel tumulto è ammazzato il luogotenente Luca Scaglione faentino, e nelle loro case saccheggiate sono cercati e morti i cittadini ducheschi, delle principali famiglie di Urbino. Guidubaldo vi entra a 2 ore di notte del 28. E tutto lo Stato è perduto, eccetto la rocca del Tavoleto".

[43]Franceschini, Montefeltro, p. 566; Clough, La successione, p. 43.

[44]Anonimo, Diario, p. 444.

[45]Anonimo, Diario, p. 444: Alli 3 (settembre) si ebbe Pesaro, e li nemici del Sig. giovanni si andarono con Dio, ma non si potè guadagnare la rocca (che, arresasi a patti il 29 settembre, fu occupata da Giovanni Sforza il 19 ottobre: ivi, p. 446 e 448). A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Novilara, castello del contado di Pesaro, Pesaro 1777, p. 54. Vds. anche il bando dello Sforza ivi riportato a pag. 55 in cui lo stesso ordina, che per esser egli stati ai tre di e nel terzo giorno nel mese di Settembre del anno 1503 prese possesso nel di della Domenicha cira l'ora de terza da li suoi Citadini et subditi amorevolmente ricevuta, et accompagnata per la Corte de Pesaro in et a la dicta Cità al Palazzo et Corte de Sua Illma Signoria con iubilatione et gaudio de picoli et grandi, et summa allegrezza, se debia in advenire omni anno solenizare come festa il di 3 de Setembre, farsi gli offizi al Domo, le porchette senza dazio, et uno steccato su la piazza de Pesaro per amazzare con spade e pugnale un Toro selvatico etc. bandito die I Sept. 1504. L'entrata ad ora terza  (a ore dodici) è ricordata anche da una "Cronichetta Pesarese"  riportata da Olivieri, Novilara, p. 55). L'investitura da parte di Giulio II avvenne con Bolla data Nono Kalen Maii 1504 (Olivieri, Novilara, p. 54).

[46]Giovanni Sforza si sposò con Ginevra Tiepolo, di illustre famiglia veneziana. La sposa giunse a Pesaro il 10 dicembre 1504 (Castelli, Allegrezze, pp. 244-245). "Il governo di Giovanni e Ginebra non fu privo, nonostante i momenti difficili, di dignità e decoro. Proprio a Ginevra e a Giovanni si deve la venuta a Pesaro e la protezione del celebre stampatore Soncino" (Castelli, Allegrezze, p. 244).

[47]Anonimo, Diario, p. 444.

[48]Anonimo, Diario, p. 446.

[49]Amiani, Memorie, II, 88; Vernarecci, Fossombrone, II, 249.

[50]Amiani, Memorie, II, 88. Vds. anche Anonimo, Diario, p. 444: Addì 28 (agosto) Bartoccio da S. Paolo essendo andato verso Fano mise a sacco alcune castella... Alli 30 (agosto) ... Giovanni Uguccione ritrovandosi Cancelliere di Fossombrone, subito che si levarono le grida, andò con quanti potè avere all'Isola di Fano e conquistolla per il Duca d'Urbino, e a Sorbolongo fece il medesimo. Il 30 agosto  i Magistrati fanesi scrissero al Borgia che Senigallia, Urbino, Fossombrone e Pesaro minacciavano d'invadere la città.

[51]Amiani, Memorie, II, 89.

[52]Anonimo, Diario, p. 446: Alli 29 (settembre) essendo certi Italiani nella rocca di Fano, ebbero intelligenza col Sig. Giovan Pietro di Pesaro, onde ammazzarono il castellano e tutti li Spagnuoli che vi erano, e la consegnarono al Sig. Pier-Gentile da Camerino in nome del Signor di Pesaro.

[53]Anonimo, Diario, p. 447: Alli 2 (ottobre) vennero gli ambasciattori di Fano a gettarsi a' piedi del Sig. Duca nostro, promettendo di voler esser uomini della Chiesa e servitori suoi.

[54]Anonimo, Diario, p. 447: Alli 7 (ottobre) ... si accordarono quelli di Fano col Sig. Giovanni da Pesaro e pagarono cinque mila scudi per non andare a sacco.

[55]Amiani, Memorie, II, 90. G. SORANZO, Il clima storico della politica veneziana in Romagna e nelle Marche nel 1503 (agosto-dicembre), in "Studi Romagnoli", V (1954), pp. 513-545, a pag. 528: "Anche Fano sentì il vento di fronda; di là erano venuti a Venezia con lettera credenziale del Gonfaloniere e dei Priori, datata il 25 ottobre, alcuni di quei cittadini; il 29 costoro con delegati del Governo Veneto discussero e concretarono le clausole della dedizione e il 30 il senato le accettava"; ivi, nota 27 p. 528: "Il Senato deliberò di accettare l'offerta di sottomissione dei Fanesi, ancorchè i loro messi non avessero con sè il mandato ufficiale di concludere". Anche dopo la sottomissione a Giulio II i Fanesi mandarono ambasciatori a nella città lagunare offrendo la dedizione della città, ma il Senato decise di non accogliere questa petizione per non inasprire i rapporti già molto tesi che la Repubblica aveva con il papa per la questione delle terre romagnole occupate dai Veneziani (Soranzo, Il clima storico, pp. 531-532).

[56]Soranzo, Il clima storico, p. 519-520;  Franceschini, Montefeltro, p. 566.

[57]L. PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, vol. III, Trento 1896, p. 392. Faenza fu occupata il 20 novembre; furono quindi occupate Montefiore, Verucchio, S. Arcangelo, Meldola, Tussignano con la Val di Savio, Russi, Brisighella, Saludecio (Soranzo, Il clima storico, pp. 534-538)

[58]C. TONINI, Storia di Rimini (o "Storia civile e sacra riminese"), vol VI, Rimini 1887, pp. 19-21: Pandolfo rientra in città il 20 agosto e rioccupò la rocca solo il 29 ottobre.

[59]Soranzo, Il clima storico, p. 533. Tonini, Rimini, appendice al vol VI, doc. n. XXIX del 16 dicembre 1503: Convenzione seguita fra Pandolfo malatesta e il Doge Lauredanto di Venezia per la cessione o vendita della Città di Rimini alla Repubblica; Franceschini, Malatesta, p. 446. Furono occupate in questo periodo anche Montefiore, Verucchio, S. Arcangelo, Meldola, Tussignano con la Val di Savio, Russi, Brisighella, Saludecio (Soranzo, Il clima storico, pp. 534-538).

[60]Aveva conquistato varie città e terre di Romagna ed erano al suo servizio, oltre il Duca di Urbino, anche Ramberto Malatesta conte di Sogliano e Niccolò Guidi conte di Bagno (Soranzo, Il clima storico, p. 538).

[61]Il 24 aprile 1504 Francesco Maria, signore di Senigallia, figlio di Giovanni della Rovere (nipote di papa Giulio II) e di Giovanna da Montefeltro (sorella di Guidubaldo) è adottato da Guidubaldo da Montefeltro. Il 22 maggio fu firmata la condotta con la quale il Duca passava al servizio della Santa Sede (Clough, La successione, p. 53).

[62]Pastor, Papi, p. 510.

[63]Amiani, Memorie, II, 93. In quel tempo la città era divisa in fazioni, di cui i capi erano i Negusanti, i Bertozzi, i Bollioni, gli Uffreducci, i Gabrielli, i Gambetelli (Amiani, Memorie, II, 93).

[64]Amiani, Memorie, II, 94: Il medesimo duca nel dì 3 ottobre 1505 accompagnato da molti nobili urbinati e da tre compagnie di fanti portassi in città e il 3 novembre  vi convocò il consiglio generale, con più di 600 persone (compresi i deputati delle ville e i sindaci dei castelli) e fu stipulato l'istrumento di pace.

[65]L'8 aprile 1510 si riaccendono gli scontri tra le  fazioni a Fano, con morti e feriti (Amiani, Memorie, II, 99); gravi disordini anche nel 1511, nel giorno della fiera di S. Bartolomeo (Gabrielli contro Ballioni) (Amiani, Memorie, II, 101).

[66]Nono Kalen Maii 1504: vds. l'atto in  Olivieri, Novilara, p. 54

[67]Olivieri, Novilara, p. 55.

[68]Olivieri, Novilara, pp. 55-56: Giulio II gli aveva conceduta la nuova investitura di Pesaro; ma, o pentito egli si fosse della grazia accordata, e conoscendo che troppa bella pezza era Pesaro per Francesco-Maria, suo Nipote, desiderasse di poter fare allora ciò, che fece poi alla morte del piccolo Costanzo II, figliuolo di Giovanni; o piuttosto giustamente irritato contro il medesimo Giovanni, perchè, malgrado le esortazioni, e le minacce fattegli dal Papa,... non si curava di obbligare i Pesaresi, suoi sudditi, a pagare alla Comunità di  Fano le collette per que' beni, che possedevano essi nel Fanese, e che credevano, forse per le antiche dispute intorno ai confini, non appartenenere a quel Contado, certo è, che non solamente sottomano protesse i forusciti di Pesaro, ma anche scopertamente diede loro braccio.

[69]Olivieri, Novilara, p. 56: Aveva Giulio fin dai 25 Fennajo 1504 condotto ai servizj della Chiesa Giovanni Sassatelli da Imola. Or all'improvviso costui, il 3 giugno 1505, come si à nelle esattissime Diarie di Pietro Marzetta: "passò per lo territorio di Pesaro con parte de forusciti di Pesaro con circa cento cavalli, e 200 fanti, quali forusciti furono Niccolò et Ottaviano Ondedei, Malatesta de Magistris, Ottaviano de la Lana, Bernardino da Norsia, et altri molti, et alloggiarono a Roncosambaccio, Villa di Fano, e scorsero fino a Trebbio antico Villa di Pesaro, e la posero a sacco adi 5 di detto mese. Voleva il Sassatello con detti forusciti tentar Pesaro, ma dal cattivo tempo de la notte precedente fu impedito, onde passò poi a Novilara, dove restò ferito il detto Sassatello nella bocca con una balestra da Cristofero Guarente de la Busca del d. Castello, il quale poi fu fatto esente dal Sig. Giovanni Sforza". Vds. anche Olivieri, Novilara, doc. VII, pp 85-86: supplica di Cristoforo di Guarente di Novilara  del 1523 perché mantenga l'esenzione accordata da Giovanni Sforza).

[70]Olivieri, Novilara, p. 57.

[71]M. BONVINI MAZZANTI, Aspetti della politica interna ed estera di Francesco Maria II Della Rovere, in B. Cleri e altri (a cura di), "I Della Rovere nell'Italia delle corti", vol. I (Storia del Ducato), Urbania 2002, pp. 63-76, a pag.80.

[72]Bonvini Mazzanti, Aspetti della politica, pp. 80-81.

[73]Anonimo, Diario, p. 461: Alli 10 (aprile 1508) venne nuova da Fossombrone che il Duca era morto la sera fra le 4, e le 5 ore della notte. Per la data dell'11 aprile vds. Clough, La successione, nota 99, pp. 53-54.

[74]Clough, La successione, pp. 49-53.

[75]M. LUCHETTI, Le "imprese" dei Della Rovere: immagini simboliche tra politica e vicende familiari, in AAVV, Pesaro nell'età dei Della Rovere, Venezia 1988, pp. 57-93 , p. 57: "Francesco Maria, nato a Senigallia il 25 marzo 1490 da Giovanni della Rovere, signore della città, e da Giovanna da Montefeltro, sorella di Guidubaldo, era rimasto orfano di padre ad appena undici anni. Con la madre si era quindi trasferito alla corte di Urbino, dove aveva ricevuto un'educazione estremamente raffinata, a contatto con i poeti ed i letterati più illustri del tempo, come il Bembo, il Dovizi e il Castiglione. Destinato alla carriera militare, fortuna volle che il 1 novembre 1503 venisse eletto al soglio pontificio suo zio paterno, il cardinale Giuliano della Rovere, papa con il nome di Giulio II. E proprio grazie all'interessamento di quest'ultimo, il 24 aprile 1504 Francesco Maria  veniva adottato da Guidubaldo e da Elisabetta Gonzaga, che non avevano avuto figli”.

[76]Luchetti, Imprese, p. 58; R. MARCUCCI, Francesco Maria I della Rovere, parte I (1490-1527), Senigallia 1903, riporta la data del 29 settembre 1508.

[77]Amiani, Memorie, II, 98.

[78]Luchetti, Imprese, pp. 60: "Gli sviluppi della Guerra contro la Francia videro il successo dell'esercito pontificio all'assedio di Mirandola, conquistata il 20 gennaio 1511. Tuttavia, nel corso degli eventi, si era sempre di più manifestata l'ambiguità del cardinale Francesco Alidosi. Da ultimo, nonostante le richieste del duca di Urbino, egli si era rifiutato di rinforzare le difese di Bologna, minacciata dall'avanzata dei Francesi e dai partigiani dei Bentivoglio, la nobile famiglia che sino a pochi anni prima aveva il dominio della città. Improvvisamente, la notte tra il 20 e il 21 maggio 1511 Bologna cadde nelle mani nemiche, tradita proprio dai fanti che l'Alidosi aveva destinato alla sua custudia. Alla notizia, il cardinale fuggì in tutta fredda nel suo feudo di Castel del Rio, vicino a Imola, da dove, per allontanare da sé ogni sospetto, iniziò una campagna denigratoria ai danni di Francesco Maria, attribuendogli la colpa di quella incalcolabile disfatta e in più accusandolo di tradimento. Le accuse del cardinale fecero una tale impressione su Giulio II, sconvolto per la perdita del più importante possesso pontificio in Romagna, che egli cominciò a meditare la condanna a morte del nipote. Dopo averlo sospeso dal comando delle truppe, lo fece convocare al suo cospetto a Ravenna. Il carattere del duca di Urbino, naturalmente portato all'ira, era messo a dura prova da questi eventi inaspettati che volevano trasformarlo nell'unico responsabile dell'accaduto. La mattina del 24 maggio, a Ravenna, dopo il colloquio con il pontefice, che umiliandolo lo aveva rimproverato di essersi comportato con troppa leggerezza nelle operazioni militari, mentre usciva dalla città, giunto nei pressi di Porta San Vitale, Francesco Maria ebbe la ventura di imbattersi proprio nel cardinale Alidosi, il maggiore sospettato dell'intera vicenda e senza dubbio il suo più pericoloso denigratore. Incurante della scorta che lo accompagnava, formata da quasi un centinaio di cavalieri, Francesco Maria gli si avventò contro con tutta la rabbia che aveva covato a lungo, trafiggendolo con lo stocco e facendolo cadere da cavallo. Qui i fedeli del duca di Urbino lo finirono, chi con la spada chi con il pugnale, lasciandolo a terra morente, in un lago di sangue, tra lo stupore dei presenti e della stessa guardia del cardinale, che non ebbe il coraggio di intervenire in sua difesa". Vds. anche Marcucci, Francesco Maria I, pp. 20-25.

[79]Luchetti, Imprese, p. 60-61: "La terribile vendetta provocò l'arresto immediato di Francesco Maria, su ordine del pontefice in persona, che gli impose anche un versamento di centomila ducati d'oro di cauzione, onde scongiurare ogni tentativo di fuga. Il 14 luglio 1511 il duca era sottoposto ad un processo al cospetto di un Collegio di cardinali e della Curia. Tuttavia non erano mancate in quei giorni le voci che avvaloravano il sospetto di un effettivo tradimento dell'Alidosi, tanto che alla fine lo stesso Giulio II decise di intercedere per il nipote, macchiatosi di un delitto che per quanto grave non lo era come la prodizione. Comunque stessero le cose, tutti i capi di imputazione mossi contro Francesco Maria I caddero l'uno dopo l'altro, e alla fine il vero processato fu proprio il defunto legato di Bologna, che la sentenza dichiarò inappellabilmente reo di tradimento della causa papale, filofrancese e colpevole di aver attentato alla vita del duca di Urbino. Il 5 dicembre 1511, con formale sentenza, Francesco Maria I era definitivamente assolto da ogni accusa. Riacquistava così il grado di capitano generale dell'esercito pontificio e lo zio Giulio II, oltre a restituirgli i centomila ducati d'oro di cauzione, gliene elargiva altri dodicimila come indennizzo"; Marcucci, Francesco Maria I, pp. 25-26.

[80]A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie di Gradara, terra del contado di Pesaro, Pesaro 1775, p. 98.

[81]Olivieri, Gradara, p. 98. Castelli, Cronache, p. 246.

[82]Giulio II concesse decimo Kal martii anno MDXIII, pontificatus sui X (Oliveriana ms 380, carta 337, n. 15) a Francesco Maria per sè, suoi eredi e successori, e per l'annuo censo di una tazza di argento, di una libbra, la città di Pesaro, e suo territorio, distretto e contado (Lanciarini, Tiferno, p. 675). Vds. anche Marcucci, Francesco Maria I, p. 27 n. 1.