Capitolo XXIV

 

La fine del potere pontificio

 

Ci furono festeggiamenti e manifestazioni popolari anche nella nostra provincia per l’elezione di Giovanni Maria Mastai Ferretti, di Senigallia, che aveva fama di “liberale”, nel luglio 1846.

A Pesaro sorse nel 1847 attorno al caffè d'Ausonia, che si trovava sotto i portici del corso, davanti alla chiesa di S. Agostino, un'organizzazione semisegreta che partecipava alle manifestazioni di giubilo e appoggio nei confronti del pontefice: frequentavano il locale "amnistiati, benpensanti, funzionari di governo, quanti auspicavano che il papa ampliasse le riforme e chi credeva ai cambiamenti comunque ottenuto", oltre ai membri della "società carbonica" che, nata precedentemente, intorno alla metà dell'anno aveva assunto un consistente numero di proseliti, che andavano dai conti Spada fino a membri della piccola borghesia[1].

 

Le riforme di Pio IX

Papa Pio IX, cercando di svecchiare le strutture dello Stato della Chiesa, tra l'altro in perenne crisi finanziaria[2], era esaltato in tutto lo Stato come "liberale" e le riforme che fece in quegli anni gli valsero ovunque una grande popolarità. Il 16 luglio 1846 concedeva un'amnistia[3], seguita da una Consulta di Stato[4] e, il 5 luglio 1847, dalla costituzione della Guardia Civica, una milizia cittadina che, con il compito di difendere le istituzioni, la sovranità e il territorio nazionale, affiancava l'esercito di linea e i carabinieri nella custodia dell'ordine pubblico. La nuova milizia, diventata subito strumento armato dell'elemento progressista, ottenne consenso e partecipazione specialmente nelle città e nella regione costiera; suscitò freddezza nei paesi e, in particolare, in montagna[5]. Nello stesso mese giunse l'ordine di scioglimento dei battaglioni di ausiliari di riserva[6].

 

Pugnali nell'ombra

Il Risorgimento fu un'età di nobili passioni e generose battaglie, ma anche di assassinii di nemici politici o personali, organizzati ed effettuati da affiliati alle società segrete, che mascheravano talvolta vere e proprie sette omicide.

Già nel 1847 si contano gravi fatti di sangue nella nostra provincia: il 9 agosto di quell’anno fu assassinato a Pesaro da un settario un tal Girolamo Cerni, considerato una "spia"; il 23 agosto nella stessa città fu accoltellato a morte Ludovico Grestini, che aveva avuto motivi personali di attrito con un affiliato ad una setta, un sarto[7]; fu quindi la volta di Curzio Andreozzi, caporale degli ausiliari di riserva, ucciso alla metà di dicembre 1847[8].

A Fano il 3 gennaio 1848 fu ferito a pugnalate da ignoto il conte Luigi Borgogelli, conservatore[9]; alla fine dello stesso mese fu assassinato da ignoti il direttore postale della città metaurense, contrario alle riforme[10].

Assassinio eccellente il 4 febbraio 1848 a Pesaro: fu pugnalato a morte Giuliano Fiocchi Nicolai, segretario generale della legazione di Urbino e Pesaro, patrizio pesarese e in procinto di iniziare un impiego di prestigio a Roma. L'assassino, Ludovico Esposito, legato alla famiglia Spada "a ora tarda si presentò all'Ausonia e qui ebbe battimani e vino, e fra i biliardi di quel ritrovo si vantò... Non si appurò da chi venne l'idea né chi commissionò il delitto, ma nessuno dubitò che la morte del Nicolai venne ideata e decisa fra la gioventù liberale ed esaltata" della città[11].

 

Cacciata dei Gesuiti da Fano

Particolarmente pesante la situazione a Fano dove si stava coalizzando un forte malcontento contro i gesuiti (assenti nel resto delle Legazione), considerati avversari delle riforme.

Il 23 febbraio 1848 il Gonfaloniere aveva avvisato il governatore Alavolini di prendere le necessarie disposizioni perché si potevano vedere in città capannelli ostili e la situazione non lasciava presagire niente di buono[12]. Il giorno successivo fu dato l'assalto al Collegio e furono abbattute le porte. Solo l'evacuazione dei religiosi e l'intervento della Guardia Civica riuscì a placare gli animi e a permettere il ristabilimento dell'ordine pubblico[13]. Sconcertante la reazione delle autorità, che denotava la loro impotenza: "il governatore suggerì di non fare indagini che sarebbero riuscite inutili e compromettenti, e lo stesso cardinal legato scrisse a Roma che fatti analoghi accadevano un po' ovunque"[14].

 

L'assalto al palazzo apostolico di Pesaro

Un ulteriore omicidio commesso da Ludovico Esposto (l'assassino del Nicolai) alla metà di marzo del 1848[15],  permise ai carabinieri di arrestare l'assassino, riconosciuto dalla vittima prima di spirare; l’Esposto venne pertanto arrestato dai carabinieri il 14 marzo e incarcerato all'interno del palazzo apostolico di Pesaro. Lo stesso giorno però una folla di sediziosi assalì il palazzo, precipitosamente abbandonato da funzionari e polizia, circondò le carceri (che si trovavano sul retro del palazzo apostolico) e costrinsero i secondini a liberare il detenuto, "che fu condotto in trionfo al caffè d'Ausonia". Poco dopo giunse l'ordine legatizio di dimettere il prigioniero e consegnarlo al posto di guardia della Civica ("vale a dire in mano agli stessi che l'avevano liberato"): alcuni esponenti di spicco dell'aristocrazia pesarese avevano intercesso per lui presso il legato, che sperava in questo modo di coprire l'accaduto con un provvedimento regolare. Falsi testimoni provvidero poi a fornire un alibi all'Esposto[16].

 

Il Consiglio dei Deputati

Nel frattempo veniva concesso dal Papa, il 14 marzo 1848, lo Statuto, nel quale venivano concesse le libertà fondamentali e creato un Consiglio di deputati eletti (che, accanto all'Alto Consiglio di nomina papale, doveva svolgere la funzione legislativa).

Il sistema elettorale era censitario, su una base fortemente ristretta: votavano solamente grandi possidenti terrieri, laureati da almeno sei anni, capifabbrica e maestri d'arte con almeno venti dipendenti[17].

Il 18 e il 19 maggio si andò alle urne per l'elezione dei rappresentanti nel Consiglio dei Deputati, che si sarebbe dovuto adunare il 5 giugno successivo; in caso di mancato raggiungimento di un quorum di votanti stabilito dalla legge (un terzo degli iscritti) si sarebbe andati a ballottaggio: in tutti i collegi fu necessario un secondo turno.

Nella nostra legazione furono eletti il cav. Curzio Corboli (Urbino-Urbania),  il conte Nardini di S. Leo (collegio di Montefeltro), il conte Terenzio Mamiani (Pesaro),  il conte Marcelli (Cagli), il conte Carlo Ferri (Fano), Ermanno Benedetti duca di Montevecchio (Mondolfo), il conte Pasquini (Senigallia)[18].

 

Verso la guerra

Il sistema rappresentativo non ebbe però tempo per radicarsi dato che le notizie che giungevano dal resto dell'Italia e dall'Europa spingevano gli animi alla guerra: il 14 marzo insorgeva Vienna; il 18 Milano; il 25 entrava in guerra contro l'Austria Carlo Alberto re di Sardegna. I governi (costituzionali) di Firenze e Napoli permisero l'arruolamento di volontari da inviare al nord contro gli Austriaci, cosa che fece anche lo Stato della Chiesa, ufficialmente con il compito di presidiare la frontiera settentrionale[19].

Nella nostra provincia fu creato il "Battaglione civico mobilitato di Pesaro-Urbino", composto da 4 compagnie, per un totale di 3-400 unità: esso era al comando del maggiore Luigi De Leoni[20].

Con la partenza del cardinal Fieschi si chiuse la serie dei cardinali legati della provincia di Urbino e Pesaro: gli succedette infatti, nell'aprile 1848, con il titolo di "pro-legato" un laico, il cesenate Edoardo Fabbri[21].

 

Disordini e assassinii.

Negli ultimi mesi del 1848 si fece gravissima la situazione dell'ordine pubblico soprattutto a Senigallia (la maggiore città della Legazione), dove era attiva una fazione "repubblicana" che fu chiamata "lega  degli ammazzarelli" per i numerosi omicidi di cui fu responsabile in quegli anni[22].

Anche a Pesaro la situazione stava uscendo di mano degli aderenti al "Caffè Ausonia". Un gruppo di popolani "democratici" defezionò dalla società carbonica e, sotto la guida di Giulio Grilli, cominciò a riunirsi  presso l'osteria di un tal Angelo Lombardi, in via Borgomozzo (quartiere Trebbio), assumendo il nome di "Lega Lombarda". Il gruppo sarebbe stato ben presto eliminato dalla borghesia dell'Ausonia: l'oste fu assassinato alla fine di dicembre; vari appartenenti all'associazione arrestati nel gennaio successivo[23].

Nel frattempo l'azione degli aderenti alla "Lega lombarda" si faceva sentire: il 19 novembre 1848 la folla, effervescente per i recenti avvenimenti romani (morte del ministro Pellegrino Rossi, concessione di un ministro democratico), saccheggiò il palazzo apostolico senza che nessuno intervenisse[24]; il 22 il popolo assalì una barca carica di generi alimentari, distribuiti al popolo[25]. Qualche giorno dopo (9 dicembre 1848) partiva da Pesaro, dopo aver chiesto un congedo al ministero per ragioni di famiglia, il pro-legato Fabbri, che delegò, a ricoprire la sue funzioni, il consultore di legazione conte Giuseppe Machirelli, a cui affiancò l'assessore legale Andrea Cattabeni e il gonfaloniere di Pesaro Vincenzo Hondedei-Germani[26].

Il 19 gennaio 1849 si registrano anche gravi disordini a Senigallia (fu assalito l'appartamento del Vescovo); in quella città il problema principale era però costituito dal mantenimento dell'ordine pubblico, messo in crisi dalla già menzionata setta "degli ammazzarelli", che sparse il terrore, tra la fine del 1848 e i primi mesi (almeno fino ad aprile) del 1849, con un'impressionante serie di omicidi: la situazione di terrore, completamente sfuggita di mano ai patrioti locali, si protrasse fino all'arrivo degli Austriaci[27].

 

Le elezioni del 21 gennaio 1849

Il 24 novembre 1848 il papa fuggiva a Gaeta (da dove avrebbe sconfessato il governo instaurato a Roma). Nello Stato nel frattempo, venivano convocati, per il 21 gennaio 1849, le elezioni a suffragio universale (maschile) per la creazioni dei deputati all'Assemblea costituente[28].

La nostra provincia aveva diritto ad eleggere sedici deputati: furono eletti cinque deputati di Senigallia (Luigi Salvatori, Arsenio Paolinelli, Andrea Cattabeni, Vincenzo Cattabeni, Mattia Bernabei); due di Pesaro (Terenzio Mamiani, Alberico Spada)[29] e Fossombrone (Alessandro Donati, Bonaventura Zacchi); uno per ognuna delle seguenti città: Fano (Mario Froncini), Gubbio (Ubaldo Marioni), Urbania (Filippo Ugolini), Pergola (Antonio Salvadori), Urbino (Curzio Corboli), S. Agata Feltria (David Ravogli); fu eletto anche un romano, Luigi Bartolucci[30].

Il 9 febbraio 1849 veniva proclamata la Repubblica Romana. Fu nominato "preside" della nostra provincia Andrea Cattabene (già nominato dal pro-legato Fabbri ed eletto all'Assemblea)[31].

 

Insorgenza controrivoluzionaria

Limitati i movimenti controrivoluzionari nella provincia, in gran parte motivati dalla paura di reclutamento e coscrizione.

L'unico menzionabile avvenne il 1 aprile 1849 a Ginestreto, S. Angelo in Lizzola e Monteciccardo: furono rialzate le insegne papali al grido di "Viva Maria"[32].

Nello stesso giorno una colonna di insorgenti, guidati da tal Sante Oliva di Mombaroccio, stazionava in armi presso il convento del Beato Sante. Giunsero tre colonne mobili da Pesaro, Fano e Senigallia e scongiurare la possibile insurrezione. Nel pomeriggio del 2 aprile, dopo esser passata per Ginestreto, S. Angelo e Monteciccardo, e avervi ripristinato le insegne repubblicane, la colonna pesarese giungeva presso il bosco del Convento e, attestatasi a Mombaroccio, prese a cannoneggiare la selva (ma i proiettili colpirono, per altro senza danno, la colonna fanese appena giunta che si trovava dall'altra parte del colle). Gli insorgenti si dispersero senza combattere; fu saccheggiata e data alle fiamme la casa di Sante Oliva[33].

Questo l'unico esempio di insorgenza contro la Repubblica Romana. All'arrivo degli Austriaci in qualche paese della provincia ci fu comunque l'abbattimento degli emblemi della Repubblica e degli alberi della libertà[34]: se i contadini non furono ostili al nuovo regime, questo non riuscì tuttavia ad ottenerne i consensi.

 

Arrivano gli Austriaci

Contro la Repubblica Romana, in risposta ai pressanti appelli del Pontefice, inviarono truppe la Spagna, la Francia, il Regno delle Due Sicilie, l'Austria. Gli Austriaci occuparono Bologna il 16 maggio e mossero velocemente verso Ancona: il 22 maggio entravano a Pesaro senza incontrare resistenza, mentre le truppe repubblicane si dirigevano verso la Capitale[35]. "La tattica degli Austriaci era di evitare battaglia, di premere più che annientare costringendo l'avversario a ripiegare sotto il peso della preponderanza nemica. Il loro spostamento verso Ancona avveniva con metodo, non con furia, ed era una marcia serrata che però lasciava mezza giornata di cammino tra i reparti imperiali e la retroguardia avversaria. Così le guardie nazionali, esclusi i reparti mobilizzati che si erano uniti all'esercito ripiegante, avevano il  tempo di sciogliersi e gli Austriaci occupavano terre e paesi senza impegnare combattimento"[36].

Nello stesso giorno fu occupata Fano[37] e, la mattina del 23, Senigallia[38]. Da questo momento, per più di un mese la provincia si trovò divisa con gli Austriaci sulla costa e i Repubblicani lunga la Flaminia[39]. L'inattività austriaca (motivata dal fatto che le truppe asburgiche erano impegnate  nell'assedio di Ancona) fece sì che, un mese dopo, i repubblicani cercassero di "liberare" la Provincia. Il 25 maggio un battaglione repubblicano rioccupò Urbania, S. Angelo in Vado e Urbino, rialzando gli stemmi della Repubblica; il 6 giugno fu la volta di Urbino, quindi, nei giorni successivi, del Montefeltro (dove rimase agli Austriaci solo il presidio di S. Leo, tenuto da carabinieri pontifici): l'occupazione si svolse senza manifestazioni di ostilità e senza entusiasmo da parte della popolazione[40].

Gli Austriaci comunque non potevano permettere i movimenti delle truppe repubblicane e pertanto, la sera del 12 giugno, erano con due battaglioni davanti ad Urbino, dove entrarono il giorno successivo, mentre le milizie repubblicane si ritiravano. L'avanzata continuò nei giorni successivi e, il 20 giugno, tutta la provincia era nelle loro mani: i repubblicani si diressero a Roma[41].

 

Il passaggio dei Garibaldini

Il 3 luglio i Francesi entravano a Roma; Garibaldi con le sue truppe era uscito dalla città la sera precedente con l'intenzione di raggiungere Venezia passando in mezzo alle truppe austriache (almeno 15.000 uomini) che controllavano Umbria, Toscana, Marche. I soldati al suo seguito, non considerati militari ma ribelli da Austriaci e Pontifici, venivano fucilati se cadevano in mano a costoro[42].

Nella notte tra 27 e 28 luglio i garibaldini, circa duemila uomini, attraversarono il passo di Bocca Trabaria, e, passando per Lamoli, Borgo Pace e Mercatello (ben accolti dai liberali locali), si fermarono a S. Angelo in Vado, dove pernottarono (28-29 luglio). Il giorno successivo ci furono alcuni scontri con gli Austriaci che tallonavano i Garibaldini, tra cui uno, piuttosto confuso, per le vie del paese[43]. La colonna, passata per Lunano, Sassocorvaro e Macerata Feltria, si diresse quindi a S. Marino, dove giunse nella notte tra 30 e 31 luglio[44].

 

L’ultima restaurazione

Tornate le autorità pontificie, furono subito destituite tutte le magistrature comunali repubblicane e le "commissioni municipali"; vennero sorvegliati dalla polizia gli avversari politici; furono stilati elenchi di persone da cui trarre le future magistrature; furono perseguitati i reati di sangue commessi sotto il passato regime. "Ma dispiacque che le procedure fossero segrete; le notizie raccolte per via confidenziale e di delazione; le accuse non pubbliche, senza possibilità di controbatterle"[45].

Quattro diversi giudici-commissari furono incaricati di indagare sui delitti politici commessi nel periodo rivoluzionario nella Legazione: il dottor Ricci, a Fano, "condusse confusamente le indagini e venne biasimato per l'indolenza anche da monsignor Milesi"[46]; Pietro Battelli, a Senigallia, inflisse più di venti condanne a morte (tutti gli "ammazzarelli" che non erano nel frattempo morti e anche l'incolpevole Girolamo Simoncelli, tenente colonnello della Guardia)[47]; a Mondavio non si trovò niente da perseguire[48]; a Pesaro furono inflitte ed eseguite sei condanne a morte[49].

Il controllo dell'ordine pubblico rimase in mano alle truppe austriache d’occupazione, che applicarono, dal 5 settembre 1849, la "legge stataria": consisteva in una procedura marziale sommaria, rapida e senza appello (venivano emesse solo sentenze di assoluzione o morte), nei confronti di coloro che erano incolpati di delitti contro la pubblica sicurezza (alto tradimento, sommosse, detenzione d'armi, resistenza alla forza pubblica, arruolamenti illeciti, grassazioni e furti violenti); altri reati politici venivano giudicati dai tribunali austriaci, quelli comuni dai pontifici[50].

 

Riforma dello Stato

Lo Stato della Chiesa era arretrato, e ciò era noto a tutti. Si cercò ancora una volta, inutilmente, di riformarne l'amministrazione locale nel 1850, all'indomani del ritorno del Pontefice, con un editto, 22 novembre 1850, del pro-segretario di Stato di Pio IX, cardinale Giacomo Antonelli ("Sul governo delle province ed amministrazione provinciale").

L'aspetto più importante consisteva nella creazione della Legazione della Marca (comprendente le sei delegazioni di Urbino e Pesaro, Ancona, Macerata, Camerino, Fermo, Ascoli), governata da un cardinal legato, a cui erano sottoposti i delegati delle province[51]. Altre norme riformavano l'amministrazione locale: i comuni erano divisi in classi, veniva riformata la magistratura, erano fornite nuove norme per la designazione dei magistrati[52].

 

Gli anni Cinquanta

Presìdi austriaci rimasero nella provincia fino al 1854, garantendo in modo efficace l'ordine pubblico[53]. Possiamo ricordare, negli anni Cinquanta l'organizzazione dell'ottavo (e ultimo) censimento generale, organizzato nel 1853[54], l'epidemia di colera del 1855[55], uno "sciopero generale" a Pesaro il 19 settembre 1856 per l'imposizione di una tassa sugli esercizi commerciali[56], il passaggio del Papa nei suoi Stati nel 1857 e la sosta a Pesaro e a Fano[57].

Nel 1856 sorse la Società Nazionale, che si diffuse ampiamente nelle Romagne e nelle Marche[58]. Particolarmente importanti i comitati di Pesaro e Fano e, in particolare quest'ultimo, riformati alla fine del 1857[59].

In un'adunanza tenuta a Fano, promossa dall'avv. Civilotti e dall'ing. De Poveda, parteciparono rappresentanti di vari centri della Delegazione: Fano, Cagli, Pesaro, Urbino, Fossombrone (indirettamente rappresentati anche i centri di Gubbio, Pergola e Senigallia)[60]. Si creò quindi un comitato provinciale (che prese il nome di Cesare Polacchi), con sede a Fano, a cui erano sottoposti comitati locali, sparsi nelle principali città della provincia (Fano, Fossombrone, Pesaro, Pergola)[61].

Nel 1858 ci furono diversi arresti (sedici incarcerati e nove indiziati) a Pesaro per associazione segreta e alcuni ferimenti avvenuti nei due anni precedenti: gli aderenti erano ferventi democratici appartenenti alle classi popolari cittadine (nel 1861 furono inflitte tredici condanne tra i cinque e i quindici anni)[62].

 

La prima insurrezione del giugno 1859

Il 18 gennaio 1859 era stato nominato  governatore pontificio monsignor Tancredi Bellà, "uomo risoluto ed energico", che subito sciolse l'amministrazione comunale di Pesaro, in cui molti esponenti avevano eccessiva simpatia per il movimento liberale[63].

I patrioti pesaresi nel frattempo, dopo aver riconosciuto il Comitato di Bologna come centro d'azione unico e supremo, cominciarono ad arruolare, già dal marzo di quell'anno, volontari per la futura insurrezione[64]. Avuto notizia della sollevazione di Bologna, il Comitato provinciale  diede ordine ai vari comitati cittadini di insorgere: ciò che avvenne in tutti i centri il 16 giugno 1859, ad eccezione di Pesaro, dove il Bellà si preparava alla resistenza. In tutti i centri furono elette amministrazioni provvisorie e venne organizzata una milizia cittadina[65].

La situazione non era però delle più rosee: a Perugia la rivolta fu domata nel sangue dalle truppe svizzere il 20 giugno 1859. Da Pesaro, dove erano concentrate le truppe papaline, il 23 giugno una colonna di 3.000 svizzeri marciava su Fano ed entrava senza incontrare resistenza in città: la milizia cittadina si era sciolta, i liberali erano fuggiti dalla città[66].

Nello stesso giorno si concludeva l'esperienza rivoluzionaria in altri centri della Legazione. Non così nella vicina Romagna, che rimasi in armi; il successivo 7 settembre fu poi annessa al Regno di Sardegna.

 

La liberazione della provincia

Mancava poco però alla fine del dominio temporale del Pontefice. Mentre Garibaldi guidava la Spedizione dei Mille, i Piemontesi avevano ottenuto l’assenso delle maggiori potenze europee (in particolar modo della Francia) all’invasione e all’annessione di Marche e Umbria. Pretesto per l'intervento piemontese nelle due regioni dell’Italia centrale (già stabilito alla fine di agosto 1860) doveva essere un moto insurrezionale che sarebbe dovuto scoppiare nella provincia tra l'8 e il 12 settembre 1860, grazie anche all'intervento dei "volontari del Montefeltro" (fuoriusciti della provincia inquadrati da ufficiali piemontesi dimessisi dall'esercito) che, dalla vicina Romagna, dovevano sconfinare nella Legazione e impegnare le truppe pontificie ivi presenti[67].

La prima città ad insorgere fu Pergola, che era in mano ai rivoltosi nella mattina dell'8 settembre 1860[68]. Nello stesso giorno fu liberata Urbino, dove ci furono accaniti scontri tra truppe papaline e volontari del Montefeltro (duecento uomini) che, nella notte, avevano varcato il confine della Delegazione. Dalla città feltresca i volontari mossero verso Fossombrone, che rimase però saldamente nelle mani dei pontifici[69].

I successi dei patrioti erano stati modesti, né le altre città della Legazione erano insorte: il generale Lamoriciére, comandante delle brigate pontificie, avrebbe potuto ristabilire senza troppi problemi l'ordine pubblico. Arrivò però, nella notte tra il 10 e l'11 settembre, l’ultimatum, volontariamente inaccettabile, da parte del comandante in capo piemontese, gen. Cialdini: era la guerra[70]. Le truppe sarde, varcato il confine all'alba dell'11, prima di mezzogiorno erano ad Urbino, da dove si dirigevano a Fossombrone (evacuata dalle truppe pontificie, che si diressero ad Ancona)[71].

Nel frattempo la colonna principale, che da Cattolica seguiva verso sud la costa, incontrava resistenza a Pesaro, dove il delegato apostolico Tancredi Bellà si era chiuso[72]. Dopo qualche scambio di artiglieria, i bersaglieri entravano in città alle tre del pomeriggio, mentre il Bellà si rifugiava a Rocca Costanza: si sarebbe poi arreso all'alba del giorno successivo[73]. Il 12 venne occupata anche Fano[74]. Il presidio pontificio acquartierato a S. Leo resistette invece per qualche giorno: alla sera del 24 settembre comunque anch'esso, dopo un assedio di 14 giorni e un giorno di cannoneggiamento, si arrendeva[75]. Nelle varie città della provincia il controllo passò a delle "Giunte di Governo" composte di patrioti[76].

"La sosta dell'esercito piemontese in Pesaro (resa necessaria dalla stanchezza  dei soldati che avevano faticosamente marciato e anche dal desiderio della cattura del Bellà) permise la ritirata dei pontifici del Kanzler da Fossombrone in Ancona, attraverso le colline del Vicariato di Mondavio e il territorio di Senigallia, ritirata compiuta quasi senza molestia da parte degli inseguitori se si eccettuano piccole scaramucce presso il villaggio di Cartoceto di Pergola"[77].

Lo scontro tra i due eserciti (quello piemontese, composto di 38.804 uomini, operava in due corpi d'armata, uno nelle Marche, l'altro nell'Umbria; del primo - 25.734 uomini - era a capo il generale Cialdini; quello pontificio era inferiore per uomini -27.335 - e per armamento), sarebbe poi avvenuto a Castelfidardo, il 18 settembre 1860[78].

 

Il commissario generale straordinario Valerio

Sei giorni prima della battaglia di Castelfidardo, il 12 settembre 1860, era stato già nominato commissario generale nelle Marche Lorenzo Valerio, industriale piemontese appartenente alla sinistra liberale[79].

Dopo aver organizzato nelle province e nei comuni governi regolari[80], estese nei quattro mesi successivi alla regione le leggi piemontesi, emanò 840 decreti sui più diversi aspetti della vita civile, sociale ed economica, permettendo l'integrazione della regione nel Regno d'Italia[81]. Le principali riguardavano:

1) l'ordinamento elettivo di Comuni e delle province secondo la legge sarda (24 settembre 1860)[82];

2) l'abolizione delle interdizioni per i non cattolici ai diritti civili e politici (25 settembre 1860);

3) la costituzione della Guardia Nazionale (25 settembre 1860);

4) l'abolizione del tribunale della Sacra Inquisizione, del S. Uffizio, del privilegio del Foro Ecclesiastico e del diritto d'asilo (27 settembre 1860);

5) l'avocazione dal clero al nuovo governo della Pubblica Istruzione (6 ottobre 1860);

6) il divieto di costituzione di primogenitura e di fidecommissi (8 ottobre 1860);

7) l’introduzione del sistema metrico decimale (24 ottobre 1860);

8) l’assunzione dei codici sardi civile, penale, commerciale (27 ottobre 1860);

9) la legge sulle mani morte (5 novembre 1860);

10) il reclutamento militare con leva obbligatorio (6 novembre 1860);

11) l’inumazione fuori della Chiesa e l’obbligo del cimitero (7 novembre 1860);

12) la proclamazione dello Statuto di Carlo Alberto nelle Marche (10 novembre 1860);

13) la legge elettorale sarda (12 novembre 1860)[83].

Il plebiscito, stabilito per ratificare con un voto popolare, a suffragio universale (votarono tutti gli uomini che avevano compiuto i ventun anni), l'annessione della Regione al regno sabaudo, convocato il 21 ottobre 1860 dal commissario generale Valerio, si svolse il 4 e 5 novembre 1860[84]. Il risultato della votazione complessiva si seppe il 9 novembre per tutte le Marche: avevano votato 135.019 elettori: 133.783 i favorevoli, 1.212 i contrari (ma molti avevano boicottato il plebiscito), 260 i voti nulli[85].

Durante il governo del regio commissario Valerio, fu staccata dal territorio della Provincia la città di Gubbio, situata al di là dello spartiacque appenninico, e aggregata a quella di Perugia[86].

Ulteriore riorganizzazione del territorio nel dicembre: furono soppresse le delegazioni (province) di Fermo e Camerino (aggregate rispettivamente ad Ascoli e Macerata), così che la regione ebbe solo quattro province; inoltre Senigallia e alcuni piccoli comuni del suo mandamento furono incorporati alla provincia di Ancona[87].

Fu di fatto abolito il 24 settembre 1860, con l'estensione della legge sarda sui comuni e sulle province del 23 ottobre 1859), l'istituto dell'appodiamento[88].

Il commissario Valerio cedette i suoi poteri il 19 gennaio 1861[89]. La sua attività nella regione fu da lui stesso documentata nella relazione al ministero dell'Interno, pubblicata nello stesso anno dal Politecnico[90].



[1]R.P. UGUCCIONI, L'anno del proverbio, Pesaro 1987, pp. 42-44. I conti Alberico e Adolfo Spada di Pesaro ospitarono anche il moderato piemontese Cesare d'Azeglio nel 1845 e nel 1847: E. LIBURDI, Quarantotto in Val Metauro, in "Atti e Memorie di Storia patria per le Marche", serie VII, vol. III (1948), pp. 109-136, a pag. 110. Sulla permanenza a Pesaro del D'Azeglio nel 1847 vds. ERCOLE ANDREOZZI, Libro memoriale dall'anno 1847, in "Pesaro città e contà", 10 (1999), pp. 75-98, a pag. 75.

[2]F. CORRIDORE, La popolazione dello Stato Romano, 1656-1901, Roma 1906, p. 36: "Nel 1847 lo stato finanziario era di nove milioni e mezzo di rendite lorde, dieci milioni e mezzo di spese e 37 milioni di debiti".

[3]Liburdi, Quarantotto in Val Metauro, p. 110.

[4]G. SANTINI, Fano ottocentesca 1846-48, Ancona 1968, p. 47: "Una circolare a stampa del 25 aprile 1847 annunciava essere stata inviata da Roma la proposta di una terna provinciale di notabilità per la costituzione della "Consulta governativa", che avrebbe dovuto organizzare una più saggia amministrazione pubblica. La terna risultò costituita dal conte Carlo Ferri di Fano, dal cavaliere Luigi Mastai di Senigallia e dal conte Girolamo Beni di Gubbio".

[5]Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 47 e 50; Santini, Fano ottocentesca, pp. 49-50 ("Il servizio nella Civica era obbligatorio e personale,  mitigato da provvedimenti che esimevano ed escludevano talune classi e categorie dall'appartenervi. Esclusi quanti esercitavano 'mestieri sordidi ed abbietti'... Interdetti i maculati penalmente, i fisicamente deficienti; dispensati i sacerdoti, consoli, giudici, quelli di condizione servile, portieri, portalettere, braccianti, coloni, pastori, agenti di polizia, ecc. L'età variava dai 21 ai 60 anni e l'organizzazione era per Compagnia e per Battaglione, con elezione nell'ambito della Compagnia per quanto concerneva i subalterni, i sottufficiali e caporali").

[6]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 52. Gli ausiliari della riserva, detti volgarmente “centurioni”, erano milizie territoriali di civili inquadrate in una struttura  militare, allertati in caso di bisogno: erano reclutati tra coloro che manifestavano devozione alla religione e al papato e, nella nostra legazione, erano strutturati in tre battaglioni: "l'11° battaglione era impostato su cinque compagnie dislocate a S. Agata, Pennabilli, Monte Maggio, Macerata Feltria ed Auditore; il 2° era sparso tra Pesaro, Fano e Senigallia, anch'esso su cinque compagnie per un totale di quattrocento uomini; il comandante del 1° battaglione e una compagnia stavano a Cagli, il resto dell'unità era disperso tra Urbino, Urbania, Pergola e Gubbio" (ivi, p. 37).

[7]ISIDORO ROSSI, Rivelo, pp. 111-116; Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 44-45.

[8]Isidoro Rossi, Rivelo, pp. 121-123.

[9]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 69.

[10]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 70.

[11]Isidoro Rossi, Rivelo, pp. 116-121; Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 66-68. Vds. anche DIEGO PASSERI MODI, Di coloro che ressero questa provincia, in "Pesaro città e contà", 10 (1999), pp. 19-47, alle pagg. 42-43.

[12]Santini, Fano ottocentesca, p. 63; Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 71.

[13]Santini, Fano ottocentesca, p. 63; Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 73.

[14]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 73.

[15]Fu assassinato Vincenzo Arnaldi, ufficiale di Finanza a Pesaro (Isidoro Rossi, Rivelo, pp. 134-136; Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 82).

[16]Isidoro Rossi, Rivelo, pp. 141-143; Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 84.

[17]Votavano comunque  in ogni caso gonfalonieri, anziani comunali e sindaci degli appodiati. Inoltre "se qualche collegio fosse risultato composto da meno di cento elettori, bisognava raggiungere quel numero iscrivendovi persone con censo inferiore a quello previsto per legge" (Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 108.

[18]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 108-110.

[19]Uguccioni, L'anno del proverbio, p.108; Santini, Fano ottocentesca, p. 68. In realtà i patrioti che si arruolavano sapevano benissimo che sarebbero andati a combattere contro gli Austriaci.

[20]Santini, Fano ottocentesca, p. 69.

[21]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 107 ("era un anziano patriota versato alle Lettere il quale, sotto precedenti pontificati, aveva sperimentato esilio e carcere").

[22]Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 138-142.

[23]ERCOLE ANDREOZZI, Libro memoriale dall'anno 1847, in "Pesaro città e contà", 10 (1999), pp. 75-98, a pag. 82. Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 119-120. Il Lombardi sarebbe stato assassinato da due sottufficiali del reggimento Bartolucci il 22 dicembre: mandanti i capi dell'Ausonia. Anche nei giorni successivi feriti e morti per lo scontro tra gli adepti della Lega Lombarda e dell'Ausonia, fino agli arresti del 10 gennaio 1849 (ivi, pp. 161 e 168-170). Nel Rivelo di Isidoro Rossi vengono descritti minuziosamente sia l'omicidio del Lombardi (pp. 123-129) sia i fatti di sangue successivi (omicidio di Terenzio Seraghiti, ferimento di Pasquale Mazzocchi, avvenuti il 22 dicembre 1848: pp. 130-131)

[24]Andreozzi, Libro memoriale, pp. 151-152, Isidoro Rossi, Rivelo, pp. 136-140.

[25]Andreozzi, Libro memoriale, p. 81. Vds. anche Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 154-159.

[26]Endreozzi, Libro memoriale, p. 81; Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 151-152.

[27]Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 178-181; 193-195; 211; 215-216.

[28]Santini, Fano ottocentesca, pp. 130 e 135.

[29]Si riporta il passo del conservatore pesarese Diego Passeri Modi, Di coloro che ressero questa provincia, pp. 45-46: Si apersero i comizi per eleggere i deputati alla Costituente. Soldati, macellai, pizzicagnoli, pescivendoli erano i degli elettori della rappresentanza. Allora si scupria ladro il colonnello Bartolucci, il quale dicea sommare il di lui reggimento a 1.200 uomini... Non bastò l'artificio di fare che ogni soldato andasse e tornasse a fare altra scheda. Tutti si avvidero che il colonnello, il quale prendea soldo per 1.200, 700 paghe giornaliere truffava. Un avviso dell'assemblea avvertiva gl'impiegati del governo a votare, se volessero conservare gl'impieghi. Agli illetterati si davano belle e fatte le schede, e tra coloro che le distribuivano era cospicuo il conte Adolfo Spada, conservatore delle ipoteche, avventato ignorante, per opera del quale la Guardia civica con imprudentissima concessione venuta a distruggere l'ordine fu empita di sicari, di ladri, di malvagi d'ogni genere... Furono eletti deputati alla ribelle costituente il conte Terenzio Mamiani, che sedea ministro dell'Interno pel credulo Pio, e 'l conte Alberico Spada.

[30]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 185.

[31]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 174.

[32]Uguccioni, L'anno del proverbio, pp 205-210.

[33]Andreozzi, Libro memoriale, pp. 83-84; Isidoro Rossi, Rivelo, pp. 143-147 (Saccheggio ed incendio nella casa Oliva di Mombaroccio) e pp. 147- 148 (Estorsione violenta di denaro ed altro a pregiudizio del parroco di Montegiano); Uguccioni, L'anno del proverbio, pp 206-207.

[34]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 237.

[35]Andreozzi, Libro memoriale, p. 84; Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 234-236.

[36]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 235.

[37]Andreozzi, Libro memoriale, p. 93 (l'assassino, il repubblicano Giuseppe Giovannini di Faenza, fu giustiziato  il 29 ottobre 1849 a Pesaro).

[38]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 236.

[39]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 238.

[40]Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 241-245.

[41]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 248.

[42]P. PISTELLI, Garibaldi nelle Marche durante la Repubblica Romana 1948-49, Rimini 1990, p. 66. Uscirono da Roma 4.000 uomini, già ridotti a 2.500 a Terni, dove si unisce a costoro la "colonna Forbes" (circa 600 uomini), che aveva operato nella nostra provincia. A S. Marino giungono non più di 1.500 uomini.

[43]Pistelli, Garibaldi nelle Marche, pp. 72-74; Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 258.

[44]Pistelli, Garibaldi nelle Marche, pp. 74-83; Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 258.

[45]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 266.

[46]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 281.

[47]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 284.

[48]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 282.

[49]Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 286.

[50]Uguccioni, L'anno del proverbio, pp. 268-270. "La notificazione del 5 settembre è un caso giuridico singolare, che sancì la subordinazione delle autorità pontificie ai comandi imperiali di piazza, senza neppure le apparenze di un pubblico trattato internazionale".

[51]D. CECCHI, Dagli Stati signorili all'età postunitaria: le giurisdizioni amministrative in età moderna, in S. Anselmi (a cura di), "Economia e Società: le Marche tra XV e XX secolo", Bologna 1978, a pag. 87. Uguccioni, L'anno del proverbio, p. 275: "Con ciò finì per sempre la pretesa della provincia metaurense di non essere né Marche né Romagna, bensì parte a sé, erede del ducato di Urbino".

[52]Cecchi, Dagli Stati signorili, p. 87.

[53]R.P. UGUCCIONI, Pugnali e bombe all'Orsini - Pesaro 1855-1865, in "Atti e Memorie di Storia patria per le Marche", 88 (1983), pp. 351-393, alle pagg. 351-352.

[54]Corridore, La popolazione, p. 33.

[55]Andreozzi, Libro memoriale, pp. 92-93; A. CAPALOZZA, Sul colera del 1855 a Fano, in "Fano", V (1971), pp. 69-83; Nicoletti, Pergola, pp. 344-345.

[56]Andreozzi, Libro memoriale, p. 94; Uguccioni, Pugnali e bombe, pp. 353-355.

[57]Il 29 maggio era a Fano. La sera dello stesso giorno partì per Pesaro.

[58]G. MAIOLI, Il decennio di preparazione e la Società Nazionale nelle Marche, in AAVV, "L'apporto delle Marche al Risorgimento Nazionale", Ancona 1961, pp. 281-334, a pag. 286.

[59]Maioli, Il decennio, p. 287.

[60]A. DEL RIO GHIANDONI, La liberazione della Provincia di Pesaro-Urbino nel 1860, Pesaro 1960 (estratto da Studia Oliveriana, vol. II, 1954), p. 10.

[61]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 10.

[62]Uguccioni, Pugnali e bombe, pp. 358-359.

[63]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 9.

[64]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 11.

[65]Ordine circolare per l'immediata insurrezione, dato da RimIni ai Comitati delle Marche il 13 giugno 1859, in AAVV, "L'insurrezione di Pergola e il Risorgimento  nelle Marche", Pesaro 1962, doc. n. II p. 121; Ordine circolare del Comitato provinciale di Fano ai Comitati della provincia per l'insurrezione, del 16 giugno 1859, in AAVV, "L'insurrezione di Pergola e il Risorgimento nelle Marche", n. III, p. 122.

Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 11-12.

[66]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 12.

[67]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 14; M. MONSAGRATI - R. UGUCCIONI, Vera storia della banda Grossi, Pesaro 1983, p. 16.

[68]Nicoletti, Pergola, p. 378 ss.; Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 15.

[69]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 15.

[70]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 15; Monsagrati-Uguccioni, Vera storia, p. 17 (L'ultimatum prevedeva l'intervento piemontese se i pontifici avessero represso i moti insurrezionali, avessero marciato sulle città insorte o, nel caso le avessero occupate, non se ne fossero immediatamente allontanati).

[71]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 15-16.

[72]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 17-18.

[73]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 18-19.

[74]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 20.

[75]P. MACRELLI, L'assedio del forte di S. Leo da parte dei volontari del Montefeltro, in AAVV, "L'apporto delle Marche al Risorgimento nazionale", Ancona 1961, pp. 430-434.

[76]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 22-23.

[77]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 19.

[78]R.E. RIGHI, Aspetti militari del Risorgimento marchigiano, in AAVV, "L'apporto delle Marche al Risorgimento nazionale", Ancona 1961, pp. 357-382, alle pagg. 367-381.

[79]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 22 e 33 ss; Cecchi, Dagli Stati signorili, p. 87.

[80]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 23-26. Fu commissario provinciale di Urbino e Pesaro il marchese Luigi Tanari; i vice-commissari furono istituiti a Senigallia e a Gubbio; a Urbino fu mandato un "pro-commissario"; Fano non fu scelta come sede di vice-commissario, malgrado le proteste dei fanesi.

[81]Cecchi, Dagli Stati signorili, p. 87.

[82]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 24. La legge sarda era quella del 23 ottobre 1859 ("legge Rattazzi"): i consigli comunali erano eletti a suffragio diretto da un elettorato discriminato per censo; il sindaco era di nomina regia. Fu tacitamente abolita l'istituzione dell'appodiato (ne esistevano 90 nella nostra provincia, 14 in quella di Ancona, 13 a Macerata, 8 ad Ascoli, 7 a Camerino, 5 a Fermo).

[83]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 24-25.

[84]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 25 e 29; Cecchi, Dagli Stati signorili, p. 87

[85]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 28.

[86]Decreto n. 582 del 20 dicembre 1860. Vds anche Del Rio Ghiandoni, La liberazione, p. 25; Cecchi, Dagli Stati signorili, p. 88.

[87]R.D. 22 dicembre 1860. Vds. Cecchi, Dagli Stati signorili, p. 89.

[88]Cecchi, Dagli Stati signorili, p. 89.

[89]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 29-30; Es 2 p. 89.

[90]Del Rio Ghiandoni, La liberazione, pp. 34-37. La Relazione al MInistero dell'Interno del R. Commissario Generale Straordinario Lorenzo Valerio è pubblicata anche da AAVV, L'insurrezione di Pergola e il Risorgimento nelle Marche, Pesaro 1962, doc. n. XVI, pp. 135-175.