Capitolo XXVII

 

Il Dopoguerra e l'avvento del Fascismo

 

L'avanzata socialista

Al termine del conflitto mondiale la crisi economica è pesante; la disoccupazione e l’aumento dei prezzi spingono a dure lotte sindacali, a continui scioperi, a decise lotte politico-sociali. Nelle campagne, dove particolarmente dure sono le condizioni di vita dei mezzadri, riprende con forza e incisività il movimento contadino, che invoca una profonda riforma dei patti agrari”[1].

Finita la guerra, continuò nella nostra provincia l’ascesa del partito socialista che, in espansione già prima del conflitto, ebbe, con i problemi e le delusioni del dopoguerra, un vero e proprio boom, passando dalle 32 sezioni (846 iscritti) del 1914 alle 36 sezioni (904 iscritti) del 1919 e alle 56 sezioni (2084 iscritti) del 1920[2]. In quest’ultimo anno la Camera del lavoro conta 6.000 iscritti, il consorzio delle cooperative 61 organismi per un totale di 8.942 soci [3].

All'interno del partito era schiacciante la consistenza della corrente intransigente "massimalista" (che rifiutava ogni forma di collaborazione con i partiti democratici ex interventisti) rispetto a quella moderata "riformista"[4].

 

La nascita del Partito Popolare

Il Partito Popolare nacque nel gennaio 1919. Nella provincia si fece portavoce delle idee del nuovo partito il settimanale "L'idea cattolica e sociale" e subito trovò consensi tra gli aderenti alle associazioni cattoliche (Fuci e Unione giovanile), alle casse rurali, alle cooperative cattoliche, ai sindacati cristiani; l'appoggio capillare dei parroci ne favorì poi la diffusione soprattutto nelle campagne[5]. Nei primi giorni di agosto 1919 si tenne a Pesaro il primo congresso provinciale del Partito Popolare con la partecipazione di circa duecento delegati di vari centri e associazioni della provincia e dell'on. Giovanni Bettini, deputato cattolico di Senigallia[6]. Fu decisa la partecipazione alle elezioni politiche del novembre, soprattutto per saggiare la consistenza numerica del nuovo partito[7].

 

 

Irredentisti e nazionalisti

La “questione adriatica”, esplosa anche nella nostra provincia all'indomani della guerra, fu la causa di un inasprimento della tensione sociali, trovandosi su fronti opposti coloro che erano andati volontariamente in guerra o che la guerra l'avevano voluta (nazionalisti, repubblicani e buona parte dei liberali) e che sostenevano le ragioni italiane su Fiume e sulla Dalmazia e coloro (i socialisti) che, avendo osteggiato e subìto il conflitto appena passato, vedevano nella questione una miccia che avrebbe potuto far precipitare il Paese in una nuova guerra[8]. Ci furono anche nella nostra provincia fin dai primi mesi dell'anno i comizi  e le manifestazioni a favore dei "fratelli dalmati e fiumani": a Pesaro in uno di questi, il 25 aprile 1919, fu ferito da un soldato con un coltello uno studente; a Fossombrone, nel settembre successivo, furono registrati gravi incidenti[9]. Dal settembre, con l’occupazione da parte di D’Annunzio e dei suoi Legionari, della città di Fiume, la situazione si rese incandescente: vennero aperte sottoscrizioni a favore della Reggenza del Carnaro[10] e diversi pesaresi e fanesi partirono come volontari per quella città[11].

 

Le elezioni politiche del 1919

Nelle elezioni politiche del  16 novembre 1919 (XXV legislatura), le prime svolte a suffragio universale maschile e con il sistema proporzionale (elementi che oggettivamente favorivano i partiti di massa e segnavano la fine di quelli d'origine risorgimentale), ci fu un'indiscussa vittoria della lista socialista nella Provincia, allora riunita con quella di Ancona nel collegio di Ancona-Pesaro: i socialisti ebbero nel collegio 35.209 voti, i popolari 19.248, i liberali 14.153, i repubblicani 10.748[12]; nel collegio vennero eletti quattro deputati socialisti (Bocconi, Filippini, Santini, Radi), due popolari (Bertini, Cappa), due liberali (Miliani, Cancellieri), un repubblicano (De Andreis)[13].

Nella provincia di Pesaro e Urbino la vittoria socialista fu ancor più netta: i voti del PSI (19.585, pari al 53,6%) erano  più del triplo di quelli liberali (5.924, pari al 16,2%); i popolari ottennero 8.823 voti (24,2%), i repubblicani 2.191 (6%)[14].

Tra i loro avversari solo i popolari poterono ritenersi soddisfatti dell'esito della votazione, a pochi mesi soltanto dalla fondazione del loro partito. Essi avevano dovuto inoltre far fronte, durante la campagna elettorale, agli attacchi dei socialisti, preoccupati per i consensi che il nuovo partito avrebbe potuto raccogliere, dato che si presentavano come l'unica forza di massa capace di contrastare la penetrazione socialista nelle classi popolari[15].

 

Gli scontri del giugno 1920

Particolarmente tesa la situazione nell'estate 1920. Il 26 giugno i bersaglieri dell'XI reggimento, di passaggio in Ancona da dove si sarebbero dovuti imbarcare per l'Albania, si ammutinarono e a loro si unirono forze popolari: fino al 28 giugno il capoluogo marchigiano vide dilagare nelle sue vie l'insurrezione, che fu repressa con l'intervento di numerose guardie regie[16].

Anche a Pesaro ci furono gravi disordini: i dimostranti riuscirono ad impossessarsi di armi presenti nella polveriera Angherà e cercarono di impedire la partenza di un treno con materiale bellico diretto in Albania; infine, dopo essere stati accolti dalla mitragliatrice (che lasciò sul selciato un morto e un ferito) davanti alla caserma, saccheggiarono e diedero alle fiamme l'abitazione del colonnello Trapani. Nei giorni successivi si procedette all'arresto di quindici persone[17]. Negli stessi giorni si registravano agitazioni e scontri armati nella vicina Fano[18].

 

Le elezioni amministrative del 1920

"Nel corso del 1920, mentre tra i giovani va sempre più affermandosi l'orientamento comunista, le discussioni all'interno del Partito socialista si incentrano sulla conquista del potere locale, in vista delle elezioni amministrative che si sarebbero dovute tenere nell'autunno. Il dibattito, serrato ed a volte aspro, oppone la corrente rivoluzionaria "astensionista" a quella maggioritaria "elezionista". Da una parte, nella prospettiva rivoluzionaria, si considera inutile la conquista dei comuni, dall'altra assolutamente no. Infine si decide per la partecipazione alle elezioni e tutti gli sforzi del partito sono incanalati per la conquista dei comuni e del consiglio provinciale, prima tappa verso la conquista rivoluzionaria dello stato"[19].

I risultati socialisti nelle elezioni amministrative dell'ottobre 1920 furono  trionfali: il PSI conquistò nella provincia 47 comuni su 74 (compresi quelli più importanti)[20], 13 mandamenti provinciali su 14, 36 consiglieri provinciali su 40: la nostra provincia diventava la più "rossa" d'Italia[21].

 

Nascita e sviluppo del movimento fascista

Alla fine del 1919, nella nostra provincia, i seguaci del fascismo erano pochissimi e non molti di più i simpatizzanti; per giunta erano isolati, in un ambiente fortemente ostile[22].

Intorno alla metà del 1920 il movimento incominciò però a mettere radici, soprattutto a Fano. Il promotore del fascio in questa città fu lo studente Mario Panicali, che riuscì a mettere insieme un gruppo di una trentina di persone, in gran parte studenti liceali e della scuola magistrale, di estrazione piccolo e medio-borghese. "Loro punti di incontro sono la casa dei marchesi Guido e Celio Calcagnini d'Este, che alla vigilia della guerra erano stati tra i promotori del gruppo nazionalista fanese, e il salotto della contessa Letizia Bracci, che raccoglieva le sovvenzioni e gli arruolamenti per Fiume"[23].

Panicali allacciò rapporti anche con un gruppo di simpatizzanti fascisti di Pesaro e con il fascio di Senigallia. Ma la partenza nell'agosto di vari elementi per Fiume ridusse l'attività del fascio, poco dopo sciolto per difficoltà finanziarie[24].

Alla fine del giugno di quello stesso anno fu costituito il secondo fascio della nostra provincia, a Cagli, dal sottotenente Angelo Polenta: anch’esso ebbe vita brevissima[25].

La vittoria socialista nelle elezioni amministrative dell'ottobre 1920 allarmò però i tradizionali ceti egemoni, estromessi dal potere locale e spaventati dalla volontà dei nuovi amministratori di usare lo strumento fiscale (ad esempio la tassa focatico, sul reddito del nucleo familiare) per colpire i redditi più elevati[26]. Costoro trovarono un alleato nel nuovo prefetto, il barone Felice Oreglia di Santo Stefano, che fece di tutto per bloccare il funzionamento delle nuove amministrazioni comunali[27]. Inoltre si prepararono ad utilizzare, come già avveniva in gran parte d'Italia, la carta fascista: è questo il periodo, in Romagna, delle spedizioni punitive.

Alla fine di marzo 1921 venne costituito di fatto il fascio di Pesaro: gli aderenti erano una trentina e la sede provvisoria venne collocata in una stanza concessa dall'Associazione Agraria[28]. In aprile si ricostituì il fascio di Fano[29] e venne fondato quello di Urbino[30]; nel maggio quello di Fossombrone[31]; nella seconda metà del 1921, quelli di Mondavio, Cagli (ricostituito) e Pergola (con una sottosezione a S. Lorenzo in Campo)[32]; nel febbraio 1922 quello di Urbania[33]. Alla fine del 1921 il fascio di Pesaro poteva pubblicare anche un suo giornale (“l'Ora”)[34].

Complessivamente, fino al 30 aprile 1922, sono 167 gli iscritti in tutta la provincia: studenti, impiegati, commercianti, liberi professionisti, piccoli e medi possidenti ed industriali, alcuni nobili. Il fenomeno è prettamente urbano: nelle campagne è pressoché sconosciuto[35].

"Lo squadrismo pesarese per tutto il 1921 è pertanto ben poca cosa: qualche tentativo di aggressione qua e là ma niente altro; gli elementi locali per ora svolgono più che altro un'opera di provocazione e guida per le spedizioni punitive delle squadre delle province limitrofe"[36]. Le spedizioni, effettuate senza che intervengano le forze dell'ordine, sono infatti gestite, con la collaborazione dei fascisti locali, da camicie nere romagnole (17 maggio 1921: viene assalita a Fano la sede dell'Unione Marinai)[37], anconetane o umbre (ad Apecchio ad aprile fascisti di Città di Castello rubano un ritratto di Lenin e altri oggetti dalla locale sezione socialista; a giugno danno fuoco ad oggetti e masserizie saccheggiate dal circolo socialista)[38]: sono azioni deprecabili ma isolate, di carattere prettamente dimostrativo, tese a incutere timore negli avversari e a provare il coraggio e la spavalderia degli squadristi[39].

Di contro alla pochezza organizzativa e quantitativa, i fascisti locali potevano però contare sulla tolleranza del prefetto e sull'appoggio, più o meno palese, delle forze dell'ordine[40].

 

Le elezioni del 15 maggio 1921 (XXVI legislatura)

Nelle elezioni politiche anticipate, volute dal primo ministro Giovanni Giolitti, tenute il 15 maggio 1921, i socialisti  subirono un calo consistente dei consensi passando, nella provincia,  dal 53,6% al 24,9% (calo non compensato dalla percentuale raggiunta dal PCI: il 12%)[41].

La disfatta fu dovuta principalmente alla crisi delle amministrazioni socialiste della provincia. A meno di un anno dagli esaltanti risultati delle elezioni amministrative, i comuni socialisti versavano infatti in una crisi operativa difficilmente risolvibile:  la politica finanziaria da loro promossa era stata portata avanti in modo contraddittorio scontentando tutti (compresa gran parte dei loro elettori), il prefetto  promuoveva continue inchieste e adottava il metodo dell'ostruzionismo burocratico, i proprietari colpiti dalle nuove tasse presentavano decine di ricorsi contro i provvedimenti delle amministrazioni comunali per paralizzarne l'operato e farle cadere[42].

Nelle stesse elezioni non risultava soddisfacente il risultato delle forze conservatrici (il Blocco Nazionale ebbe il 25,6% dei voti, percentuale superiore a quella ottenuta dai socialisti ma inferiore a quella registrata dalla lista liberale nella precedente votazione); vincitore della tornata elettorale nella provincia era il Partito Popolare, con il 28,5% dei suffragi (24,2 nelle precedenti elezioni),  raccolti in gran parte fra i mezzadri e i piccoli proprietari coltivatori delusi dalla politica del  PSI[43].  Percentuali inferiori ottennero i Repubblicani (5,5%), i Radicali (2%) e un candidato liberale dissidente, l'industriale fabrianese Giambattista Miliani (1,6%)[44].

Nella regione Marche (circoscrizione unica, mentre nelle consultazioni precedenti erano stati creati i due collegi di Pesaro-Ancona e Macerata-Ascoli) furono eletti  pertanto cinque deputati del Blocco Nazionale (tra cui il fascista Gai e il liberale fanese Mariotti), cinque popolari, quattro socialisti, un comunista, un repubblicano e il liberaldemocratico Miliani[45].

Nel mese di dicembre, il lungo scontro che si protraeva da più mesi e che vedeva da una parte la giunta socialista di Fano, dall'altra liberali, cattolici e il prefetto, decisi a bloccarne l'azione, si concluse con lo scioglimento della giunta fanese: le forze antisocialiste ottennero la seconda importante vittoria[46].

 

Scontro aperto

Nei mesi autunnali si fece più teso, punteggiato da azioni fasciste, coordinate a livello provinciale da Raffaello Riccardi, il "ras" della provincia, un ventidueene ex ufficiale  che organizzò in quel periodo a Pesaro, Fano e Urbino le prime squadre di combattimento[47], che presero di mira uomini e sedi dei partiti socialista e comunista:  a settembre fascisti pesaresi si resero responsabili di disordini a Senigallia; a ottobre di un pestaggio in città[48]; nello stesso mese operai comunisti ad Urbino attaccarono alcuni fascisti[49].

Più gravi i fatti di Cagli alla fine di novembre 1921: nella notte tra il 28 e il 29, in risposta all'aggressione di un fascista, venne organizzata, da parte di fasci di Pesaro, Fano, Urbino, Gubbio, Città di Castello e altre località, una vera e propria spedizione punitiva, fermata, dopo alcune ore di presa di possesso della città, dall'intervento del prefetto e da un accordo fra i fascisti e i capi comunisti e socialisti del luogo[50].

Non sempre favorevoli agli squadristi gli scontri con i loro avversari politici: lo stesso Riccardi fu, all'inizio di gennaio 1922, accolto da fischi a Fossombrone e, dopo essere venuto alle mani con un tal Edmeo Bonci, dovette fuggire dalla città[51].

All'inizio di febbraio vennero arrestati cinque comunisti e quattro fascisti (tra cui lo stesso Riccardi, rimesso però in libertà dopo pochi giorni di soggiorno nel carcere di Fano) per uno scontro a fuoco (ad opera dei primi) ed un pestaggio (effettuato dai secondi) avvenuti a Cuccurano[52].

L'episodio più grave avvenne ancora a Cagli il 28 febbraio 1922, quando, nata una zuffa tra fascisti e socialisti, Riccardi e i suoi spararono sugli avversari e poi si diedero alla fuga: la giornata si chiudeva con dodici feriti, di cui quattro fascisti. La condanna dell'azione fu generale e Riccardi e altri cinque fascisti passarono, in attesa del processo,  alcuni mesi in prigione[53].

 

Il blocco antisocialista oltre il Fascismo

La crisi del Fascismo  non significava crisi del blocco conservatore che si opponeva alle forze socialcomuniste della Provincia. Le forze fasciste "autoctone" avevano avuto un ruolo effettivamente di secondo piano nella vita politica e amministrativa della nostra provincia nel Dopoguerra ed erano passate attraverso numerose crisi.

Del resto anche l'analisi dei contributi dei privati per il partito fascista evidenzia lo scarso radicamento del movimento della  Provincia: nei primi sei mesi del 1922  incassò solo 4.600 lire, cifra nettamente inferiore a quella delle altre province marchigiane (13.450 lire raccolte ad Ancona; 43.025 ad Ascoli) e una delle più basse a livello nazionale (inferiori solo quelle di Como e di Grosseto)[54].

Tuttavia, come detto, la crisi non interessò le forze conservatrici non fasciste della provincia che anzi, nel 1922, riescono ad ottenere diversi successi

"Nel 1922, nella grave crisi dello stato liberale, che produce anche rilevanti fenomeni di scollamento fra il centro e le periferie, viene aumentando il potere discrezionale del prefetto. Il barone Oreglia è ormai il principale arbitro della situazione: seleziona secondo propri criteri di forma, convenienza e opportunità le notizie da trasmettere al ministero e al governo, parteggia sempre più esplicitamente per le "forze nazionali" ed appare ancor più determinato a dare aperta battaglia alle "giunte rosse". Il consiglio comunale socialista di Fratterosa viene alla fine sciolto e la medesima sorte tocca a quello di Colbordolo, mentre quello comunista di Mondolfo, messo nella pratica impossibilità di operare, rassegna "spontaneamente" le dimissioni"[55].

Emblematico il caso della giunta socialista di Pesaro, paralizzata per diversi mesi da un duro scontro che vedeva fronteggiarsi forze conservatrici e prefetto da una parte e amministrazione dall'altra: alla fine del febbraio 1922 il prefetto sollecitava un'ispezione ministeriale per irregolarità amministrative; la relazione, resa pubblica a maggio, presentava una serie di addebiti (e "altrettanti rilievi al limite della cavillosità più ricercata"), per i quali presentarono richiesta di scioglimento dell'amministrazione agrari, liberaldemocratici, fascisti, nazionalisti e popolari, nonché il prefetto; il decreto reale di scioglimento dell'amministrazione porta la data del 27 luglio 1922[56].

 

La presa di Pergola

Il fascismo pesarese uscirà dalla grave crisi in cui era precipitato dopo i fatti di Cagli solo nell'estate 1922, grazie all'intervento delle squadre romagnole ed umbre.

A Pergola, grosso centro minerario dell'entroterra pesarese, la situazione era particolarmente tesa e, fin dalla prima metà del 1921, si erano registrati episodici scontri tra socialisti e fascisti, particolarmente gravi alla fine del maggio 1922. Ma la goccia che fece traboccare il vaso e che spinse le squadre d'azione all’intervento in forza nella città fu l'uccisione di un carabiniere, il 25 giugno 1922, ad opera di militanti socialisti[57].

Nella notte successiva fascisti anconetani ed umbri, guidati dall'on. Silvio Gai, occuparono la città con la tolleranza delle forze dell'ordine, mentre comunisti, socialisti e anarchici, compreso il sindaco, si davano alla fuga. Il prefetto colse subito l'occasione per sciogliere l'amministrazione comunale e mandare un commissario, il cav. Dionigi Bellini (ex capitano dei carabinieri)[58].

 

Le spedizioni punitive dell'estate 1922

I fatti di Pergola conferirono "al fascismo pesarese una caratura politica di primo piano" e irrobustirono "quei legami operativi da un lato con le forze dell'ordine (magistratura e arma dei carabinieri) e dall'altro con quei settori di notabilato urbano sino allora piuttosto riluttanti a un'alleanza che andasse oltre l'opportunità strumentale di un 'servizio' variamente utilizzabile sul terreno della competizione politico-elettorale locale"[59]: il salto di qualità compiuto porterà ben preso i fascisti a presentarsi come la principale forza politica interessata a preservare la provincia dalle azioni dei sovversivi.

"Appaiono ormai come un dato generalizzato le connivenze tra fascisti e forze dell'ordine, specialmente nei paesi e borghi dell'interno, dove li unisce l'antisocialismo o antibolscevismo e l'ostilità popolare, oltre ai valori d'ordine, disciplina e gerarchia. In diverse località si segnala l'impiego di elementi fascisti a sostegno della forza pubblica per ovviare alle deficienze di organico"[60].

La provincia è comunque definitivamente "normalizzata" nella prima settimana d'agosto. Contro lo “sciopero legalitario” vengono mobilitate dal deputato fascista maceratese, on. Silvio Gai, le squadre delle Marche (guidate da Riccardi, scarcerato alla fine del mese di luglio): coadiuvate da bande partite dalla Romagna e dall'Umbria, esse prendono il controllo di Ancona (2-5 agosto 1922).

Quindi, partendo dal capoluogo regionale, "conquistano" diversi centri. La “colonna volante” fascista, guidata dal Riccardi e dal marchese Patrizi di Perugia, risalita fino a Sassoferrato, durante la giornata del 7 agosto irrompe nella nostra provincia, occupando Cagli. Il giorno successivo i fascisti sono ad Urbino, dove vendicano l'uccisione di un carabiniere ucciso[61], quindi, passando per Pozzo, tornano a Pesaro: buona parte dei socialisti e dei comunisti si allontanarono dai centri attraversati alla notizia del loro arrivo (non il sindaco di Pozzo, che viene bastonato, umiliato e costretto a firmare una lettera di dimissioni); vennero dovunque devastate sedi socialiste, camere del lavoro,  case e negozi di "sovversivi"[62].

"In tale temperie, contrassegnata da aperte sopraffazioni, minacce, violenze e dal venir meno di ogni parvenza di legalità, matura la crisi finale di gran parte delle amministrazioni socialiste superstiti. Dalla fine di agosto... con una reazione a catena si susseguono le dimissioni in massa di interi consigli comunali. Al loro posto il prefetto insedia prontamente dei commissari prefettizi, alcuni dei quali dichiaratamente fascisti"[63].

 

I fatti di Fossombrone

Ma il fatto più atroce avvenne il 2 ottobre a Fossombrone. Qui alcuni squadristi si erano recati con l'intenzione di dare una lezione ad un loro avversario, Giuseppe Valenti, che però rispose con le armi, uccise due assalitori e riuscì a fuggire[64].

I fascisti, diretti da Riccardi, si concentrarono allora in notevoli forze (circa un migliaio di elementi) nella città: le abitazioni di "sovversivi" vennero saccheggiare e suppellettili e masserizie incendiate. Da Fossombrone le bande si diressero anche in altre località vicine dove commisero violenze di ogni genere e un omicidio a Cagli. Valenti, catturato l'8 ottobre nelle vicine campagne,  fu torturato, portato in città e fucilato[65].

"Lo scempio compiuto sul corpo del Valenti, le violenze e le devastazioni su uomini e cose che si consumarono in quelle giornate furono possibili anche qui grazie alle connivenze, sostegni e complicità di cui godevano i fascisti presso gli apparati pubblici. Il commissario di Pesaro Guido Renzoni, inviato in missione a Fossombrone in quelle tragiche giornate, sarà costretto ad ammettere che non poche preoccupazioni, nell'espletamento delle sue funzioni, gli derivavano dal fatto che ogni sua azione contro i fascisti gli sarebbe stata messa a carico dai superiori gerarchici, da lui conosciuti legati al fascismo"[66]. L'amnistia del 22 dicembre 1922 avrebbe poi assicurato l'impunità agli squadristi responsabili dell'omicidio.

Sempre il 2 ottobre venne organizzato un agguato a Pantana di Pergola contro i due fratelli comunisti Giovannoni, uno dei quali, Nazzareno, viene ucciso a colpi di rivoltella, dopo un inseguimento nei campi[67].

 

La marcia su Roma

Il successo delle spedizioni dell'estate 1922 favorì  la formazione di nuove sezioni e l'aumento delle iscrizioni nei fasci esistenti. Alla vigilia della marcia su Roma i tesserati erano sei-settecento e le sezioni diciannove: ai centri in cui già esistevano (Pesaro, Fano, Urbino, Fossombrone, Mondavio, Cagli, Pergola-S. Lorenzo in Campo, Urbania) si erano aggiunti Piobbico, Apecchio, S. Giorgio di Pesaro, Mondolfo, Sorbolongo, Mombaroccio, Pozzo, S. Agata Feltria, Tomba di Pesaro, Candelara e Borgopace[68].

Ormai il partito fascista si preparava ad occupare il potere. Anche nelle Marche, il 28 ottobre, veniva diramato l'ordine di mobilitazione generale: nella nostra provincia i fascisti ebbero piena libertà di movimento e, dal prefetto, l'assicurazione che sarebbero stati informati sulle disposizioni che il governo avrebbe emanato[69].



[1]P. GIANNOTTI e E. TORRICO, Le scelte politiche dell’amministrazione provinciale  di Pesaro e Urbino, in A. Varni (a cura di), “La provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento”, tomo II, Venezia 2003, pp. 579-757, a pag. 589. Vds. anche P. GIOVANNINI, "Tutto da abbattere, tutto da creare", le origini del Fascismo nella provincia pesarese (1919-22), Bologna 1993, p. 49.

[2]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 49.

[3]A. GIANNOTTI, Un pioniere del socialismo: Domenico Gasparini, in AAVV., "Pesaro-Urbino dalla Unità alla Resistenza", Urbino 1975, pp. 45-81, alle pagg. 71-72; Giovannini, Tutto da abbattere, p.49.

[4]Nel congresso socialista di Bologna (8 ottobre 1919) 520 delegati delle sezioni della nostra provincia (sul totale di 572 presenti al congresso), cioè il 90,2%, votarono per la mozione massimalista (Giovannini, Tutto da abbattere, p. 53).

[5]R. DRUSCOVICH, Il partito popolare dal 1919 al 1921, in AAVV., "Pesaro-Urbino dalla Unità alla Resistenza", pp. 171-202, a pag. 173.

[6]R. CERONI, Popolari e fascisti a Pesaro (1919-1924), in AAVV, "La provincia di Pesaro e Urbino nel regime fascista. Luoghi, classi e istituzioni tra adesione e opposizione", Ancona 1986, pp. 209-239, a pag. 209.

[7]Ceroni, Popolari e fascisti, p. 209.

[8]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 27-28.

[9]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 27 e 29; S. GIULIETTI, Fascio, fascisti e antifascisti. Fossombrone 1919-1929, in AAVV, "La provincia di Pesaro e Urbino nel regime fascista. Luoghi, classi e istituzioni tra adesione e opposizione", Ancona 1986, pp. 11-77, alle pagg. 13-15. A Fossombrone una trentina di persone furono arrestate e condannate.

[10]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 29.

[11]Tra essi il conte fanese Castruccio Castracane, che raggiunse Fiume con il cacciatorpediniere Nullo e venne posto ai vertici della marina della Reggenza.

[12]F. DEL POZZO, Partiti ed elezioni nel 1919-1921, in AAVV, “Pesaro contro il fascismo (1919-1944)”, Urbino 1972, pp. 17-48, a pag. 26;  C. PALADINI e S. PALLUNTO, “Talevi Salvatore di Odorardo, repubblicano”, in P. Sorcinelli (a cura di), “Marginalità, spontaneità, organizzazione 1860-1968 uomini e lotte nel Pesarese”, Pesaro 1982, pp. 39-50, a pag. 42; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 33.

[13]Del Pozzo, Partiti ed elezioni, p. 27; Ceroni, Popolari e fascisti, p. 210; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 35.

[14]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 32-34.

[15]Del Pozzo, Partiti ed elezioni, p. 26.

[16]Del Pozzo, Partiti ed elezioni, p. 26.

[17]Del Pozzo, Partiti ed elezioni, p. 30; L. CICOGNETTI, Polizia e sovversivi. Luoghi, episodi e soggetti dell'illegalità antifascista (1922-1027), in P. Sorcinelli (a cura di), "Marginalità, spontaneismo, organizzazione - 1860-1968", Pesaro 1982, pp. 51-67, a pag. 52; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 57.

[18]A. BIANCHINI, Cronologia, in A. Varni, “La Provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento”, tomo II, Venezia 2003, pp. 1211-1277, a pag. 1224.

[19]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 54-60. Il programma presentato per le elezioni amministrative prevedeva radicali riforme sociali, per finanziare le quali contavano di reperire fondi aumentando le imposte dirette sui ceti medio-alti ed esentando le categorie più deboli (avvantaggiate anche dalla progressiva diminuzione di quelle indirette, che pesavano sui beni di consumo di prima necessità).

[20]Pesaro, Fano, Urbino, Pergola, Cagli, Fossombrone, Urbania e Fermignano.

[21]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 63; Giulietti, Fascio, fascisti e antifascisti, p. 16; Giannotti-Torrico, Le scelte politiche, pp. 594-596.

[22]Anche nell'anno successivo la situazione non cambiò. Vds. GIANNOTTI P., Le origini del fascismo a Pesaro 1920-1923, in AAVV, "Pesaro-Urbino dall'Unità alla Resistenza", Urbino 1975, pp. 203-249, a pag. 205: "Solo verso la metà del 1920 possiamo contare qualche fascista a Fano, Cagli, Pesaro, ma si tratta per lo più di elementi isolati con scarsi collegamenti nell'ambiente locale e più solidi contatti, soprattutto epistolari, con le province limitrofe. Questi fascisti della primissima ora sono in maggioranza giovani studenti a cui si associano individualmente ex combattenti, mutilati di guerra, nazionalisti, futuristi, mazziniani; tutti ruotano con scarsa fortuna attorno alle varie associazioni di combattenti e di arditi di guerra, ai circoli nazionalisti, democratici, alle sezioni della Giovane Italia, Dante Alighieri, ecc."

[23]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 42.

[24]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 47

[25]Giannotti, Le origini, p. 207. In tutte le Marche, alla fine del 1920, sopravvivevano, in condizioni precarie (difficile situazione finanziaria, limitato numero di adesioni) i soli fasci di Senigallia e Recanati.

[26]Giannotti-Torrico, Le scelte politiche, p. 598: “… vennero votati i quasi tutti i Comui la diminuzione del dazio sui consumi, la progressività della tassa di famiglia, la riduzione di quella sul bestiame (perché per metà gravava sul mezzadro), un aumento consistente della sovrimposta fondiaria. In provincia le sovrimposte sulle contribuzioni dirette sui trreni e fabbricati salirono da 1.969.527 lire nel 1919 a 3.339.735 lire nel 1920 a 5.132.802 lire nel 1922”.

[27]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 76-77

[28]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 85

[29]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 88-89;  Giannotti, Le origini, p. 211. Viene eletto segretario del fascio fanese il conte Marco Aurelio Borgogelli; un importante sostegno viene fornito anche dalla contessa Bracci Tommasini, esponente dell'Associazione Agraria fanese.

[30]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 88: trenta aderenti.

[31]N. TACCHI, Aspetti e momenti dello squadrismo, in AAVV, “Pesaro contro il fascismo (1919-1944)”, Urbino 1972, pp. 49-82, a pag. 71; Giulietti, Fascio, fascisti e antifascisti, p. 30 (una ventina di elementi). Per Giannotti, Le origini, p. 104, il fascio di Fossombrone si costituì solo nella prima metà di agosto 1921.

[32]Giannotti, Le origini, p. 211; Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 118-121.

[33]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 158.

[34]Tacchi, Aspetti e momenti, p. 52; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 119.

[35]Giannotti, Le origini, pp. 211-212; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 91.

[36]Giannotti, Le origini, p. 213

[37]Giannotti, Le origini, p. 213; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 103.

[38]Giannotti, Le origini, p. 213; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 104.

[39]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 104: "Tuttavia i fatti di questi mesi sono spesso isolati, legati a situazioni contingenti, ad iniziative estemporanee, estranee ad un disegno politico definito (d'altronde vere e proprie squadre d'azione al momento non ci sono). Gli stessi effetti prodotti sono di corto respiro e devono fare i conti con la pronta reazione degli avversari. In non poche occasioni i fascisti locali, dopo la partenza di quelli di fuori con i quali si erano resi protagonisti di violenze, spariscono dalla circolazione oppure devono essere protetti dalle forze dell'ordine".

[40]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 92 e 97.

[41]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 98.

[42]Giannotti, Le origini, p. 209 e 217; Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 76-77; 122-127; 134 ("Appare in tutta la sua evidenza il contrasto fra i fini rivoluzionari e la natura tradizionalmente riformista del socialismo municipale, fra gli altisonanti proclami del messianesimo massimalista ed una prassi ingabbiata in rigidi vincoli istituzionali, incapace di produrre non solo quel cambiamento radiaale a cui aspiravano i ceti popolari, ma anche parziali riforme, laddove sembra venir meno la stessa pratica dei lavori pubblici come rimedio tampone alla dioccupazione").

[43]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 98.

[44]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 100.

[45]Del Pozzo, Partiti ed elezioni, p. 42; M.T. FORZA, Angelo Celli deputato di Cagli, in AAVV, "Pesaro-Urbino dalla Unità alla Resistenza", Urbino 1975, pp. 123-170, a pag. 142.

[46]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 127-131; Giannotti, Le origini, p. 217 ("Era il primo 'municipio rosso' a cadere, ed era sicuramente la prima breccia nelel forze popolari").

[47]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 119. La squadra pesarese venne battezzata "Asso di bastoni", la urbinate "Ramazza", la fanese "Filippo Corridoni" (sindacalista rivoluzionario interventista, assunto dai fasacisti fra i loro precursori). Su Riccardi vds. Giannotti, Le origini, p. 218; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 107.

[48]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 110-111.

[49]Giannotti, Le origini, p. 215.

[50]Giannotti, Le origini, p. 215: "Per la prima volta, la violenza fascista, nella sua forma organizzata mutuata da moduli di tipo militare, si presenta nella provincia, tenendo in pugno, seppure per qualche ora, un centro di una certa importanza"

[51]Giulietti, Fascio, fascisti e antifascisti, p. 32; Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 143-144.

[52]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 144-145.

[53]Tacchi, Aspetti e momenti, pp. 68-71; Giannotti, Le origini, p. 219. Dettagliata descrizione dei fatti in C. ARSENI, Cagli ‘900 tra cronaca e storia, Cortona 1992, pp. 176 ss.

[54]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 159.

[55]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 167.

[56]Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 170-171.

[57]Giannotti, Le origini, p. 221; Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 171-172.

[58]Giannotti, Le origini, p. 221; Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 173-174.

[59]Giulietti, Fascio, fascisti e antifascisti, p. 33.

[60]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 146.

[61]Nel frattempo era precipitata la situazione ad Urbino, dove erano stati feriti in uno scontro a fuoco due carabinieri nella notte fra il 2 e il 3 agosto; uno dei sarebbe poi morto e il funerale si svolse l'8 agosto.

[62]Giannotti, Le origini, pp. 222-223; Giovannini, Tutto da abbattere, pp. 177-185.

[63]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 186

[64]Tacchi, Aspetti e momenti, p. 77; Giulietti, Fascio, fascisti e antifascisti, p. 58.

[65]Tacchi, Aspetti e momenti, p. 77; Giulietti, Fascio, fascisti e antifascisti, pp. 58-59.

[66]Giulietti, Fascio, fascisti e antifascsiti, p. 59.

[67]Giovannini, Tutto da abbattere, p. 191.

[68]Giannotti, Le origini, p. 226; Giovannini, Tutto da abbattere, p. 187.

[69]Tacchi, Aspetti e momenti, p. 78.