Capitolo XXVIII

 

Sotto il regime fascista

 

Dopo la Marcia su Roma, anche nella nostra provincia i Fascisti occuparono tutti i gangli del potere; un ruolo di primo piano fu ricoperto dal “ras” Raffaele Riccardi. Continuarono, anche se in tono minore, le spedizioni squadristiche contro gli avversari politici; proseguì anche il controllo delle forze dell’ordine nei confronti degli elementi ritenuti sovversivi, che furono messi nell’impossibilità di svolgere qualsiasi tipo di azione politica[1].

Particolarmente intensa la sorveglianza “legale” sui comunisti, la cui organizzazione scivolava verso la semiclandestinità per le perquisizioni e gli arresti effettuati da Carabinieri e forze di polizia. Già nel febbraio 1923 venne effettuato un  giro di vite dopo la pubblicazione di un violento manifesto antifascista della Terza Internazionale. Nella nostra provincia il prefetto Cottalasso comunicava al Ministro dell’Interno che esponenti maggiori partito comunista elementi idonei azione di organizzazione o direzione movimento insurrezionale si sono da qui allontanati seguito ultimo movimento fascista. Sono state informate autorità luogo attuale residenza. Qui rimasti gregari incapaci dirigere organizzazione movimento. Abbandonati dai capi non hanno dato luogo più a rilievi. Anche perquisizioni fatte hanno avuto esito negativo. Venne subito disposta su di essi rigorosa vigilanza per procedere arresto ove ne sia il caso[2].

Qualche giorno dopo (8 febbraio 1923) però informava che dipendenti autorità di P.S. Arma RR.CC. proseguendo indagini perquisizioni trovarono documenti corrispondenza comprovanti intelligenza otto comunisti con comitato esecutivo partito e quindi procedettero loro arresto deferendoli autorità giudiziaria per mene contro sicurezza Stato[3].

 

Le elezioni amministrative del 1923

La prima scadenza elettorale importante fu costituita dalle elezioni amministrative del 1923: i fascisti volevano subentrare "democraticamente" nelle amministrazioni comunali (gran parte delle quali sciolte d’autorità dal Prefetto nei mesi precedenti o costrette alle dimissioni dalle spedizioni squadristiche)[4].

Non avendo quadri dirigenti presentabili, gli uomini di Riccardi optarono per la creazione di liste unitarie insieme a partiti dell’ordine (liberali, nazionalisti e, a Fano e a Mondolfo, anche popolari) in quasi tutti i comuni della nostra provincia[5]. Del resto socialisti e comunisti, sottoposti alle spedizioni punitive dei mesi precedenti e costretti di fatto alla semiclandestinità (e con buona parte degli elementi di spicco dei due partiti costretta ad allontanarsi dall’abituale domicilio), non erano in grado di presentarsi in queste elezioni con liste concorrenti[6]; i repubblicani attraversavano anch’essi una terribile crisi, specialmente a Pesaro (città che aveva sempre offerto una consistente base elettorale) dopo la morte di Salvatore Talevi, suicidatosi tra 16 e 17 dicembre 1922[7].

In queste condizioni, l’affermazione fascista era scontata. Dopo una serie di “trionfi” ottenuti in centri minori dell'entroterra nel gennaio 1923[8], la prima città importante conquistata fu Fano dove, il 23 febbraio, la lista di "Unione Nazionale" ottenne 4349 voti su 5271 votanti: subito dopo il voto cominciarono però gli screzi tra fascisti e popolari e la stessa giunta fu creata senza il rappresentante del PPI[9].

Scontato successo (ma altissimo il numero delle astensioni) anche nelle elezioni amministrative di Pesaro, tenute il 6 maggio 1923 (5017 votanti su 10.293 elettori; 4812 voti per l'alleanza liberal-fascista)[10].

Nello stesso giorno altro successo fascista nelle elezioni amministrative  provinciali: i fascisti ottennero 27 rappresentanti su 40 componenti il nuovo Consiglio, gli alleati liberali 11; un seggio fu conquistato da un popolare (presentatosi come indipendente), uno da un “combattente”[11].

Il prefetto Cottalasso poteva comunicare al Ministero dell’Interno il 6 maggio del 1923 che  elezioni amministrative città e mandamento Pesaro compieronsi perfetta legalità, correttezza, senza menomo incidente. Concorso elettori circa 70% supera notevolmente massime percentuali raggiunte elezioni precedenti. Partiti nazionali affermaronsi compattamente, disciplinatamente su lista concordata, conquistando maggioranza e minoranza[12].

Nel rapporto dattiloscritto del successivo 10 maggio 1923 faceva il punto della situazione informando sulla situazione dei diversi partiti politici: mentre il partito fascista e il partito liberale si sono pressoché fusi nell’intera provincia…, gli uomini che avevano dominato le masse sono scomparsi dalla scena politica: socialisti e comunisti erano stati messi in condizione di non nuocere, i repubblicani erano in crisi, i popolari senza forza notevole. In definitiva la Provincia di Pesaro è una provincia risanata, sulla quale il Governo può fare pieno e sicuro affidamento[13].

 

 

 

Riccardi ed i liberali

Problemi sorsero però nello schieramento liberalfascista, soprattutto per il pessimo carattere del segretario provinciale dei fasci pesarese, Raffaello Riccardi. Il prefetto Cottalasso, in una relazione sulla situazione politica nella provincia il 10 maggio 1923, all’indomani delle elezioni, così lo descrive. Giovane di ingegno vivace, buon parlatore e ottimo organizzatore egli gode ascendente ed autorità nell’elemento fascista della Provincia per quanto non manchino tendenze discordi e non manchi chi trovi l’azione del Riccardi troppo impulsiva e troppo personalmente autoritaria, e desideri un più intimo e fraterno affiatamento di mutuo consenso e di reciproca condiscendenza. Trattasi veramente di divergenze e dissensi che hanno la loro origine in diversità di temperamento, e si rivolgono forse ancor più che contro il Riccardi contro il suo entourage. In verità, il rag. Riccardi si è circondato di qualche elemento che per il suo passato politico, per la posizione sociale, per il temperamento impulsivo e violento non ha generale consenso di stima e gli ha creato e gli crea qualche avversione e qualche minor consenso nella sua azione. Personalmente il Riccardi, se ha un temperamento vivace ed impulsivo, sa però correggersi a tempo e sente anche gli ammonimenti di temperanza e prudenza che gli vengono dati; ritengo che la sua azione vada sempre più armonizzandosi con la politica di ordine del partito e stabilisca più cordiali rapporti con gli altri elementi direttivi del fascismo pesarese[14].

Un altro rapporto dello stesso prefetto, del 19 giugno 1923, presenta però subito al Ministero il problema dei rapporti tra il Riccardi e l’avv. Sergio Rossi, sindaco fascista di Fano, dimessosi per protesta per una infelice presa di posizione del Riccardi: i rapporti tra i due erano tesissimi[15].

Ostilità ed insofferenza era mostrata anche nei confronti di altri esponenti liberali della provincia, in particolare nei riguardi dell’avv. Alessandro Mariotti, agrario fanese di destra, eletto al Parlamento nelle elezioni del 1921, che presentò formale reclamo al Ministero, il 16 giugno, per aver ricevuto una palese diffida dal segretario provinciale di partecipare a dimostrazioni e cerimonie patriottiche (inaugurazione di parchi della rimembranza, lapidi ai caduti di guerra, consegna di bandiere a bambini delle scuole…) a cui era invitato[16]. Gli interventi del prefetto (che lamenta lo scarso senso di responsabilità politica del Riccardi) e del Ministero, sconcertati per tale comportamento, misero a tacere i dissapori[17].

Nel settembre del 1923 “L’Ora” annunciava un’imposizione coatta a carico degli agrari della provincia per sopperire alle difficoltà in cui si trovava la federazione provinciale: questa decisione sconcertante ed unilaterale del ras provinciale provocò una levata di scudi generale (compresi la giunta fascista di Pesaro ed il prefetto), la richiesta di chiarimento dello stesso Mussolini e un precipitoso dietrofront del Riccardi[18].

Il 30 novembre, alle  votazioni  per la segreteria provinciale, Riccardi (che fu accusato di irregolarità), ottenne 118 voti, il suo avversario, il nazionalista pesarese avv. Luigi Raffaelli, il non disprezzabile risultato di 57 voti[19].

 

Le elezioni del 6 aprile 1924

Qualche incidente viene registrato nei primi mesi del 1924: il 20 gennaio a Talamello rissa tra tre-quattro fascisti e due “sovversivi”, uno dei quali ferito gravemente ad un occhio[20]; il 28 dello stesso mese invasione, da parte di fascisti, della sede del partito popolare di Urbania, poi prontamente sgombrata[21]; il 24 marzo l’Amministrazione fascista di Cagli chiedeva la “testa” del locale maresciallo dei Carabinieri incapace, a suo dire, di opporsi alle provocazioni dei comunisti, responsabili di nuovi gravi incidenti[22]; il 29 marzo devastazione ed incendio della sede del partito popolare di Urbania da parte di ignoti[23].

Nelle successive elezioni politiche, anticipate dopo l’approvazione della nuova legge elettorale (la legge Acerbo, che consentiva alla lista che avesse ottenuto anche una lieve maggioranza dei consensi, ma superiore al 25% dei voti, i due terzi dei seggi alla Camera) che avrebbe comunque permesso un’agile vittoria di liberali e fascisti alle elezioni (le opposizioni si presentavano divise), vennero compiuti atti intimidatori nei confronti di avversari politici[24].

Nella provincia di Pesaro e Urbino la “Lista del Fascio” ottenne 29.274 voti, i Popolari 5.446, i Socialisti Unitari 4.176, i  Socialisti Massimalisti 3.789, i Comunisti 3.620, i Repubblicani 2.560[25]. Pur se non erano mancati brogli ed intimidazioni, denunciate successivamente dal deputato Giacomo Matteotti, i risultati elettorali anche nella nostra provincia, come nel resto d’Italia, segnavano il successo del regime.

 

La fine delle libertà

Venivano arrestati, nel settembre 1925, alcuni comunisti di Pesaro e Fano per aver affisso un manifesto non autorizzato e tenere in casa materiale illegale: il processo si concluse con condanne ad alcuni mesi di reclusione (e una forte multa) per associazione a delinquere contro i poteri dello Stato[26]. L’attività comunista continuò comunque per qualche mese, per poi scivolare nella clandestinità[27].

L’arresto del deputato Tito Zaniboni, in procinto di compiere un attentato nei confronti del Capo del Governo, il 4 novembre 1925 fornì l'occasione di effettuare un altro giro di vite nei confronti delle opposizioni, grazie ad una legge, approvata il 26 novembre dello stesso anno, che, “disciplinando” l’attività delle associazioni, enti, istituti, imponeva a costoro di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza l’atto costitutivo, lo statuto, i regolamenti interni, l’elenco nominativo delle cariche sociali e quello dei soci[28].

Cessarono pertanto le pubblicazioni gli ultimi giornali indipendenti della provincia: "Il Metauro" a Fano, il "Germoglio Comunista" e "L'Azione" di Pesaro[29].

Anche l’amministrazione locale fu “riorganizzata”: la legge 237 del 4 febbraio 1926 sopprimeva, nei comuni con meno di 5000 abitanti (ma il provvedimento fu esteso nel settembre dello stesso anno a tutti i comuni), l’elezione di consiglio e sindaco, sostituito dal podestà, unico organo deliberante del Comune, nominato con decreto regio[30]; la legge 6 aprile 1926 attribuiva poteri politici ai prefetti, che diventavano rappresentanti del governo nelle province (circolare del 5 gennaio 1927).

Dopo l’attentato che Benito Mussolini subì, il 31 ottobre 1926, a Bologna ad opera del quindicenne Anteo Zamboni (poi linciato dai fascisti), venne effettuato un ulteriore giro di vite: il 5 novembre una serie di provvedimenti sopprimeva tutti i giornali antifascisti, scioglievano d’autorità i partiti e le associazioni non fascisti, istituivano il confino di polizia per gli avversari del regime e il servizio d’investigazione politica, prevedevano la pena di morte per determinati reati politici (la cui competenza era affidata ad un tribunale speciale formato da giudici militari).

Ci furono naturalmente anche nella nostra provincia scorribande ed intimidazioni da parte di elementi fascisti[31]. Riccardi fece inoltre affiggere manifesti in cui sosteneva che era ormai tempo che gli uomini più in vista dei vecchi e sopravvissuti partiti di opposizione compissero un atto di doverosa chiarificazione. Precisava inoltre che i fascisti consideravano complici, per lo meno morali, dei delinquenti che in più riprese hanno attentato alla vita sacra del Capo del Governo, tutti coloro che si nascondono o tacciono quando l'intero popolo grida pubblicamente la propria esecrazione. Le responsabilità debbono essere ben distinte, se non si vuole che il fascismo colpisca alla cieca nella prima occasione. Chiediamo dunque che francamente  e coraggiosamente gli uomini cui è rivolta la nostra richiesta dichiarino di scindere la propria responsabilità da quella dei criminali che, mirando a sopprimere la persona del Duce, feriscono mortalmente la patria...[32].

Le risposte all'appello fatto dal ras fascista furono poi pubblicate da “L’Ora" dal novembre del 1926 al gennaio del 1927: trentotto personalità politiche dichiararono la loro adesione al fascismo e/o condannarono la violenza politica[33].

Gli ultimi provvedimenti, del 1927-29, ridussero il numero dei comuni e riformarono l’amministrazione provinciale. Lo stesso Mussolini aveva caldeggiata una riduzione del numero delle amministrazioni comunali: Novemila comuni in Italia sono troppi. Vi sono dei comuni che hanno 200, 300, 400 abitanti. Non possono vivere, devono rassegnarsi e a scomparire e fondersi in più grandi centri[34]. Negli anni 1927-1929, in base al RDL 383 del 17 marzo 1927, fu razionalizzata la rete comunale anche nella nostra provincia, dove il loro numero passò da 74 a 58[35]. Si procedette comunque con cautela e gli accorpamenti furono limitati: la sistemazione finale fu "tutt'altro che razionale ed uniforme... si era ben lontani da una qualche soluzione coerente, specie nell'alto Foglia, nella Val Conca e nell'intera prima fascia di colline dal Tavollo fino al Cesano"[36].

I comuni scomparsi furono Montecerignone (diviso fra Montegrimano e Piandicastello); Scavolino (tra Casteldelci e Pennabilli); Petriano (annesso a Colbordolo); Frontino (a Carpegna); Pietrarubbia (a Macerata Feltria); Maiolo e Talamello (a Mercatino Marecchia); Serra S. Abbondio (a Frontone); Fiorenzuola di Focara, Pozzo, Ginestreto, Candelara e Novilara (a Pesaro); Sorbolongo (a S. Ippolito); Fratterosa (a S. Lorenzo in Campo); Peglio (ad Urbania). Buona parte delle predette amministrazioni comunali saranno ricostituite all’indomani del conflitto[37].

La legge n. 2960 del 27 novembre 1928, sanciva infine un nuovo ordinamento per le amministrazioni provinciali: veniva anche qui abolito il sistema elettivo: un “preside” avrebbe sostituito le funzioni del presidente della Deputazione e della Deputazione stessa, un “rettore” il Consiglio provinciale[38].

 

Attività repressiva delle forze dell’ordine

Continuava intanto la repressione “legale” nei confronti di antifascisti, affiancata da intimidazioni effettuate da fascisti locali: in quell’anno vennero arrestati per reati politici il segretario della Federazione comunista, prof. Sciava, Andrea Massa e Egisto Cappellini. Vennero compiuti atti intimidatori nei confronti di noti antifascisti di vario indirizzo politico, come il popolare Cesare Del Vecchio, i socialisti Giuseppe Filippini, ed Ettore Mancini, il comunista Wolframo Pierangeli, il repubblicano Armando Lugli[39].

Il prefetto Cottalasso, nella sua relazione del 7 settembre 1927, poteva scrivere: Il partito giovanile comunista negli anni 1923 e 1924, epoca in cui si ebbe il massimo sviluppo in questa città e frazioni, contava appena una quarantina di tesserati. In seguito, per l'accurata ed ininterrotta vigilanza esercitata dagli organi di polizia locale, venne arrestato ogni tentativo di propaganda e dopo numerosi fermi, perquisizioni domiciliari e qualche arresto, la Sezione suddetta fu dispersa e gli iscritti, capi e gregari, si sbandarono, parte allontanandosi da Pesaro, altri emigrando, ed i pochi rimasti disinteressandosi di politica o passando addirittura al Fascio[40].

 

Le elezioni del 24 marzo 1929 (XXVIII legislatura)

Non si trattò di elezioni vere e proprie perché, a norma della legge approvata il 16 marzo 1928, i quattrocento deputati furono eletti col sistema del collegio unico nazionale in base ad una sola lista di candidati (“listone”) formulata dal Gran consiglio del fascismo su indicazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori; il diritto al voto era riservato solo ai cittadini “utili ed attivi” che avrebbero dovuto esprimere sulla scheda elettorale solo il parere favorevole o contrario al “listone”. La percentuale dei votanti nel territorio nazionale fu particolarmente elevata (89,63% degli aventi diritto), anche in considerazione del fatto che chi non si recava alle urne poteva facilmente essere scambiato per un dissidente: comunque su oltre otto milioni e mezzo di voti validi i sì furono 8.506.576 contro i 136.198 no e le 8092 schede nulle.

Probabilmente contribuì al successo fascista anche la firma dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929), che regolarizzavano i rapporti tra Stato e Chiesa e, liquidando definitivamente la “questione romana”, davano ai cattolici molte garanzie e, in diversi campi, una posizione di privilegio.

 

Resa dei conti nel PNF provinciale

Negli anni 1930-1933 Raffaele Riccardi, avviato verso una brillante carriera politica a Roma (venne nominato sottosegretario alle Comunicazioni nel luglio 1928), e gli uomini a lui collegati vennero attaccati violentemente da esponenti del loro stesso partito (in primo luogo dagli “agrari”, che già all’indomani della marcia su Roma avevano mostrato a più riprese scarsa simpatia per il segretario provinciale ed i suoi uomini) con le accuse di peculato, affarismo e clientelismo.

I vertici del fascismo della nostra provincia furono dapprima coinvolti nello scandalo del Consorzio provinciale delle cooperative di produzione e lavoro, fondato nel 1923 su iniziativa di Riccardi e sciolto appunto nel 1930 per gravi irregolarità amministrative; contemporaneamente entrava in una gravissima crisi finanziaria anche la Saiba (Società anonima industria bagni e alberghi, fondata nel 1924), che aveva ottenuto negli anni precedenti dal Comune di Pesaro la gestione dell'azienda balneare[41].

Precipitata la situazione, vennero, come detto, coinvolti nella crisi importanti esponenti del Partito Fascista: nel giugno fu destituito il segretario federale Aroldo Rossi e la Federazione Provinciale venne commissariata. Uguale sorte toccò ai sindacati provinciali e alla Cassa di Risparmio di Pesaro; gli scandali coinvolsero anche il Comune di Pesaro, l'Amministrazione provinciale, la Prefettura ed il Conservatorio Rossini. Anche “L’Ora”, testata storica del fascismo locale, venne soppressa. La sostituzione del preside riccardiano della provincia di Pesaro e Urbino, Olmeda con uno degli avversari del Riccardi, Agostino Michelini-Tocci (29 aprile 1933) e il cambiamento dei vertici di diverse associazioni permisero quindi una tregua tra i due gruppi. Fu per qualche tempo in dubbio la brillante carriera politica che Riccardi aveva nel frattempo intrapreso, ma le protezioni di cui godeva gli permisero di superare il difficile momento[42].

 

La crisi degli anni Trenta

Nei primi anni Trenta si fecero sentire in Italia le conseguenze della crisi mondiale iniziata negli Stati Uniti nel ’29: diminuirono i prezzi del grano e del bestiame, aumentò la disoccupazione nel settore industriale e in quello estrattivo; chiusero alcune imprese artigianali; un certo malcontento cominciò a serpeggiare in strati più ampi della popolazione[43]. “Nel 1932 si hanno ripetute manifestazioni contro la disoccupazione ad Acqualagna, Colbordolo, Piandimeleto, Pesaro, Auditore, Mercatino Conca, Schieti di Urbino, Fano, Cartoceto, Fossombrone, Gabicce, Sassocorvaro, Cantiano, nelle quali scendono in piazza dalle 15 persone di Piandimeleto alle 400 di Fano”[44].

Si fecero per qualche tempo tesi i rapporti con le associazioni cattoliche, che nel 1931 ebbero qualche guaio con il regime e, soprattutto, riprese l’attività antifascista di cellule comuniste, sorte negli anni Trenta anche nella nostra provincia.

 

Cattolici e Fascisti

"Si può senz'altro assumere... la divisione operata da Casella in quattro fasi distinte: una prima fase di attesa e di riserbo nei primi anni (fino al 1925), una seconda di "collaborazione nella distinzione" negli anni intorno alla Conciliazione, una terza di sostanziale appoggio nel periodo successivo alla crisi del 1931 fino all'accostamento dell'Italia alla Germania nazista, infine una fase di raffreddamento e di diffidenza nell'ultimo periodo del pontificato di Pio XI. Tale articolazione è nell'insieme veritiera anche nel pesarese"[45].

Malgrado i patti lateranensi, lo spirito totalitario del fascismo mal sopportava la persistenza di associazioni autonome che avessero il compito di formare la gioventù e pertanto anche negli anni successivi al 1929 non mancarono alcuni atteggiamenti di insofferenza nei confronti di enti o associazioni del mondo cattolico.

Emblematica l'aggressione, avvenuta il 26 gennaio 1930 ad Urbania, già teatro di atteggiamenti di ostilità negli anni precedenti tra cattolici e fascisti dell’ex popolare avv. Luigi Londei, percosso per ragioni politiche da un gruppo di fascisti: sarebbe morto per le conseguenze dell’aggressione il 9 febbraio successivo. Episodi analoghi, seppur di minor gravità, sono menzionati in tanti luoghi della provincia[46].

La tensione raggiunse il suo massimo nel maggio 1931, quando Mussolini ordinò la chiusura di tutti i circoli della Gioventù Cattolica Italiana. Il vescovo di Fossombrone protestò per l’aggressione subita, ad opera di fascisti, da due missionari tornati dalla Cina; a Pesaro venne aggredito un giovane cattolico che non aveva voluto togliersi il distintivo della “gioventù francescana”; a Fano viene organizzata una “retata” in grande stile nelle sedi delle organizzazioni cattoliche, e alcuni dirigenti locali vengono fermati e trattenuti[47].

 

L’antifascismo nei primi anni Trenta

Nella provincia di Pesaro e Urbino l’antifascismo “organizzato” – totalmente d’orientamento comunista – rimane in prevalenza circoscritto ad una minoranza con poche possibilità d’incidere – per il fatto stesso di agire nella clandestinità – nella realtà locale”[48].

Possiamo ricordare comunque diverse manifestazioni di opposizione anche negli anni Trenta, quando ormai il regime ha ottenuto il pieno controllo della società.

Il fanese Enzo Capalozza, nell’ottobre 1931, riprodusse in proprio e diffuse in diversi centri della provincia i manifestini antifascisti lanciati su Roma con un aereo da Lauro De Bosis. Verrà subito individuato e arrestato nel mese successivo[49].

Nel frattempo si riorganizzava l’attività (clandestina) del partito comunista, grazie ad una nuova generazione di militanti, che dovettero partire, stante la distruzione della precedente rete del partito, praticamente da zero[50].

Nell’estate del 1932 si è ormai creata “una nuova lega di militanti, tutti molto giovani, arrivati al comunismo per strade diverse. A Fano sono dei ventenni che costituiscono di nuovo le cellule: tra i più attivi ci sono Bruno Venturini, studente universitario), Remo Rovinelli, operaio fuochista, Mariano Bestini, cementista, Virgilio Petrolati, tipografo, Silvio Battistelli, meccanico, Alberto Mancinelli, manovale e altri. A Pesaro risono due giovanissimi, Odoardo Ugolini, falegname, Liviero Mattioli, ceramista, che lavorano assiduamente per consolidare i legami con i comunisti di S. Maria delle Fabbrecce e di altre frazioni dei dintorni. Il reclutamento avviene soprattutto tra operai, artigiani, contadini, ma ci sono casi interessanti, anche se per il momento isolati, come quello degli universitari di Fano (Venturini, Carlo Ghiandoni e Vittorio Marzolini) che testimoniano dei primi sintomi di crisi e di frattura che investono i rapporti tra i ceti medi intellettuali e il regime fascista”[51].

In una riunione comune i due gruppi decisero di creare un comitato provinciale a Pesaro, con compiti di coordinamento tra le varie cellule, e una tipografia a Fano, con il compito di stampare brevi testi da far circolare in vari luoghi della provincia[52]. Nei mesi successivi l’organizzazione si espanse nelle due città e vennero ripresi i contatti anche con i comunisti urbinati. A Fano in particolare riescì a raggiungere i sessanta iscritti, divisi in varie cellule (una delle quali addirittura nella caserma Montevecchio tra sottufficiali e ufficiali)[53] e vennero dati non pochi grattacapi alle locali forze dell’ordine che non riescivano a rintracciare gli autori dei volantini antifascisti diffusi a più riprese in città[54].

All’inizio del 1933 la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale riuscì però ad infiltrare un suo uomo nell’organizzazione comunista fanese[55] e pertanto, il 31 gennaio vennero effettuati decine di arresti, a Fano, Pesaro ed in altri luoghi della provincia: tredici militanti saranno poi processati dal Tribunale Speciale con l’accusa di aver contribuito a stampare e diffondere manifesti comunisti e antifascisti e condannati, il 10 novembre 1933, a pene da uno a dieci anni, per un totale complessivo di settanta anni di carcere[56].

L’anno successivo vennero condannati per ricostituzione del PCd’I due giovani militanti di Cantiano, tra cui la diciottenne Adele Bei[57].

 

La guerra all’Etiopia

Il 3 ottobre 1935 iniziava la guerra d’Etiopia. “Anche nella provincia pesarese si vivono momenti di esaltante fervore patriottico specie nella città capoluogo, che ha peraltro il vanto di aver dato i natali all’esploratore Antonio Cecchi, regio commissario straordinario del Benadir, rimasto ucciso insieme con gli uomini della sua spedizione nel 1896, in un’imboscata tesagli da una banda di somali nomadi a Lafolè, sulle rive dell’Uebi Sceseli, presso Mogadiscio”[58].

Nei mesi successivi vennero organizzate numerose cerimonie civili e religiose a favore della impresa, che suscitò consensi anche in campo cattolico.

Si dovrà in gran parte all’esempio e alla propaganda dei vescovi e dei parroci delle città e della campagna il successo di quella che sarà la più spettacolare manifestazione anti-sanzionistica e di sostegno alla politica fascista, e cioè l’offerta dell’oro, dell’argento e di altri metalli e segnatamente l’offerta degli anelli nuziali nella giornata della fede appositamente istituita il 18 dicembre, a un mese esatto dall’entrata in vigore delle inique sanzioni. A Fano il vescovo mons. Giustino Sanchini dona la sua collana pettorale d’oro consegnandola personalmente insieme con una lettera augurante: gloria e vittoria all’Italia la quale vuol portare all’Africa barbara la civiltà cristiana e romana. A Pesaro il vescovo, mons. Bonaventura Porta, che in occasione del XIII Annuale della marcia su Roma, nel procedere alla benedizione in piazza del labaro dei figli della Lupa e delle Giovani Italiane aveva definito Mussolini strumento divino che tutte le nazioni ci invidiano, auspicando il trionfo dei suoi ideali, offre l’anello episcopale con una lettera di accompagnamento. A S. Angelo in Vado e Urbania il vescovo mons. Capobianco esprime il suo appoggio in un manifesto. A Fossombrone il vescovo mons. Amedeo Polidori offre la sua croce pastorale. A Cagli il vescovo mons. Filippo Maria Mantini consegna la propria collana con la croce pastorale e un anello, caro ricordo di famiglia. A Urbino l’arcivescovo mons. Tani un prezioso anello episcopale”[59].

Grande successo ha in provincia l’offerta delle fedi nuziali: alla fine del gennaio 1936 ne sono state raccolte quasi 58.000. “Il peso complessivo dell’oro raccolto raggiunge i 327 chili, con una media leggermente superiore al grammo per abitante (maggiore quindi della media nazionale che risulta, alla stessa data, di grammi 0,78); il peso complessivo dell’argento raggiunge i 527 chilogrammi”[60].

Notevole anche il fatto che, in rapporto al numero degli iscritti, l’Università di Urbino  manda in Africa il maggior numero di volontari, tra cui il segretario stesso, Oreste Bernardini, che morirà in quella campagna[61].

Numerose manifestazioni alla notizia delle vittorie italiane: tricolori, campane, corti affollano anche le strade delle città della nostra provincia, culminando, il 5 maggio, alla notizia dell’entrata delle forze italiane in Addis Abeba, in grandi manifestazioni a Pesaro, Fano, Urbino e negli altri centri della provincia[62].

209 volontari della provincia andranno a combattere in Etiopia. Cadranno, in questa campagna 23 militari, 2 camicie nere e 8 lavoratori civili[63].

 

La cellula comunista di Pesaro

Non partecipa al generale consenso per la guerra la cellula comunista che, all’inizio del 1935 si è riorganizzata a Pesaro (tra S. Pietro in Calibrano e lo stabilimento Montecatini): ne fanno parte Valentino Amadori, iscritto al partito fascista e fiduciario provinciale del sindacato degli operai metallurgici, Oliviero Mattioli, Pompilio Fastiggi, Nazzareno Vichi e altri[64].

La nuova cellula prepara anche volantini contro la guerra d’Etiopia, che vengono lasciati in diverse zone della fabbrica Montecatini il 3 ottobre 1935. La polizia comunque riuscì, grazie alle informazioni raccolte da due infiltrati, a smantellare rapidamente la cellula e tutti gli affiliati furono arrestati tra il gennaio e il febbraio del 1936. Il 15 marzo 1937 il Tribunale Speciale comminerà pene durissime: 16 anni ad Oliviero Mattioli, 14 a Fastiggi 10 a Giovanni Serafini 10, 5 ad Alfonso Tomasucci e ad Alfredo Arceci. Valentino Amadori si era nel frattempo suicidato in carcere, ai primi di giugno del 1936[65].

 

Le leggi razziali

Nell’estate del 1938 fu orchestrata dalla stampa nazionale una violenta (e vergognosa) campagna antisemita, in cui si distinsero anche i quotidiani locali L’Ora (giornale fascista della provincia) e Il Resto del Carlino[66].

Nell’agosto, prima che fossero ufficialmente emanate le leggi razziali (17 novembre), venne avviato il censimento degli ebrei  e dei loro beni[67]. Gli ebrei residenti in provincia  erano in tutto 119: 55 a Pesaro, 34 ad Urbino, 14 a Fano, 13 a Pergola, uno a Mercatello, uno a Fermignano ed uno ad Orciano[68].

Con il RDL 1728 del 17 novembre 1938 entrarono in vigore le leggi razziali. Furono interdetti dalle scuole della provincia due insegnanti elementari pesaresi e vennero allontanati dall’insegnamento nell’Università di Urbino i professori Renato Treves, Cesare Musatti ed Isacco Sciacky[69].



[1]L. CICOGNETTI, Polizia e sovversivi. Luoghi, episodi e soggetti dell'illegalità antifascista (1922-1927), in  in P. Sorcinelli (a cura di), "Marginalità, spontaneismo, organizzazione 1860-1968. Uomini e lotte nel Pesarese", Pesaro 1982, pp. 51-67, a pag. 55.

[2]Telegramma n. 3854/6/M  del 5.2.1923 del prefetto Cottalasso al Ministero dell’Interno, pubblicato in M. MILLOZZI, Il fascismo marchigiano nei fondi dell’A.C.S. 1922/1925, Urbino, 1977, doc. XVI, p. 140. Si erano allontanati dalla provincia dopo la marcia su Roma Sante Barbaresi ed Egisto Cappellini di Pesaro e Domenico Gasperini di Urbino.

[3]Telegramma n. 4154 (6) (Ge) dell’8.2.1923 del prefetto Cottalasso al Ministero dell’Interno, pubblicato in Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. XVII p. 141.

[4]P. GIANNOTTI, Le origini del fascismo a Pesaro 1920-1923, in AAVV, “Pesaro-Urbino dall'Unità alla Resistenza”, Urbino 1975, pp. 203-249, a pag. 242. Erano retti da commissari prefettizi 37 dei 74 comuni della Provincia e lo stesso consiglio provinciale.

[5]Giannotti, Le origini, pp. 231-232.

[6]Giannotti, Le origini, p. 232.

[7]Giannotti, Le origini, p. 232.

[8]R. CERONI, Popolari e fascisti a Pesaro (1919-1929). Appunti per una ricerca, in in AAVV, "La provincia di Pesaro e Urbino nel regime fascista. Luoghi, classi e istituzioni tra adesione e opposizione", Ancona 1986, pp. 209-239, a pag. 237.

[9]Giannotti, Le origini, pp. 233-235; Ceroni, Popolari e fascisti, p. 238. Solo a Fano e a Mondolfo i Popolari aderirono alla lista Fascista-liberale. I Popolari fanesi sarebbero usciti dalla maggioranza nel novembre 1924 (E. SANTINI, Fano 1926-1931. Cattolici e comunisti fra persecuzione e opposizione, in AAVV, “Pesaro-Urbino dall'Unità alla Resistenza”, Urbino 1975, pp. 251-283, alle pagg. 257-258).

[10]Giannotti, Le origini, pp. 236-238.

[11]P. GIANNOTTI e E. TORRICO, Le scelte politiche dell’amministrazione provinciale  di Pesaro e Urbino, in A. Varni (a cura di), “La Provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento”, tomo II, Venezia 2003, pp. 579-757, a pag. 606. Interessanti informazioni su vita interna del PNF pesarese (e contrasti tra Riccardi e un certo Mario Busetta, che il Ministero dell’Interno raccomandava per un posto alle elezioni provinciali, nei documenti LXXIII, LXXIV, LXXV, LXXVI, LXXVII pubblicati da Millozzi, Il fascismo marchigiano, pp. 209-218.

[12]Telegramma n. 12595 del 6.5.1923 del prefetto Cottalasso al Ministero dell’Interno, in Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. LXXVIII, p. 219. In realtà la percentuale dei votanti a Pesaro era stata inferiore al 50%.

[13]Il lungo ed interessante rapporto è pubblicato in Giannotti, Le origini, pp. 242-249 e in Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. LXXIX, pp. 220-229.

[14]In Millozzi, Il fascismo marchigiano, p. 228.

[15] Rapporto del prefetto Cottalasso al Ministero dell’Interno, 19 giugno 1923, in Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. LXXX, pp. 230-232 (L’avv. Rossi accusa il Riccardi di essere troppo impulsivo e personalista e di non essere sereno ed avvenuto nei rapporti con gli altri partiti nazionali, creando malintesi e disagi che non hanno ragione di essere… Certo è contor il Riccardi si vanno acuendo ostilità e avversioni, sia nel campo fascista e sia nella parte seria e autorevole della popolazione).

[16]Vds. Letterau del 16 giugno 1923, in Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. LXXXI, p. 233.

[17]Vds. Millozzi, Il fascismo marchigiano, parte terza, docc. LXXXII (28 giugno 1923), LXXXIII (29 giugno 1923), LXXXIV (2 luglio 1923), LXXXV (8 luglio 1923), LXXXVI (8 luglio 1923).

[18]S. GIULIETTI, Fascio, fascisti e antifascisti. Fossombrone 1919-1929, in in AAVV, "La provincia di Pesaro e Urbino nel regime fascista. Luoghi, classi e istituzioni tra adesione e opposizione", Ancona 1986, pp. 11-77, a pag. 28; vds. anche Millozzi, Il fascismo marchigiano, nota 3 p. 243.

[19]Rapporto del prefetto Cottalasso al Ministero dell’Inteno del 1 dicembre 1923, in Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. XC, pp. 243-246.

[20]Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. CVIII, . 265.

[21]Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. CIX, p. 266.

[22]Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. CX, p. 267.

[23]Millozzi, Il fascismo marchigiano, doc. CXI, p. 268.

[24]Ceroni, Popolari e fascisti, p. 230.

[25]Ceroni, Popolari e fascisti, p. 230.

[26]Cicognetti, Polizia e sovversivi, pp. 56 e 67.

[27]P. GIANNOTTI, Pesaro contro: 1930-35, in AAVV, “Pesaro contro il fascismo (1919-1944)”, Urbino 1972, pp. 83-112, a pag. 96:  “Nel febbraio 1921 la federazione provinciale comunista aveva ben 1500 iscritti, 53 sezioni aperte… Questi gruppi avevano cercato con grande coraggio di far fronte allo squadrismo fascista; e anche le successive ondate repressive erano state in parte arginate; non a caso, nel dicembre 1925, era stato scelto proprio Pesaro come sede per il III congresso interprovinciale marchigiano: allora gli iscritti in tutta la provincia erano 209. Via via gli iscritti, duramente provati, erano venuti calando e ormai ogni struttura organizzativa eraspazzata via, rimanevano alcuni collegamenti individuali, personali, la solitaria fedeltà ad un ideale, ma le persecuzioni, le discriminazioni, la demoralizzazione avevano avuto la meglio”.

[28]E. SANTINI, Fano 1926-1931. Cattolici e comunisti fra persecuzione e opposizione, in AAVV, “Pesaro-Urbino dall'Unità alla Resistenza”, Urbino 1975, pp. 251-283, a pag. 264. Dichiarazioni omesse, false o incompiute erano punite con la reclusione dei capi dell'associazione  e lo scioglimento della stessa.

[29]Santini, Fano, p. 262; G. MARI, Guerriglia sull’Appennino, Urbino 1965, p. 57.

[30]Bianchini, Cronologia, p. 1230.

[31]G. BERTOLO, Fascio e fazioni a Pesaro nella carta del regime, in AAVV, “Società, fascismo, antifascismo nel Pesarese (1900-1940)”, Pesaro 1980, pp. 79-97, a pag. 81.

[32]Bertolo, Fascio e fazioni, p. 81.

[33]Bertolo, Fascio e fazioni, pp. 81-82.

[34]Mussolini, "Discorso dell'Ascensione", 26 maggio 1927.

[35]MARTUFI G., La riforma amministrativa del 1927 ed il nuovo assetto demografico e territoriale della provincia di Pesaro e Urbino, in Bianchini A. - Pedrocco G., "Dal tramonto all'alba. La Provincia di Pesaro e Urbino tra Fascismo, guerra e ricostruzione", Bologna 1995, pp. 137-158. a pag. 141.

[36]Martufi, La riforma amministrativa, p. 154. Un primo studio per la revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni della provincia, ben più radicale, rimase sulla carta, anche per il vespaio di polemiche che suscitò: in questa ipotesi il loro numero sarebbe stato di soli 23 (vds. Martufi, La riforma amministrativa, pp. 149-153).

[37]Martufi, La riforma amministrativa, pp. 153 e 154; vds. anche carta n. 3 p. 157. I comuni annessi a Pesaro (Fiorenzuola, Pozzo, Ginestreto, Candelara, Novilara), Scavolino e Sorbolongo non saranno ricostituiti nel Dopoguerra.

[38]Giannotti-Torrico, Le scelte politiche, pp. 624-625.

[39]Mari, Guerriglia sull’Appennino, p. 58.

[40]L. CICOGNETTI, Polizia e sovversivi. Luoghi, episodi e soggetti dell’illegalità antifascista (1922-1927, in P. Sorcinelli (a cura di), “Marginalità, spontaneità, organizzazione 1860-1968 uomini e lotte nel Pesarese”, Pesaro 1982, pp. 51-68, a pag. 56.

[41]GIOVANNINI P., Politica e società negli anni del fascismo. Appunti di ricerca, in A. Bianchini A e G. Pedrocco, "Dal tramonto all'alba. La Provincia di Pesaro e Urbino tra Fascismo, guerra e ricostruzione", Bologna 1995, pp. 113-136, pp. 114-118.

[42]Giannotti-Torrico, Le scelte politiche, p. 628; Giovannini, Politica e società, pp. 118-121. Vds. anche ivi,. p. 114: “Tale evento, i cui contorni non sono ancora completamente delimitati, rappresenta un fondamentale cesura nella storia del fascismo provinciale, che tuttavia sfocia in un parziale, e neppure irreversibile, cambiamento ai vertici del nucleo dirigente, con la sostituzione o la messa in mora di diversi 'riccardiani' dai posti di comando".

[43]Giannotti-Torrico, Le scelte politiche, p. 629. I disoccupati passarono,dal 1930 al 1934, da 1359 a 8621 unità.

[44]L. CICOGNETTI e P. GIOVANNINI, Tra due processi. Itinerari e strategie dell’antifascismo pesarese negli anni trenta, in in AAVV, "La provincia di Pesaro e Urbino nel regime fascista. Luoghi, classi e istituzioni tra adesione e opposizione", Ancona 1986, pp. 79-154, a pag.  114.

[45]PREZIOSI E., Resistenza e mondo cattolico nel pesarese, in Bianchini A. - Pedrocco G., "Dal tramonto all'alba. La Provincia di Pesaro e Urbino tra Fascismo, guerra e ricostruzione", vol. II, Bologna 1995, pp. 73-86, alle pagg. 74-75.

[46]Bertolo, Fascio e fazioni, pp. 91-92.

[47]Mari, Guerriglia sull’Appennino, p. 59.

[48]Cicognetti-Giovannini, Tra due processi, p. 144.

[49]Mari, Guerriglia sull’Appennino, p. 60.

[50]Cicognetti-Giovannini, Tra due processi, p. 145; P. GIANNOTTI, Pesaro contro: 1930-35, in AAVV, “Pesaro contro il fascismo (1919-1944)”, Urbino 1972, pp. 83-112, a pag.  96. La rete comunista nella provincia, che contava nel 1921 53 sezioni e 1500 iscritti, era stata spazzata via da aggressioni e persecuzioni legali e illegali effettuati da forze di polizia e squadristi negli anni precedenti.

[51]Giannotti, Pesaro contro, p. 97.

[52]Giannotti, Pesaro contro, p. 98.

[53]Giannotti, Pesaro contro, p. 100.

[54]Cicognetti-Giovannini, Tra due processi, pp. 79-81.

[55]Cicognetti-Giovannini, Tra due processi, p. 105.

[56]Giannotti, Pesaro contro, p. 102.

[57]L.F. ERCOLANI, Adele Bei: una donna contro il fascismo, in AAVV, “Società, fascismo, antifascismo nel Pesarese (1900-1940)”, Pesaro 1980, pp. 21-34.

[58]G. FLORI, Alla conquista dell’Africa Orientale (cronache pesaresi, 1935-1936), in AAVV, “Società, fascismo, antifascismo nel Pesarese (1900-1940)”, Pesaro 1980, pp. 99-116, a pag. 100: “Le onoranze ad Antonio Cecchi – utilizzato ora strumentalmente dal regime fascista a 39 anni dalla morte come “pioniere della civiltà in Africa” e precursore dell’Impero – trovano la loro massima espressione nei giorni 19 e 20 ottobre con due solenni celebrazioni al Teatro Rossini e con l’inaugurazione di una mostra dei suoi cimeli in un salone del Palazzo del Governo. Patriottiche dimostrazioni animano la città ogni volta che un contingente di volontari o di lavoratori della provincia o un reparto del 2° Reggimento di artiglieria da campagna di stanza a Pesaro sono in partenza per l’Africa Orientale”.

[59]Flori, Alla conquista, pp. 102-103.

[60]Flori, Alla conquista, p. 103.

[61]Cicognetti-Giovannini, Tra due processi, p. 120

[62]Flori, Alla conquista, pp. 107-108,

[63]Bianchini, Cronologia, p. 1237.

[64]Giannotti, Pesaro contro¸ pp. 106-107; Cicognetti-Giovannini, Tra due processi, p. 125.

[65]Giannotti, Pesaro contro, p. 109; Cicognetti-Giovannini, Tra due processi, pp. 121-130.

[66]A. BIANCHINI, La persecuzione razziale nel Pesarese, 1938-1944, in R.P. Uguccioni, “Studi sulla comunità ebraica di Pesaro”, s.l. (OGM), 2003, pp. 94-127, a pag. 99.

[67]Bianchini, La persecuzione razziale, pp. 96-97.

[68]Bianchini, La persecuzione razziale, p. 100.

[69]Bianchini, La persecuzione razziale, p. 104.