Capitolo I

 

Preistoria e Protostoria

 

 

Le fasi in cui viene tradizionalmente suddivisa la Preistoria non sono documentate, nel territorio della nostra provincia, da adeguati ritrovamenti. E' possibile tuttavia delineare un quadro attendibile della successione delle varie culture integrando le informazioni fornite dai materiali rinvenuti con quelle delle regioni vicine (Abruzzo e Romagna), meglio conosciute. Va comunque sottolineato che non vi furono zone sfavorevoli all'insediamento nella nostra provincia  e, anzi, in certi luoghi, le condizioni ambientali erano particolarmente accoglienti.

 

Il Paleolitico

La Preistoria, il periodo più antico della storia dell'uomo, comprende i periodi del Paleolitico (età della pietra antica), del Mesolitico (età della pietra di mezzo) e del Neolitico (età della pietra nuova). Il primo è diviso in tre fasi: inferiore, medio e superiore.

Scarsamente rappresentato nella nostra provincia il Paleolitico inferiore, che inizia 1.500.000 anni fa in Europa (circa mezzo milione di anni prima in Africa) e termina circa 120.000 anni fa (interglaciale riss-wurmiano): è caratterizzato dall'uso di strumenti litici dapprima rozzamente scheggiati, poi più evoluti. Un progresso notevole si ebbe agli inizi del periodo glaciale Riss (300.000-120.000 anni fa), quando si diffonde la tecnica levalloisiana grazie alla quale vengono compiuti notevoli progressi nella lavorazione litica. Appartiene a questo periodo la frequentazione umana del territorio di Gabicce, dove sono stati rinvenuti, in una zona  a valle del ponte del metanodotto, sul Conca, oltre a resti di mammiferi grandi (orso bruno, elefante, rinoceronte, bisonte, cervo, ecc.) e piccoli (arvicola e castoro), tipici di un ambiente freddo, ma non troppo rigido, manufatti litici, in selce e fnatite[1].

Altri rinvenimenti, riferiti al periodo acheuleano o a quello clactoniano, sono quelli di Isola di Fano (torrente Tarugo) e Calcinelli (fiume Metauro): non si tratta di resti di insediamenti ma di materiale trovato negli strati alluvionali di corsi d'acqua[2].

Il Paleolico medio (musteriano) interessa l'ultima fase del periodo precedente la glaciazione di Wurm e il primo periodo di tale glaciazione (orientativamente da 120.000 a 40.000 anni fa). Reperti di tale periodo sono stati reperiti ad Ancona, a S. Lorenzo in Campo, a Torrette di Fano e in Romagna (Riccione, Misano Adriatica e Cattolica)[3].

Si deve ricordare che molti depositi di questo periodo sono presumibilmente irraggiungibili perché ricoperti dalle acque dell'Adriatico: durante l'ultima grande glaciazione il livello del mare era infatti almeno un centinaio di metri più basso di quello attuale e la linea di costa si trovava tra le attuali città di Pescara e Zara (Dalmazia). Al posto del mare quindi, a est delle attuali coste della nostra provincia, si estendeva una vasta pianura alluvionale[4].

L'ultima fase del Paleolitico, appunto "inferiore", si estende da 40.000 a circa 10.000 anni fa, interessa il periodo finale della glaciazione di Wurm e si caratterizza per la specializzazione dell'industria litica, per l'affermarsi delle pratiche funerarie, per le prime manifestazioni dell'arte rupestre e per lo sviluppo della lavorazione di osso e corno[5]. 20.000-17.000 anni fa, con la fine della glaciazione, aumentò la temperatura, si fusero parte delle calotte glaciali e molti ghiacciai e si verificò un consistente innalzamento del livello del mare. La pianura tra l'attuale costa italiana e quella dalmata fu progressivamente sommersa dal mare e, circa 5.000-6.000 anni fa, il livello del mare si stabilizzò all'incirca ai livelli attuali[6]. Questo periodo è testimoniato, nella nostra provincia, dai rinvenimenti litici di Monte Giove[7], Calcinelli di Saltara[8] e Isola di Fano[9].

 

Il Neolitico

Al Mesolitico, fase di transizione iniziata intorno all'8.300 a.C., scarsamente rappresentato nella nostra provincia, segue il Neolitico, età in cui si formano e progressivamente diventano sedentari i primi gruppi di agricoltori e allevatori: l'uomo, che prima si era basato per la propria sopravvivenza esclusivamente sulla caccia, sulla pesca e sulla raccolta, ora coltiva specie vegetali (frumento, orzo, miglio, legumi...) e alleva animali domestici (maiale, capra, pecora, bue)[10]. Nascono i primi villaggi e si fanno attivi i commerci. Si costruiscono oggetti d'ossidiana, diventano sempre più rifiniti gli oggetti in pietra, si impongono manufatti in ceramica[11]. Il passaggio a questo tipo di economia si può datare per le Marche intorno alla metà del V millennio a.C.

Anche questo periodo non è adeguatamente documentato nella Provincia. La "Cultura della Ceramica Impressa", che caratterizza il Neolitico inferiore dalle Marche (Ripabianca di Monterado, Maddalena di Muccia) alla Romagna (Misano Adriatica, Imola), dovette però essere diffusa anche nella nostra zona[12], nella quale è invece attestata (ritrovamenti di S. Biagio, presso Fano, e in altri luoghi della provincia)[13], la successiva "cultura di Ripoli"[14].

 

La prima Età dei Metalli: Età del Rame e Età del Bronzo

L'Eneolitico, o età del Rame, inizia intorno al 3.000 a.C ed è caratterizzato dalla diffusione della tecnologia, appunto, di questo metallo, che si diffonde, nel corso del III millennio a.C., in italia dall'area nord-danubiana, probabilmente portata da genti immigrate attraverso le Alpi[15]; dalla loro fusione con le popolazioni agricole preesistenti presero origine nuove culture, tra cui quella detta di Conelle (dal nome della località presso Arcevia in cui ne furono individuati per la prima volta gli aspetti tipici)[16], diffusa dalla Romagna alle Marche meridionale[17].

Nei primi secoli del II millennio a.C. fu introdotta quindi in Italia una nuova tecnica metallurgica, quella del bronzo: in questi secoli si afferma, anche nel territorio della nostra provincia, la Cultura Appenninica, che interessa una zona molto ampia, dalla Calabria all'Emilia e che viene suddivisa nel periodo "Protoappenninico" (1800-1600 a.C., corrispondente al "Bronzo antico"), "Appenninico" (1600-1300 a.C.. periodo del "Bronzo medio") e "Tardoappenninico" (1300-1000 a.C., che si estende nel cosiddetto "Bronzo recente" - 1300-1200 a.C. -  e in buona parte del "Bronzo finale" - 1200-900 a.C.)[18].

I rinvenimenti archeologici e i resti faunistici testimoniano un'economia propria di pastori seminomadi o di gruppi aventi economia mista agricolo-pastorale, che si riparavano in caverne o si raggruppano in villaggi di capanne in prossimità di sorgenti e che effettuavano spostamenti limitati da monte a valle e viceversa[19]. Fiorirono anche le attività artigianali e commerciali. Nella fase culturale Tardoappenninica, detta anche Subappenninica, assistiamo ad un riequilibrio tra attività pastorali ed agricole e alla sedentarizzazione delle comunità pastorali in aggregati stabili. Questa nuova fase è dovuta a mutamenti climatici o all'emigrazioni di genti dal Settentrione[20].

Gli stanziamenti riferentisi a tale cultura sono quelli di Monte S. Croce, presso Sassoferrato[21], Furlo (Grotta del Grano), torrente Arzilla presso Fano[22], Chiaruccia di Fano[23].

Intorno al 1200-1000 si passa progressivamente alla Cultura Protovillanoviana, contemporanea della Subappennica, con cui inizia sostanzialmente l'Età del Ferro[24]: diffusa dall’XII alla metà del IX sec. a.C. Possiamo ricordare per tale cultura gli insediamenti di Monte Aquilone di Perticara, Monte S. Marco di Monte Copiolo, Monte Croce Guardia presso Arcevia, Ghetto di Conca presso S. Giovanni in Marignano e Misano Adriatico[25].

Questi secoli furono caratterizzati da movimenti di popolazioni e videro la progressiva differenziazione delle popolazioni che sarebbero comparse nella successiva età del Ferro.

 

L’Età del Ferro

L'Età del Ferro, che inizia intorno al X-IX secolo, non presenta in Italia una facies unitaria ma si articola in varie culture regionali che, nella nostra zona, sono quelle picena, umbra e gallica. Dobbiamo inoltre ricordare gli influssi che giunsero dal mare: il traffico commerciale tra la Grecia e l'alto Adriatico, in particolare verso i centri commerciali di Adria e Spina, interessò in qualche modo, dalla fine dell'VIII sec. a.C., anche la nostra costa, le cui località erano sulla rotta seguita dalle navi (che attraversavano l'Adriatico tra Zara e Ancona e raggiungevano quindi Adria navigando sottocosta)[26]. Uno dei prodotti più richiesti in Italia era la ceramica pregiata, tra cui particolarmente importante era quella attica, rinvenuta in diversi luoghi della nostra provincia. Sicuramente utilizzati gli scali di Rimini[27], S. Marina di Focara[28], Pesaro[29], Fosso Sejore[30], torrente Arzilla (a poche centinaia di metri dal luogo ove sarebbe sorta la colonia romana di Fanum Fortunae)[31]. Dalla costa poi i traffici risalivano lungo le vallate dei fiumi appenninici, così che frammenti di ceramica sono stati rinvenuti in varie località della provincia o nelle immediate vicinanze (Montefiore Conca, Montecchio di S. Angelo in Lizzola, Sestino, Monte Aguzzo, Monte Raggio, Urbino)[32].

Una vera e propria occupazione, da parte di mercanti greci, di località della costa (immediatamente a sud della nostra provincia) si ebbe nel V e nel IV secolo, quando furono fondate da mercanti siracusani Ancona[33] e Numana[34].

 

La civiltà picena: il territorio

La nostra provincia si presenta, dal IX al IV secolo a.C., come estremo lembo della civiltà picena che confina a nord con la contemporanea Villanoviana, diffusa in Emilia orientale e in Romagna: i suoi limiti erano il fiume Foglia (a nord),  il mare Adriatico (ad est), il fiume Aternus (Pescara, a sud), gli Appennini (ad ovest)[35].

L'area, che non coincide perfettamente né con le Marche attuali (che si estendono anche a nord del Foglia e non occupano invece il territorio ora abruzzese) né con la regione storica del Picenum (che, come vedremo, non si estendeva a nord del fiume Esino)[36], non era politicamente unificata: la presenza di una serie di vallate parallele e non sempre comunicanti l'una con l'altra impediva il superamento dell'organizzazione  tribale, che rimarrà caratteristica dei Piceni fino all'invasione gallica e alla conquista romana[37].

Nella nostra provincia, oltre a Novilara, dove sono state rinvenute due importantissime necropoli (secoli VIII-VI a.C.)[38], possiamo ricordare anche i rinvenimenti presso la costa a Pesaro[39], nei pressi di Fano[40] e a S. Costanzo[41]; all'interno ad Urbino, Canavaccio di Urbino, S. Stefano di Gaifa, fiume Metauro[42].

 

L’origine della popolazione picena

Se c'è sostanziale accordo sulle componenti etniche alla base del popolo piceno, ci sono opinioni diverse su una precisa attribuzione: in realtà con il termine "piceno"[43] si indica non tanto un popolo etnicamente omogeneo, ma una civiltà propria di un'area geografica in cui convivevano gruppi aventi origine e lingua diverse[44].

La questione dell'origine è comunque abbastanza complessa e le opinioni in riguardo sono contrastanti. Secondo diversi autori antichi i Piceni sono sorti dai Sabini voto vere sacro: apparterrebbero quindi alle popolazione "italiche" e, in particolare, al gruppo "osco-umbro"[45].

Alcuni studiosi sottolineano invece l'origine illirica di tale popolazione (o considerano predominante in essi tale componente). Ciò sarebbe dimostrato da affinità di ritrovamenti archeologici tra le due sponde dell'Adriatico[46], da un passo di Plinio e dalle Tabulae Iguvinae, che menzionano, come confinante con gli Umbri, il popolo dei Japuzkus (e tale termine va messo in relazione con popolazioni illiriche quali gli Japyges di Puglia e gli Japodes dell'Istria)[47].

Altri, pur non potendo negare la presenza di apporti vari, li considerano autoctoni (o considerano prevalente tale componente), dato che vari aspetti della loro civiltà richiamano la cultura protovillanoviana e appenninica[48].

E' innegabile comunque la presenza delle tre sopra menzionate componenti (transadriatica, protovillanoviana, appenninica) in questa civiltà, fuse insieme in modo originale[49].

 

Lo svolgimento della civiltà picena

Secondo l'ormai classica suddivisione di Delia Lollini, la civiltà picena può essere suddivisa in sette diverse fasi culturali: Piceno I (IX secolo a.C.), i cui rinvenimenti sono concentrati prevalentemente sulla costa, a sud del fiume Esino[50]; Piceno II (VIII sec. a.C.), attestato anche a nord dell'Esino fino al Foglia, alla cui fase appartiene la necropoli di Novilara[51]; Piceno III (dall'inizio del VII secolo a.C. agli anni 590-580 a.C.), la cui area di diffusione coincide sostanzialmente con quella precedente e che interessa sempre la necropoli di Novilara[52]; Piceno IV A e B (fino al primo quarto del V secolo a.C.: il primo è attestato da materiale sporadico quasi esclusivamente a nord dell'Esino, il secondo da materiale rivenuto a sud di tale fiume)[53]; Piceno V (fino agli inizi del IV sec. a.C.), caratterizzato da testimonianze a nord dell'Esino[54]; Piceno VI (fino al 295 circa a.C.), in cui progressivamente si dissolve la civiltà picena[55]. Essa, a dire il vero, nella zona costiera della nostra provincia si era già dissolta con l'invasione gallica (a sud dell'Esino i Picenti furono sconfitti dai Romani nel 268 a.C.; nella zona interna della provincia essi furono progressivamente assorbiti o sostituiti, in tempi e modi non individuabili, dagli Umbri).

 

I Siculi, i Liburni, gli Umbri e gli Etruschi

La questione della presenza degli Umbri nella zona interna della nostra provincia non è in discussione: in età romana il territorio transappenninico della VI regio (corrispondente grosso modo al territorio della nostra provincia, di quello di Ancona a nord del fiume Esino e di alcuni centri del Maceratese e della Romagna) era formata dall'Ager Gallicus (zona costiera in cui si erano un tempo insediati i Galli Senoni) e dalla zona interna abitata da Umbri, dediti prevalentemente alla pastorizia e allo sfruttamento delle risorse dei boschi[56].

Più complessa la situazione della zona costiera, dove Plinio il Vecchio ricorda il successivo insediamento di più popoli: Siculi et Liburni eius tractus (scil. la zona adriatica della VI regio, l'ager Gallicus) tenuere, in primis Palmensem, Praetutianumque Hadrianumque agrum. Umbri eos expulere, hos Etruria, hanc Galli[57]. In pratica l'autore latino ipotizza il passaggio in epoca protostorica, nella zona costiera della nostra regione, di cinque popolazioni: Siculi e Liburni; Umbri; Etruschi; Galli.

I Siculi sono i futuri abitanti della Sicilia che, linguisticamente, secondo alcuni autori, appartenevano (come il latino ed altre parlate minori) ad un ramo dell'indeuropeo distinto da quello osco-umbro (italico)[58]. Il passaggio di Siculi attraverso l'Italia è ricordato anche in passi di altri autori: Dionigi di Alicarnasso ricorda i Siculi in Etruria e afferma che gli Umbri cacciarono i Siculi, detti Liguri, dall'Adriatico[59]; Festo menziona la presenza di Liguri e Siculi nel Lazio[60].

I Liburni sono, per quanto ne sappiamo, popolazioni di origine illirica  provenienti dai Balcani. In età romana la Liburnia era posta lungo la costa dell'Illiria fra i fiumi Arsia (Arsa) e Titius (Kerka), dei quali il primo la separava dall'Istria, il secondo dalla Dalmazia. Il territorio era poco fertile e gli abitanti si dedicavano al commercio e alla navigazione con le loro velocissime navi (Liburanae o Liburnicae). Plinio potrebbe quindi alludere a antichi stanziamenti di tali popoli  sulle coste della futura regio VI[61].

Siculi e Liburni pertanto, potrebbero indicare due popoli confluiti in quello "piceno", che non fu mai unito linguisticamente, politicamente ed etnicamente: i primi potrebbero rappresentare la componente protovillanoviana presente in esso, i secondi quella transadriatica[62].

Se abbiamo identificato in tal modo Siculi e Liburni, dobbiamo anche identificare gli Umbri menzionati da Plinio non con gli Umbri protostorici (popolo preindeuropeo coevo a quello Etrusco)[63] ma con quelli storici, appartenenti al gruppo "osco-umbro", che avrebbero invaso l'Italia in epoca successiva alla prima invasione indoeuropea ("latino-siculi"). La presenza di Umbri nella zona costiera tra Ancona e Ravenna è confermata da vari storiografi greci[64], dal Periplo dello Pseudo-Scilace, del IV sec. a.C., e da Strabone, che comprende nell'Umbria Ravenna, Sarsina, Rimini, Sena e Camerino; chiama inoltre Ravenna e Rimini "città umbre"[65]. Anche Livio, parlando della successiva invasione celtica, ricorda che Boi Lingonesque... non Etruscos modo, sed etiam Umbros agro pellunt[66].

Non erano però, per le fonti antiche, perfettamente distinguibili le popolazioni umbre e quelle appartenenti allo stesso raggruppamento (Osco-Umbri), e pertanto non si può neanche escludere che le nostre fonti identificassero gli Umbri costieri con quel coacervo di popolazioni culturalmente omogenee ma etnicamente variegate, alcune delle quali appartenenti al ceppo indoeuropeo, chiamate "Piceni". Tuttavia un'occupazione dell'area costiera è possibile se messa in relazione con la parallela espansione degli Etruschi nella Pianura Padana nel secolo VI a.C. E' probabile che collegati a questo popolo, o anche indipendentemente da esso, gruppi più o meno numerosi di Umbri siano scesi fino all'Adriatico, lungo il quale commercianti greci avevano individuato luoghi di sosta e di approdo. Una suddivisione della civiltà picena in due area (IV A e B) in questo periodo potrebbe quindi essere posta in relazione con una maggiore influenza della cultura e delle popolazioni umbre, almeno nella zona a nord dell'Esino[67].

Non abbiamo infine elementi per confermare la presenza degli Etruschi nella nostra zona, unicamente attestato dal passo pliniano; essi comunque frequentavano la zona delle foci del Po, dove erano attivi gli importanti empori di Adria e Spina.

Sono stati trovati, in un abitato piceno presso S. Costanzo, un fondo di piatto e uno di ciottola recanti graffiti alfabetici etruschi (presumibilmente provenienti dall'Etruria padana), datati  nei secoli V-IV a.C. (concomitanti quindi all'invasione dei Senoni) e giunti forse tramite commercio[68].

Altri rinvenimenti (un elmo e un frammento di dolio a Suasa, una stele bilingue a Pesaro) si riferiscono presumibilmente a Etruschi presenti in loco dopo l'occupazione romana della nostra provincia o a materiale qui pervenuto per razzia o commercio[69].

 

L’invasione dei Senoni

Secondo la cronologia più seguita dagli storiografi, i Celti attraversarono le Alpi, in un arco di tempo molto esteso, ad ondate successive a partire dal 600 circa a.C.[70]. Il periodo in cui riuscirono ad ottenere i massimi successi, che li porterà ad occupare buona parte della Pianura Padana, si può comunque circoscrivere alla fine del V secolo - inizio del IV. Su tempi e modi dell'invasione, comunque, c'è discordanza sia nelle fonti sia tra gli storiografi contemporanei.

La fase finale dell'invasione, che interessò anche la nostra provincia, in cui si stanziò (nella costa tra i fiumi Utens e Aesis) una tribù gallica, i Senoni, recentissimi advenarum secondo Livio[71], si può datare all'inizio del IV secolo a.C. Anche le fonti archeologiche sostanzialmente confermano la cronologia, dato che le tombe più antiche rinvenute di tale popolo possono essere datate nel secondo quarto o alla metà del IV secolo a.C.[72]: scompare da questo momento quindi la civiltà picena dalla zona costiera della nostra provincia; permangono comunque, nella zona interna, nell'alta collina e in montagna, popolazione umbre.

I Senoni, giunti in una zona importante per i collegamenti tra le varie regioni italiane, a ridosso della ricca Etruria, in un'area in cui, grazie ai commerci marittimi, si faceva sentire anche l'influsso greco, ebbero un ruolo di primo piano nelle varie guerre in Italia, anche perché dediti prevalentemente all'attività di mercenari[73]. Al nostro popolo, da una pluralità di fonti antiche, viene tra l'altro attribuita la responsabilità del saccheggio di Roma nel 390 a.C.

 

Il territorio dei Senoni

Il territorio occupato dai Senoni mantenne anche dopo la conquista romana il nome di Ager Gallicus (ma con tale denominazione, come dice Paci, si indicava l'ager occupatorius, il territorio annesso allo Stato Romano nel III secolo a.C., che non coincideva perfettamente con l'ambito geografico dai Senoni occupato)[74].

I limiti settentrionale e meridionale, ricavabili dal passo di Livio sopra ricordato, sono i fiumi Utens (Uso o Montone) e Aesis (Esino), al di sotto del quali si estendeva il Piceno. Il limite occidentale correva con ogni probabilità tra i municipi romani di Ariminum, Pisaurum, Forum Sempronii, Suasa, Ostra, Aesis da una parte (nell'Ager Gallicus) e quelli di Pitinum Pisaurense, Urvinum Mataurense, Pitinum Mergens, Sentinum dall'altro (esclusi da tale territorio)[75].




[1]A. VEGGIANI, La preistoria e la protostoria del territorio di Gabicce tra Romagna e Marche, in N. Cecini (a cura di), "Gabicce: un paese sull'Adriatico tra Marche e Romagna", Gabicce 1986, pp. 19-50, alle pp. 23-25: "La presenza di un megacero e di un equide presuppongono un ambiente aperto e si può ipotizzare la presenza di vegetazione di prateria".

[2]G. BUTI - G. DEVOTO, Preistoria e storia delle regioni d'Italia, Bologna 1974, p. 81. Altri rinvenimenti  dello stesso periodo nelle Marche a San Severino, Tolentino, monte Conero e lungo i greti dei fiumi Nevola, Misa, Musone, Chienti.

[3]Veggiani, Preistoria, p. 25; E. MARTINELLI, Le culture preistoriche nel Pesarese, in AAVV, "Pesaro nell'Antichità", Venezia 1984, pp. 57-61, a pag. 57; Buti-Devoto, Preistoria, p. 81.

[4]Veggiani, Preistoria, pp. 25-26; Martinelli, Le culture, p. 57.

[5]Veggiani, Preistoria, pp. 21-22.

[6]Veggiani, Preistoria, pp. 26; Martinelli, Le culture, p. 57.

[7]L. DE SANCTIS, Il Paleolitico inferiore a Monte Giove di Fano, in "Nuovi Studi Fanesi", 1, 1986, ppp. 43-50: è stata rinvenuta un'amigdala in selce bruno-grigia che "per le caratteristiche tipologiche e tecniche è da attribuire all'acheuleano" (p. 44), cioè all'ultimo periodo del Paleolitico Inferiore.

[8]Martinelli, Le culture, p. 58

[9]De Sanctis, Paleolitico, p. 50: "Per la valle del Metauro sono segnalati rinvenimenti di rari materiali bifacciali e di schegge raccolti in posizione secondaria nel greto del fiume; da un terrazzo fluviale di un suo affluente di destra, il torrente Tarugo, nei pressi di Isola di Fano, proviene un piccolo bifacciale attribuito all'acheuleano".

[10]Veggiani, Preistoria, p. 27; S. ANSELMI, Una storia dell'agricoltura marchigiana, Ancona 1985, pp 8-10.

[11]Veggiani, Preistoria, p. 27.

[12]Veggiani, Preistoria, p. 28. Vds. in particolare il sito di Ripabianca di Monterado, sul Cesano, in prossimità del confine della Provincia di Ancona e di Pesaro, in cui si manifestano influssi provenienti dal Settentrione (molteplici furono le correnti culturali che attraversarono il territorio in questo periodo); l'insediamento è datato al 4150 ca a.C. (Buti-Devoto, Preistoria, p. 82).

[13]Martinelli, Le culture, p. 58: presso Gabicce, lungo l'Arzilla, a Cerasa, Montemaggiore, Orciano, Piagge, Poggio, ecc.

[14]Per quanto possiamo dire dai rinvenimenti archeologici, per tutto questo periodo, sia nel Neolitico superiore sia in quello inferiore, le culture adriatiche si diffondono da sud verso nord espandendosi anche nella Pianura Padana.

[15]Veggiani, Preistoria, p. 34.

[16]Buti-Devoto, Preistoria, p. 83: "In località Conelle presso Arcevia, nel bacino sorgivo del Misa, è venuto in luce un imponente fossato con materiale culturale di riempimento, le cui funzioni originarie dovevano essere di difesa del villaggio. Le capanne erano presumibilmente impostate a fior di terra, perché sono scomparse senza lasciar traccia. L'industria è tipica di pastori: scarse le macine, numerosissime asce-martello, e teste di mazza, pugnali a foglia di salice, cuspidi, alette, punteruoli e spatole in osso, picconi e qualche zappetta in corno cervino. La ceramica, grossolana, oppure più fine a superficie lustra nera o grigiastra, presenta la caratteristica decorazione a fasce di semplici puntini... Tale decorazione ricorrerà nella cultura appenninica. Oltre a ciò, in comune con la cultura di Conelle quella appenninica ha il tratto di comunità pastorale, che si distingue in un ambiente di tradizione agricola".

[17]Veggiani, Preistoria, pp. 34-40; Martinelli, Le culture, p. 58. Reperti individuati a Vescovara (presso Osimo), S. Rocco (presso Monte San Vito), Fontenoce (presso Recanati), Sant'Arcangelo di Romagna, Panighina (comune di Bertinoro), rio Vallugola (presso Gabicce), Fano (campo d'aviazione).

[18]Veggiani, Preistoria, p. 42.

[19]Veggiani, Preistoria, p. 42: "La Cultura Appenninica è pertinente a comunità pastorali perché nei suoi principali insediamenti sono stati individuati strumenti per la lavorazione del latte e dei suoi prodotti. Inoltre si riconoscono in essa abitudini esistenziali determinate dal nomadismo dovuto alla transumanza delle greggi, in particolare capre e pecore".

[20]Veggiani, Preistoria, p. 43.

[21]Buti-Devoto, Preistoria, p. 84.

[22]L. SANCTIS, Un insediamento eneolitico e dell'età del Bronzo alla foce del torrente Arzilla presso Fano, in "Nuovi Studi Fanesi", 3, 1988, pp. 7-19. L'abitato si estendeva sulla riva destra del torrente, a 400 metri dal mare, sullo stesso terrazzo fluivale, elevato di circa 10 m. s.l.m. sul quale sarebbe sorto, circa 800 metri a sud, la colonia di Fanum Fortunae (Ivi, p. 7). E' riferibile alla media e recente età del Bronzo (cultura appenninica e subappenninica, secoli XVI-XII) (Ivi, p. 12).

[23]Veggiani, Preistoria, p. 43; Martinelli, Le culture, p. 59.

[24]Veggiani, Preistoria, p. 42.

[25]Veggiani, Preistoria, p. 43; Martinelli, Le culture, p. 59; P.L. DALL'AGLIO, La viabilità in età romana, in AAVV, "Archeologia delle valli marchigiane Misa, Nevola e Cesano", Perugia 1991, pp. 12-23, a pag. 13. In provincia di Ancona  depositi e insediamenti a Pianello di Genga, Serra San Quirico, Frasassi, colle dei Cappuccini ad Ancona (Buti-Devoto, Preistoria, p. 85).

[26]M. LUNI, Ceramica attica nelle Marche settentrionali e direttrici commerciali, in AAVV, "La civiltà picena nelle Marche", Ripatransone, 1992, pp. 331-363; L. BRACCESI, Lineamenti di storia pesarese in età antica, in AAVV, "Pesaro nell'antichità", Venezia 1984, pp. 3-31, a p. 5: "L'approdo fluviale del Pisaurus si trova in un'area che, in età antica, già a partire dal VI sec. a.C., è stata interessata a una navigazione greca che, dal Conero, dopo la traversata in mare aperto del Medio Adriatico, puntava agli empori della foce del Po, Adria e Spina".

[27]Luni, Ceramica, p. 334.

[28]Luni, Ceramica, p. 331 (metà del V secolo a.C.)

[29]Luni, Ceramica, pp. 332-335 (primi decenni del V sec. a.C.).

[30]M. LUNI, Topografia storica di Pisaurum e del territorio, in AAVV, "Pesaro nell'antichità", Venezia 1984, pp. 109-180.

[31]L. DE SANCTIS, Un insediamento eneolitico e dell'età del Bronzo alla foce del torrente Arzilla presso Fano, in "Nuovi Studi Fanesi", 3, 1988, pp. 7-19, a pag. 13: "Va rivelato come il sito ha restituito anche tracce di una frequentazione successiva all'età del Bronzo. Si sono infatti raccolti pochi frammenti di ceramica a vernice nera che ci sembra vadano interpretati nel senso di una ulteriore riconferma dell'utilizzo della foce del torrente quale scalo di commercianti, in questo caso greci, fornitori dei villaggi piceni posti all'interno sulle colline prospicienti la valle percorsa dal torrente". Vds. anche Luni, Ceramica, pp. 336-340.

[32]Luni, Ceramica, pp. 348-355

[33]Della fondazione parlano Strabone (5, 4, 2: "Ancona (città) greca, fondazione dei Siracusani che rifuggivano la tirannide di Dionisio"), Plinio il Vecchio (III, 13), Pomponio Mela (II, 64). J.F. LEONHARD, Ancona nel Basso Medio Evo, Bologna 1992, p. 24. Su un preesistente abitato piceno vds. Luni, Ceramica, pp. 341-344.

[34]Anch'esso su abitato dell'età del Ferro: Luni, Ceramica, pp. 344-348.

[35]PLINIO, Naturalis Historia, III, 110. D.G. LOLLINI, La civiltà picena, in AAVV, "Popoli e civiltà dell'Italia antica", vol. V, Roma 1976, pp. 107-195, a p. 109: "Invero tutti o quasi gli studiosi hanno concordato sugli Appennini e sul Foglia come limite rispettivamente occidentale e settentrionale, mentre per quello meridionale le opinioni sono state alquanto divergenti, venendo esso di volta in volta fissato al Chienti, al Tronto, al Vomano, al Tardino, al Tavo-Saline e fino ad Alfedena. In realtà non solo le nuove scoperte hanno confermato la diffusione della civiltà picena in parte dell'Abruzzo e precisamente fino all'Aternus, ma rinvenimenti in terra di Romagna (Rimini, S. Marino in Gattara, Russi, ecc.) lascerebbero ipotizzare una sua influenza se non addirittura una sua espansione fuori del confine nord tradizionale". Tale delimitazione dell'area picena è quella più seguita attualmente dagli studiosi, ma non mancano le voci discordanti. Si veda ad esempio P. CAMPAGNOLI, La bassa valle del Foglia e il territorio di Pisaurum in età romana, Bologna - Imola 1999, p. 25: "Giovanni Colonna pensa che già nel tardo VII secolo a.C. gli Umbri avevano dato vita a una subregione culturalmente omogenea, estesa dalla Romagna all'Esino, mentre gli elementi più propriamente medio-adriatici - definizione che egli preferisce al termine piceno - si ritrovano a sud dell'Esino, fiume che sembra così assumere un ruolo di confine ben prima dell'arrivo dei Galli Senoni. Secondo Giovanni Colonna la documentazione epigrafica dimostra che nel corso del VI e V secolo a.C. a Novilara si trovavano genti che non erano né etrusche né umbre, sebbene assimilate culturalmente a questi loro vicini. Queste genti parlavano ancora il proprio antico idioma e vanno identificate con quelli che le fonti antiche chiamano Pelasgi".

[36]Lollini, Civiltà, p. 109.

[37]Lollini, Civiltà, p. 176: "Nella civiltà picena l'ordinamento politico non superò presumibilmente  lo stadio di un organismo tribale sia pure inglobante tutti i villaggi di una stessa vallata, che ci appaiono pertanto accumunati da una maggiore affinità culturale". Non si realizzarono comunque forme di insediamento di tipo urbano.

[38]Per le quali vds. E. MARTINELLI, Novilara e la cultura picena, in AAVV, "Pesaro nell'Antichità", Venezia 1984, pp. 63-89.

[39]Luni, Topografia, pp. 114-135. Vds. anche Luni, Ceramica, pp. 332-335.

[40]G. BALDELLI, Insediamento preromano, in AAVV, "Fano Romana", Fano 1992, pp. 13-22: spada da Osteria del Fosso (VIII sec. a.C.), tomba di Roncosambaccio (VIII a.C.), abitato di Monte Giove (VIII-IV a.C.), Tomba di Ca' dello Spedale (V-IV a.C.), Tomba di Monte Giove - strada del Giardino (V sec. a.C.), Tomba di Falcineto (VIII sec. a.C.), Tomba di via delle Colonne (VI sec. a.C.), punta di giavellotto del Carmine (VIII sec. a.C.). Sull'abitato di Monte Giove si veda anche L. DE SANCTIS, Un abitato dell'età del Ferro presso la sommità del colle di Monte Giove di Fano, in "Nuovi Studi Fanesi", 2, 1987, pp. 7-22: "L'abitato è collocabile nell'ambito delle fasi Piceno IV B e V (fine VI-inizi IV secolo) proposte da D.G. Lollini" (p. 17).

[41]G. BALDELLI, Insediamento preromano, in AAVV, "Fano Romana", Fano 1992, pp. 13-22 (pianta a pag.14): necropoli di San Costanzo (VIII-VII a.C.); abitato di S. Costanzo (VIII-IV a.C.); L. DE SANCTIS, Due graffiti alfabetici etruschi da San Costanzo (Pesaro), in AAVV, "Fano Romana", Fano 1992, pp. 23-26

[42]M. LUNI, Le origini di Urvinum Mataurense. Dall'insediamento protostorico all'oppidum romano, in AAVV, "Studi in onore di Pietro Zampetti", Urbino 1994, pp. 27-30, a pag. 28.

[43]Nel presente capitolo sono stati considerati i termini Piceni e Picenti come sinonimi. Le fonti latine, a dire il vero, distinguono gli abitanti della zona con il termine "Picenti" (la forma greca Pikenòi compare per la prima volta solo in Tolomeo, geografo del II sec. d.C, ma il nome della regione è Picenum). Piceni e Picenti sono lo stesso popolo o due popoli diversi che si insediarono in successione nello stesso territorio? Per Delia Lollini, Civiltà, p. 113, "è evidente che i Picentes d'età romana non erano altro che i discendenti degli abitanti la zona nei secoli precedenti, non essendovi motivo fondato per pensare ad un sostanziale mutamento della fisionomia etnica della popolazione nel corso del IV sec. a.C.". Per G. DEVOTO, Gli antichi italici, Firenze 1931, p. 53, il discorso è completamente diverso: i popoli sono diversi, uno preindeuropeo, l'altro italico: "I Siculi rappresenterebbero l'ala settentrionale dei Protolatini nella costa adriatica. Accanto a costoro due popoli antichi, forse i Liburni (Plinio NH III, 112) e sicuramente gli Asili (Silio Italico, VIII, 443) possono essere considerati come rappresentanti del grande gruppo preindeuropeo adriatico, al quale par giusto dare il nome di Piceni, distinguendoli così dai Picenti, tribù italiche di cui parleremo più sotto".

[44]Per Delia Lollini i Piceni erano una semplice tribù del raggruppamento etnico osco-umbro e solo in un secondo momento il loro nome sarebbe passato a designare l'intera popolazione presente nella zona. Campagnoli, Bassa valle, p. 24: "Le evidenti differenze esistenti  fra la lingua delle stele novilaresi, convenzionalmente definita come nord-picena, e quella delle iscrizioni rinvenute a sud dell'Esino, sono state - e sono tuttora - motivo di dibattito e discussione riguardo l'origine di questa comunità e la sua appartenenza o meno all'ambito etnico e culturale piceno". La tesi della  non appartenenza di Novilara all'ambiente culturale piceno non sembra però sostenibile. Sulla lingua vds. Anche Lollini, pp. 179-180: "Le iscrizioni del gruppo nord-piceno o novilariano differiscono da quelle del gruppo sud-piceno o italico-orientale non soltanto per la lingua ma anche per la cronologia. Infatti l'intero gruppo delle stele di Novilara può essere datato al VII secolo a.C. sulla base sia di caratteri intrinsechi delle stele stesse che al termine ultimo della stessa necropoli, che non può scender oltre gli inizi del VI sec. a.C. Per contro, una distribuzione delle iscrizioni sud-picene a partire dalla metà del VI secolo ha trovato ultimamente conferme. E' inequivocabile l'esistenza tra il primo ed il secondo gruppo, di un divario cronologico di almeno mezzo secolo che, comunque vada valutato, non può essere ignorato... Non va infine dimenticato che nessuna sostanziale differenza è riscontrabile in campo archeologico, a parte la lingua, da nord e sud, come emerge dal confronto tra i corredi delle tombe di Novilara e quelli delle coeve sepolture del territorio al di sotto dell'Esino. Per la qual cosa mi sembra  che se ne debba dedurre che o una preesistente diversità di idiomi non è stata di ostacolo al formarsi di un'unica civiltà o che l'introduzione successiva di una nuova lingua non ha minimamente interferito nello sviluppo della cultura materiale della regione".

[45]La teoria si basa su passi di Sesto Pompeo Festo, Strabone e Plinio, che espressamente ricordano che i Picenti sono discesi dai Sabini per il voto di un ver sacrum: essi sarebbero giunti nella nostra regione guidati da un picchio.  Il Periplo dello Pseudo Scillace inoltre colloca la città di Ancona tra gli Umbri, popolazione affine ai Sabini (perché entrambe appartengono al grande raggruppamento degli Osco-Umbri). Vds. anche Lollini, Civiltà, p. 116 ("Se il nostro passo non è un'errata interpretazione posteriore ma parte integrante del testo originario, le genti che hanno abitato tra il Foglia e il Pescara durante l'età del ferro devono essere appartenute al grande ethnos degli Umbri o meglio degli Umbro-Sabelli, di cui i Piceni-Picentes non sarebbero stati che una semplice tribù periferica, passando il loro nome solo in un secondo momento a designare l'intera popolazione del territorio... Una conferma di quanto detto si avrebbe ... anche nell'origine sabina assegnata concordemente dalla tradizione antica ai Piceni, dal momento che i sabini erano ritenuti una diramazione degli Umbri autoctoni") e Martinelli, Novilara, p. 63:  ("Lo pseudo Scilace non nomina, nel suo periplo, i Piceni, ma parla, dopo Dauni e Sanniti, degli Umbri. Probabilmente in tal modo  egli intendeva riferirsi ai Piceni come appartenenti al gruppo che, modernamente, è designato come osco-umbro-sabino o italico orientale o italico").

[46]Specialmente la ceramica, che talvolta è addirittura identica tra Piceno e abitati "liburnici" (Lollini, Civiltà, p. 159).

[47]Lollini, Civiltà, p. 158.

[48]La componente protovillanoviana è testimoniata da strumenti e oggetti delle tombe della prima fase della civiltà picena, quella appenninica dal rito funebre dell'inumazione: Lollini, Civiltà, p. 121.

[49]Lollini, Civiltà, p. 121.

[50]Lollini, Civiltà, pp. 122-125.

[51]Lollini, Civiltà, pp. 125-130.

[52]Lollini, Civiltà, pp. 130-137.

[53]Lollini, Civiltà, pp. 150-155. Ma vds. Campagnoli, Bassa vallata, p. 24: "A un insediamento piceno sono stati ricondotti anche le strutture e i materiali riportati alla luce nel 1977 nel centro storico di Pesaro, nell'angolo fra via della Galligarie e via Mazza, appena all'interno della cinta muraria di età romana. Sulla base delle indicazioni cronologiche fornite dai numerosi frammenti di ceramica attica e da quella di produzione locale, per lo più inquadrabile nel Piceno IV B e V, la frequentazione di questo abitato sembra iniziare alla fine del VI secolo a.C. e continuare agli inizi del IV secolo"

[54]Lollini, Civiltà, pp. 156-157.

[55]Lollini, Civiltà, p. 157.

[56]Plinio, Naturalis Historia, III, 112, nella descrizione della VI regio evidenzia che essa è composta da Umbria e ager Gallicus: Iungetur his sexta regio Umbriam complexa agrumque Gallicum citra Ariminum. PACI G., Umbria e Agro Gallico a nord del fiume Esino, in Picus, XVI-XVII, pp. 89-118, a pag. 97: "La parte interna della regione, quando i Romani cominciarono ad interessarsi concretamente alle cose al di qua dell'Appennino..., era occupata da una popolazione che le fonti chiamano umbra, suddivisa al proprio interno in comunità più o meno grandi (dei Camertes, dei Sentinates, degli Urvinates Mataurenses, ecc.), caratterizzate ciascuna da una propria identità etnico-culturale". Campagnoli, Bassa valle, p. 33: "Due insediamenti attribuiti agli Umbri sono stati individuati anche al margine nord-occidentale del territorio pesarese e precisamente sulle alture di Monte Faggeto (VI-V secolo a.C.) e di Monte Maggiore (V secolo a.C.), nei pressi di Montefiore Conca, al confine fra le attuali Emilia Romagna e Marche".

[57]Plinio, Naturalis Historia, III, 112.

[58]Devoto, Gli antichi italici, pp. 49-50. Le invasioni indoeuropee d'Italia sarebbero infatti state due, indipendenti l'una dall'altra: la prima dei "latino-siculi", la seconda degli "osco-umbri" (Osci, Umbri, Sabini, Sanniti, Lucani, ecc.).

[59]Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 20 e I, 22.

[60]Sesto Pompeo FESTO, De verborum significatione, p. 424 L, rr. 31-34: Sacrani appellati sunt Reate orti, qui ex Septimontio Ligures Siculosque exegerunt; nam vere sacro nati erant.

[61]Del resto una componente transadriatica nella civiltà picena è sicuramente presente.

[62]Lollini, Civiltà, pp. 164-165.

[63]Plinio, Naturalis Historia, III, 19, 14: Umbrorum gens antiquissima Italiae existimatur, ut quos Ombrios a Graecia putent dictos, quod inundatione terrarum imbribus superfuisset. Trecenta eorum oppida Tusci debellasse reperiuntur. Devoto, Gli antichi italici, pp. 54-5: Il nome Umbri/Umbria "ha una prima corripondenza con quello dei due fiumi Ombrone, di Pistoia e di Grosseto, e con il fiume Ambra. Inoltre Umbria, Umbrana, Umruna, sono nomi di famiglie etrusche. Possiamo anche citare Ambrones (popolo dell'area ligure): nulla  giustifica un legame di questo ultimo nome con gli Umbri storici né tanto meno con uno strato linguistico preetrusco e preindeuropeo".

[64]Erodoto, Teopompo, ripreso dallo pseudo-Scimno, Ellanico e Filisto (riferimenti in Campagnoli, Bassa valle, p. 24).

[65]Campagnoli, Bassa valle, p. 24.

[66]Livio, Ab Urbe condita libri, V, 35, 2.

[67]Veggiani, Preistoria, pp. 46-48 (vds. in particolare a p. 47: "Nelle necropoli e stanziamenti di questo particolare periodo protostorico rinvenuti in Abruzzo, Marche e Romagna sono evidenti i confronti e le connessioni. Confronti evidenti si hanno in proposito tra le fasi IV A e IV B della Cultura Picena illustrate dalla Lollini e la coeva Cultura Umbro-etrusca della Romagna che sta massicciamente emergendo con le più recenti scoperte archeologiche"). Vds. anche Campagnoli, La bassa valle, p. 25: "Giovanni Colonna pensa che già nel tardo VII secolo a.C. gli Umbri avevano dato vita a una subregione culturalmente omogenea, estesa dalla Romagna all'Esino, mentre gli elementi più propriamente medio-adriatici - definizione che egli preferisce al termine piceno - si ritrovano a sud dell'Esino, fiume che sembra così assumere un ruolo di confine ben prima dell'arrivo dei Galli Senoni. Secondo Giovanni Colonna la documentazione epigrafica dimostra che nel corso del VI e V secolo a.C. a Novilara si trovavano genti che non erano né etrusche né umbre, sebbene assimilate culturalmente a questi loro vicini. Queste genti parlavano ancora il proprio antico idioma e vanno identificate con quelli che le fonti antiche chiamano Pelasgi".

[68]De Sanctis, Due graffiti, pp. 23-26.

[69]G. COLONNA, Etruschi nell'ager Gallicus, in "Picus", IV, 1984, pp. 95-105.

[70]Vds. Livio, Ab Urbe condita libri, V, 34, che sottolinea la contemporaneità tra ingresso dei Galli in Italia, regno di Tarquinio Prisco e fondazione di Marsiglia.

[71]Livio, Ab Urbe condita libri, V, 35, 3: Tum Senones, recentissimi advenarum, ab Utente flumine usque ad Aesim fines habuere. L'Utens, secondo Tolomeo III, 1, 22 è tra Marecchia e Rubicone (il Montone o l'Uso); l'Aesis è l'Esino. Recentissimi advenarum potrebbe essere un fraintendimento di Livio causato da ambiguità della sua fonte storica (Polibio), che descriveva i vari popoli in base al territorio da essi occupato, dalle Alpi al mare; Livio interpretò questo passo in senso temporale (Campagnoli, Bassa valle, p. 28). Vds. anche D. VITALI, I Celti in Italia, in AAVV, "I Celti", Milano 1991, pp. 220-235, alle pagg. 229-231: "Quanto emerge dalle fonti archeologiche contraddice in parte l'ipotesi di una recenziorità di questo popolo".

[72]O.H. FREY, I Galli nel Piceno, in AAVV, "La civiltà picena nelle Marche", Ripatransone 1992, pp.  364-381, a p. 368.

[73]Vitali, Celti, p. 222. G.A. MANSUELLI, Problemi del Celtismo nelle Marche, in AAVV, "La civiltà picena nelle Marche", Ripatransone 1992, pp. 382-387, a pag. 383.

[74]Paci, Umbria, pp.  109-110.

[75]Paci, Umbria, pp. 98 ss. Campagnoli, Bassa valle, p. 28: "Paci, partendo da un'approfondita analisi dell'organizzazione politico-amministrativa avuta dalle comunità poste a nord dell'Esino dopo la definitiva romanizzazione, ha dimostrato che appartenevano all'Umbria quelle caratterizzate da una costituzione quattuorvirale, mentre rientravano nell'ager Gallicus quelle governate dai duoviri, quali Forum Sempronii, Suasa, Ostra, nonché le colonie di Ariminum, Pisaurum, Fanum Fortunae, Sena Gallica e Aesis. Secondo Paci il confine tra le due aree ha tenuto conto anche della situazione goemorfologica e va sostanzialmente situato nel punto di passaggio fra il paesaggio collinare della fascia paracostiera e le prime dorsali appenniniche interne".