Capitolo III

 

I primi due secoli dell'Impero

 

Un'età di pace

Sconfitto definitivamente Antonio, tutto il potere si concentrò nelle mani di Ottaviano (che assunse, nel 27 a.C., l'appellativo di Augusto): dopo quasi un secolo di conflitti sociali e guerre civili, con l'instaurazione del "principato" (una sorta di monarchia mascherata, nella quale la Repubblica veniva apparentemente restaurata ma una somma di poteri rilevanti, sufficienti per controllare l'andamento della politica interna e estera, passavano nelle mani di Augusto, vincitore delle guerre civili) venne assicurata la pace, le cui conseguenze furono lo sviluppo dell'economia e il benessere sociale. Le città divennero centri di attività commerciali e si ricoprirono di opere pubbliche; emersero, nelle varie comunità, personaggi destinati talvolta ad una brillante carriera  nell'amministrazione imperiale.

Pace, prosperità economica, tranquillità sociale sono riscontrabili anche nella nostra zona. E' inoltre attestata dalle iscrizioni la presenza di una classe dirigente con interessi sovramunicipali, che ricoprì con continuità le magistrature in varie località: alcuni rappresentanti di essa sarebbero stati destinati ad una brillante carriera politica o amministrativa a Roma[1]. Possiamo ricordare la gente dei Caesii, "di radicata e durevole influenza nelle comunità antiche tra l'Umbria e l'Adriatico"[2]: esponenti della famiglia, di cui viene in diverse iscrizioni ricordate il cursus honorum, sono attestati a Pisaurum, Pitinum Pisaurense, Sestino[3]. Interessi sovramunicipali aveva anche la nobildonna Abiena Balbina, consorte di un illustre magistrato pesarese, Petinio Apro, che fu investita della carica religiosa del flaminato a Pisaurum e Ariminum e del patronato del municipio di Pitinum Pisaurense[4]. Anche Voluseno Giusto e Castricio Vetulo, ricordati dalle iscrizioni, furono curiali sia Rimini, sia a Sestino[5]. Ma ogni municipio aveva famiglie emergenti: a Pesaro gli Alfii, i Munatii, i Nannii, i Septimii, i Vellii (e, qualche decennio dopo, gli Aufidii)[6]; a Fano quella gli Enii Severi[7]; a Sestino i già menzionati Voluseni[8].

E' ormai definita infine anche la rete stradale tra i vari centri cittadini (nella nostra zona abbiamo, sulla costa, a sud di Rimini, Pisaurum, Fanum Fortunae e Sena Gallica. Lungo la vallata del Pisaurus, Pitinum Pisaurense e Sestinum; lungo quella del Mataurus e dei suoi affluenti Forum Sempronii, Pitinum Mergens e Tifernum Mataurense; lungo quella del Cesano Suasa. Sul luogo dove sorge Urbino ricordiamo infine Urvinum Mataurense).

 

La ripartizione regionale augustea.

Nell'età augusta l'Italia fu divisa in undici regioni[9]; in particolare la regio VI (Umbria), al cui interno ricadeva il territorio della nostra provincia, era delimitata a ovest dal corso del Tevere e a sud dal corso della Nera, ma si protendeva fino al mar Adriatico includendo anche il territorio compreso tra i fiumi Aesis (Esino) e Crustumium (Conca, che però scorreva a quel tempo, nella sua parte terminale, nell'attuale letto del torrente Ventena)[10] più vari altri centri cisappenninici al di sotto (come Camerino) o al di sopra (Sarsina e Mevaniola) di tale zona. In pratica tutta la provincia di Pesaro era compresa nella VI regio, che comprendeva, sulla costa, l'Ager Gallicus[11].

 

Il quadro amministrativo

Nell'Umbria adriatica, come del resto d'Italia, raggiunsero il massimo sviluppo in questo periodo le autonomie locali.

Scomparse le praefecturae, il territorio era diviso tra colonie (sulla costa: Pesaro, Fano e Senigallia) e municipi. Principale organo amministrativo era, nei due tipi di amministrazioni locali, il senato cittadino, formato da un certo numero di membri (ordo decurionum), una  specie di odierno consiglio comunale. I decurioni erano i cittadini più importanti della comunità che accedevano a tale organo non per elezione ma per cooptazione ad opera dei membri del collegio stesso: fra i requisiti erano richiesti la nascita libera, l'età di venticinque anni, una condotta irreprensibile e un determinato censo (centomila sesterzi). Bisognava aver inoltre ricoperto una delle magistrature del cursus honorum municipale (accessibile solo a persone di agiata condizione sociale, a causa delle notevoli spese che gli investiti dovevano sostenere). In cambio di onori e privilegi, i decurioni si assoggettavano volontariamente a frequenti contribuzioni, o effettuavano generose elargizioni, per il bene della comunità[12].

Il senato municipale aveva ampie competenze, che spaziavano "dall'amministrazione delle finanze comunali alla gestione del suolo pubblico, dal rilascio di licenze edilizie e commerciali alla nomina di sacerdoti, patroni e, dal II secolo, anche di magistrati locali"[13], fino a quel periodo eletti dalle assemblee popolari.

I personaggi più influenti della comunità ricoprivano le varie magistrature cittadine, tutte elettive, annuali e collegiali (ricoperte da almeno una coppia di magistrati), secondo una certa successione, in cui progressivamente aumentavano attribuzioni e poteri. La prima di tali cariche era quella dei questori, che avevano cura dell'amministrazione finanziaria; il gradino successivo era costituito dall'edilità, particolarmente importante poiché ai due edili spettava, oltre a compiti di polizia urbana, la manutenzione di edifici pubblici, l'approvvigionamento granario e l'organizzazione dei giochi pubblici[14]. I duoviri o i quattuorviri ricoprivano nella comunità un ruolo di assoluta preminenza, analogo a quello che in età repubblicana i consoli rivestivano a Roma: controllavano l'operato dei magistrati di livello inferiore, gli appalti delle opere pubbliche, le prescrizioni relative ai culti religiosi. Ogni cinque anni venivano quindi eletti duoviri (o quattuorviri) quinquennales, che, oltre ai menzionati compiti, avevano anche quello importantissimo di allontanare all'ordo decurionum i cittadini indegni, ratificare le cooptazione fatte negli anni precedenti, supplire a eventuali vuoti con nomina di cittadini benemeriti (i poteri possono essere paragonati a quelli dei censori dell'antica Roma)[15].

Ogni comunità aveva naturalmente un proprio territorio, in cui era predominante l'insediamento sparso e dove tuttavia esistevano centri rurali: essi prendevano il nome di vici o, se predominavano le abitazioni sparse, pagi. Sia nelle une sia nelle altre ripartizioni territoriali erano presenti magistrati locali, non sappiamo però con quali precise competenze.

 

La guerra civile del 69 d.C.

I primi due secoli dell'Impero furono un lungo periodo di pace, interrotta però da due sanguinose guerre civili: nel 69, e nel 193 d.C. La prima interessò anche la nostra provincia, che fu attraversata dal passaggio degli eserciti di Vitellio e di Flavio Vespasiano nell'inverno di quell'anno.

Subito dopo la seconda battaglia di Bedriacum (in cui le truppe flaviane, scese in Italia dalla Penisola Balcanica, avevano sconfitto i Vitelliani) e il saccheggio di Cremona (fine ottobre 69 d.C.), una parte dell'esercito vincitore mosse verso il sud: lo guidava Pompeo Silvano e comprendeva coorti ausiliarie, ali di cavalleria, qualche reparto scelto di fanteria legionaria, seimila Dalmati di nuova leva (poi sostituiti dai marinai di Ravenna) e l'intera XI legione (guidata da Annio Basso)[16]

Lasciata Rimini, in cui si erano chiuse forze fedeli a Vitellio, l'esercito fece una sosta a Fano, anche per il timore di un possibile arrivo di consistenti truppe pretoriane da Roma che, pensavano, avrebbero chiusi i passi degli Appennini: stanche e senza salmerie, con i comandanti timorosi  per la sedizione dei soldati, le truppe flaviane saccheggiarono i territori che attraversavano[17].

Nel frattempo i Vitelliani, guidati da Giulio Prisco e Alfeno Varo, portarono le loro forze a Mevania, alla confluenza di Clitunno e Teverone, circa ottanta miglia a nord di Roma e lì si fermarono, senza neanche tentare di approfittare del fatto che le truppe flaviane, in evidenti difficoltà logistiche, potevano essere facilmente sconfitte[18].

Finalmente i Flaviani si allontanarono dall'Umbria cisappenninica. "Durante il passaggio dell'Appennino, l'esercito flaviano ebbe molto a soffrire per il terribile inverno e il fatto che, in una marcia indisturbata, riuscissero a malapena a superare le nevi, dimostrò chiaramente quanti pericoli avrebbero dovuto affrontare, se Vitellio non fosse stato abbandonato dalla fortuna, che aiutò i generali flaviani non meno spesso della loro capacità"[19].

La guerra quindi interessò, da questo momento, Umbria e Lazio. A Urbino, comunque, fu ucciso in quei giorni il comandante vitelliano Fabio Valente, catturato qualche tempo prima. La sua testa fu mostrata alle coorti vitelliane, ferme a Mevania, perché si arrendessero[20].

 

Carriere politiche nei primi secoli dell’Impero

Alcuni personaggi di municipi e colonie della nostra provincia, come già detto, intrapresero la carriera politica a Roma e, alcuni di essi, ottennero anche importanti incarichi e grandi onori.

Al tempo dei Flavi deve essere ricordato almeno il pesarese Marco Arrecino Clemente, imparentato con la famiglia imperiale (sua sorella Arrecina Tertulla era stata prima moglie di Tito, prima che salisse sul trono imperiale), amico di Domiziano, prefetto del pretorio nel 70 d.C., console per due volte nel 73 e nell’85 d.C.). Venne messo a morte da Domiziano (79-89 d.C.) in circostanze poco chiare, in data successiva a quella del suo secondo consolato[21].

Un’altra famiglia pesarese che ebbe stretti contatti con la dinastia imperiale, al tempo degli Antonini, fu quella degli Aufidi, uno dei cui esponenti sposò la figlia del retore Frontone, precettore di Marco Aurelio. Aufidio Vittorino, loro figlio, fu educato insieme a Marco Aurelio, fu prefetto di Roma e per due volte console; cadde quindi in disgrazia al temo di Commodo e fu costretto a suicidarsi[22].

 

Ingerenza del governo centrale nella amministrazioni periferiche

Già nel corso del II secolo d.C. comparvero in vari centri della provincia alcune magistrature di nomina imperiale, segno di una prima forma di controllo dell'amministrazione centrale su quella periferica.

A Pesaro sono attestati infatti un questor alimentorum, incaricato di amministrare la cassa alimentare in cui confluivano gli interessi di un'istituzione filantropica voluta dall'imperatore Traiano[23], e un curator kalendarii, al quale spettava la gestione dei lasciti privati[24]. Le sovvenzioni alimentari destinate ai fanciulli poveri sono testimoniate anche da un’iscrizione di Tifernum Mataurense[25]. A Sestino una dedica, datata dopo la morte di Antonino Pio, ricorda un'istituzione analoga a quella degli alimenta traianei, ma per fanciulle, che l'imperatore aveva costituito[26]. Pueri et puellae alimentari, assistiti in base ad un provvedimento dello stesso Antonino Pio, sono ricordati anche a Pitinum Mergens[27]. Anche a Urbino abbiamo ricordato un amministratore del denaro da utilizzare per l’educazione dei ragazzi poveri[28].

Alla fine del secolo II si ricorda infine a Pesaro l'opera di un curator coloniae Pisaurensium, Quinto Cecilio Leto, un commissario governativo, inviato per mettere ordine nell'amministrazione della colonia[29]. Costui " è probabilmente il primo di una serie di curatores che si avvicendano a Pesaro tra il III e il IV secolo d.C., trasformando così la sorveglianza del potere centrale sull'amministrazione cittadina in vera e propria gestione diretta. Tale fenomeno di accentramento burocratico, subito da molte comunità municipali, si accompagna a un progressivo impoverimento della popolazione e a una contrazione numerica del ceto medio; ne consegue un'accentuata penuria di candidati alle magistrature cittadine, ormai svuotate di ogni effettivo contenuto di potere, nonché un esodo inarrestabile dalla carica di decurione, ormai declassata al rango di contribuente da sfruttare. La fuga dagli incarichi pubblici è realtà che coinvolge certo anche Pesaro, ove le testimonianze epigrafiche conservano menzione a partire dal III secolo d.C. per lo più di magistrati di nomina governativa che, con il titolo di curatores rerum publicarum Pisaurensium et Fanestrium estendono ora la loro giurisdizione anche al contiguo territorio di Fanum Fortunae"[30].

Nel III secolo è ricordato un curator rei publicae Urvinatium Mataurensium[31].

 



[1]Il personaggio forse più importante proveniente dalla nostra provincia è, nella generazione precedente a quella augustea, M. Livio Druso Claudiano (citato da CICERONE, Epistulae ad Atticum, II, 7, 3), padre di Livia consorte di Augusto: un Claudio (o meglio un Claudio Pulcro: vds. Prosopographia Imperii Romani 2 L. 294) annesso fin da bambino alla famiglia dei Livii Drusi (forse il padre adottivo fu il M. Livio Druso, famoso tribuno assassinato a Roma nel 91 a.C.) (L. BRACCESI, Lineamenti di storia pesarese in età antica, in AAVV, "Pesaro nell'antichità", Venezia 1984, pp. 3-31, a pag. 23).

[2]G. SUSINI, Un lembo di storia politica: il ruolo di Pitinum, in Monacchi W. (a cura di), "Storia e archeologia di Pitinum Pisaurense", Urbania 1999, pp. 17-22, a pag. 18.

[3]G. CRESCI MARRONE, Istituzioni politiche e strutture sociali, in AAVV, "Pesaro nell'antichità", Venezia 1984, pp. 33-46, a pag. 42; Susini, Un lembo, p. 18; F. GALLI, La raccolta epigrafica sestinate, Urbino 1978, pp. 21 e 31.

[4]Corpus Instriptionum Latinarum, vol. XI, n. 6354; Cresci Marrone, Istituzioni, p. 46.

[5]F. CENERINI, Notabili e famiglie curiali sestinati, in AAVV, "Sestinum, Comunità antiche dell'Appennino tra Etruria e Adriatico", Rimini 1989, pp.  189-198, alle pagg. 197-198; Galli, La raccolta, p. 26.

[6]Cresci Marrone, Istituzioni, p. 42.

[7]R. BERNARDELLI CALAVALLE, Le iscrizioni, in AAVV, "Fano Romana", Fano 1992, pp. 465-490, a pag. 469.

[8]Cenerini, Notabili, p. 189 ss.

[9]PLINIO, Naturalis Historia, III, 6, 25. Le regioni erano le seguenti: I) Lazio et Campania; II) Apulia e Calabria; III) Lucania e Bruzio; IV) Sannio; V) Piceno; VI) Umbria; VII) Etruria; VIII) Emilia; IX) Liguria; X) Venezia e Istria; XI) Transpadana. La suddivisione comunque non comportò alcuna differenziazione politica e amministrativa tra organismi municipali appartenenti a regioni diverse dal momento che al di sopra delle comunità periferiche (che mantennero piena autonomia amministrativa: tra  municipi e colonie da una parte e governo centrale dall'altro non c'era alcun potere intermedio); essa aveva l'unico scopo di registrare i censimenti per aree che fossero in qualche modo omogenee dal punto di vista etnico, linguistico, storico, geografico.

[10]La questione del confine sulla costa tra regione VI (Umbria) e VIII (Emilia), a lungo dibattuta dagli studiosi, può ora dirsi conclusa dopo gli interventi di A. VEGGIANI, Le variazioni idrografiche del fiume Tavollo e l'impaludamento del territorio di S. Cristoforo ad Aquilam in epoca altomedievale, in "La Pieve di S. Cristoforo ad Aquilam", Gradara 1983, pp. 38-45 e P. CAMPAGNOLI, La bassa valle del Foglia e il territorio di Pisaurum in età romana, Bologna - Imola 1999, alle pagine 17-18, 81 e 92-93.

[11]Plinio, Naturalis Historia, XIV, 112: Jungetur his (agli abitanti del Piceno) sexta regio Umbriam complexa agrumque Gallicum citra Ariminum. Ab Ancona Gallica ora incipit, Togatae Galliae cognomine (Al Piceno è congiunta la sesta regione, che comprende l'Umbria e l'Agro Gallico al di qua di Rimini. Da Ancona comincia la costa gallica con la denominazione di Gallia Togata). Vds. anche Ivi, XIV, 115: Octava regio determinatur Arimino, Pado, Apennino. In ora fluvius Crustumium, Ariminum colonia cum amnibus Arimino et Aprusa (L'ottava regione è delimitata dall'Arimino, dal Po e dall'Appennino... Sulla costa vi è il fiume Crustumio, la colonia di Rimini con i fiumi Arimino e Ausa).

[12]Cresci Marrone, Istituzioni, p. 39.

[13]Cresci Marrone, Istituzioni, p. 41.

[14]Cresci Marrone, Istituzioni, p. 41.

[15]Cresci Marrone, Istituzioni, pp. 41-42.

[16]TACITO, Historiae, III, 50.

[17]Tacito, Historiae, III, 50. Exercitus ducesque ad Fanum Fortunae iter sistunt, de summa rerum cunctantes, quod moltas ex urbe praetorias cohortis audierant et teneri praesidiis Appenninum rebantur; et ipsos in regione bello attrita inopia et seditiosae militum voces terrebant, clavarium (donativi nomen est) flagitantium. Nec pecuniam aut frumentum providerant, et festinatio atque aviditas praepediebant, dum quae accipti poterant rapiuntur.

[18]Tacito, Historiae, III, 55-56. G.H. STEVENSON, L'anno dei quattro imperatori, in "Cambridge Ancient History" (traduzione italiana), vol. X, 2, Milano 1968, pp. 1033-1067, a pag. 1064: "Quando l'esercito flaviano si fu aperto una strada attraverso la neve degli Appennini scendendo al piano, fu sbalordito nel rendersi conto che poteva avanzare senza incontrare resistenza fino a Carsulae, a dieci miglia dalle forze di Vitellio".

[19]Tacito, Historiae, III, 59: Sed foeda hieme per transitum Appennini conflictatus exercitus, et vix quieto agmine nives eluctantibus patuit quantum discriminis adeundum foret, ni Vitellium retro fortuna vertisset, quae Favianis ducibus non minus saepe quam ratio adfuit.

[20]Tacito, Historiae, III, 62: Isdem diebus Fabius Valens Urbini in custodia interficitus. Caput eius Vitellianis cohortibus ostentatum ne quam ultra spem foverent.

[21] E. GROAG, PIR2, A 1072, S.V. M. Arrecinus Clemens. Vds. anche A. TREVISIOL, Fonti letterarie ed epigrafiche per la storia romana della provincia di Pesaro e Urbino, Roma 1999, pp. 66-67 e bibliografia ivi proposta.

[22] Trevisiol, Fonti letterarie ed epigrafiche,p. 68.

[23]CIL XI, 6369; Trevisiol, Fonti letterarie ed epigrafiche, pp. 82-83. P. VEYNE, Il pane e il circo, Bologna 1984, p. 569: "Nelle diverse città della pensiola Traiano e i suoi successori avevano istituito una volta per tutte un fondo fisso di prestito, dal quale i proprietari di terreni potevano farsi prestare del denaro senza scadenze di rimborso purché versassero un piccolo interesse e ipotecassero i fondi coltivati. L'imperatore non reclamava mai i suoi capitali né faceva valere l'ipoteca, finché il debitore versava gli interessi. Ma questi interessi non erano destinati alle casse del principe: essi permettevano, in ogni città, di pagare il mantenimento di un certo numero di figli di cittadini poveri. Per esempio, nel borgo di Velleia, 245 figli legittimi ricevevano una pensione mensile di 16 sesterzi, 34 figlie legittime ne ricevevano 12, un figlio illegittimo 12, e una figlia illegittima 10. Queste cifre erano state fissate una volta per tutte perché l'imperatore aveva istituito una volta per tutte un fondo determinato, e i tassi di interesse erano fissi".

[24]CIL xi, 6377; Fonti letterarie ed epigrafiche, p. 85. Vds. anche Campagnoli, La bassa valle, p. 72 e Cresci Marrone, Istituzioni, p. 44 (“In entrambi i casi la responsabilità della nomina è di spettanza imperiale e, sebbene la scelta ricada sovente su personaggi locali di provata esperienza amministrativa, le due magistrature si configurano come emanazione del governo centrale e risultano, pertanto, sottratte al controllo, e forse agli abusi, delle gerarchie cittadine”).

[25]CIL, XI, 5989; Trevisiol, Fonti letterarie ed epigrafiche, p. 196.

[26]CIL,  XI, 6002; Galli, La raccolta, , p. 28 e tav. XIV.

[27]CIL, XI, 5956 e 5957 (Trevisiol, Fonti letterarie ed epigrafiche, pp. 171-172)

[28]CIL, XI, 6073.

[29]CIL, VIII, 8207; Cresci Marrone, Istituzioni, p. 44;  Campagnoli, La bassa valle, p. 72.

[30]CIL, XI, 6338; Trevisiol, Fonti letterarie ed epigrafiche, p. 154; Cresci Marrone, Istituzioni, p. 44. AE 1929, 158 (in Trevisiol, Fonti letterarie ed epigrafiche, pp. 163-164).

[31]CIL, VI, 1507, Trevisiol, Fonti letterarie ed epigrafiche, pp. 36-37.