Capitolo V

 

Longobardi e Bizantini

 

 

I Longobardi invadono l'Italia

Solo quattordici anni dopo la fine della guerra greco-gotica, nella primavera del 568, il popolo germanico dei Longobardi, partito dalla Pannonia (odierna Ungheria) sotto la guida di re Alboino,  cominciò a dilagare nella Pianura Padana, debolmente contrastato dai Bizantini. Insieme ai Longobardi scesero in Italia ventimila Sassoni e una moltitudine di genti diverse: Gepidi, Bulgari, Sarmati, Pannoni, Svevi, Norici e altri[1].

I Bizantini, colpiti dalla recente epidemia, privi di numerose milizie, occupati in guerre in Oriente e Balcani contro Persiani ed Avari, non attuarono per diversi anni serie azioni di difesa e si rinchiusero nelle città, lasciando la possibilità agli invasori di percorrere buona parte della Penisola.

La conquista dell'Italia era ancora in corso quando Alboino fu assassinato, dalla moglie, a Verona nel 572; analoga sorte toccò al successore Clefi (574). I capi militari (duces, duchi) allora per dieci anni non elessero un re ma continuarono, ciascuno per proprio conto, la conquista.  Solo nel 584 elessero re Autari a cui subentrò, nel 590, Agilulfo. Con questi due re nacque un vero e proprio Stato, comprendente l'intera Pianura Padana, la Toscana e, a sud, i ducati semindipendenti di Spoleto e Benevento. Rimanevano in mano ai Bizantini Sicilia, Sardegna, Corsica, Calabria, Puglia, Lazio, territori umbri lungo la Flaminia (ma non Spoleto), l'Esarcato (Romagna) e la Pentapoli (Marche settentrionali). Questa occupazione "a macchia di leopardo" del territorio italiano fu la prima divisione della Penisola, da secoli unita.

Poco prima o in concomitanza con l'invasione dei Longobardi, l'Italia fu funestata da una terribile pestilenza di cui parlano le fonti dell'epoca, tra cui Paolo Diacono, che ne traccia un quadro apocalittico. Lo storico dice che ne fu particolarmente colpita la Liguria, ma anche che i lutti e lo sterminio interessarono tutta l'Italia[2].

 

I primi attacchi longobardi

La prima scorreria longobarda nella nostra provincia avenne nel 570, quando un gruppo di razziatori provenienti presumibilmente dalla Toscana e dall'Umbria (in quell’anno attaccate), incendiarono la fortezza di Petra Pertusa (di grande importanza nella guerra greco-gotica)[3].

La prima offensiva in grande stile dei Longobardi (in questo caso provenienti da Spoleto, guidati dal duca Ariulfo) è databile agli anni 591-2, successiva alla loro vittoria sui Bizantini a Camerino. Sul preciso andamento degli avvenimenti non siamo informati (le fonti per tutto questo periodo sono straordinariamente scarse), ma importanti indizi fanno presumere che i Longobardi (del ducato di Spoleto) abbiano percorso la Flaminia e si siano spinti fino a Fano, che forse fu  occupata[4]. Nella stesso periodo, se non erano già in loro possesso da qualche anno, caddero nelle loro mani Osimo, Jesi ed alcune città lungo la Flaminia, tra cui Luceoli[5].

 

L'offensiva bizantina del 592

I Bizantini però reagirono e cercarono di mantenere il contatto tra Roma e Ravenna, recuperando le località della Flaminia cadute in mani nemiche. Nel 592 infatti l'esarca bizantino Romano riuscì a rioccupare varie località del Lazio, dell'Umbria e della nostra provincia: Paolo Diacono parla di Sutri, Bomarzo, Orte, Todi, Amelia, Perugia, Luceoli e alcune altre città[6]. Non però Spoleto, sulla Flaminia, che rimase solidamente nelle mani dei Longobardi dell'omonimo ducato; da questo momento quindi fu utilizzato nei collegamenti tra Roma e il mare Adriatico un ramo minore della via consolare, la cosiddetta "via Amerina" (anch’essa saltuariamente sottoposta agli attacchi nemici)[7] .

Non molto tempo dopo (sicuramente entro la fine del secolo) fu firmata una prima tregua tra Longobardi da una parte e papa Gregorio I e Bizantini dall'altra[8]: la guerra sarebbe stato comunque sospesa e ripresa innumerevoli volte dai due contendenti fino alla pace del 680-81[9].

 

L'amministrazione bizantina.

Il continuo stato di guerra non solo ridusse progressivamente i territori sottoposti al potere imperiale (la provincia bizantina dell'Italia si trovò costituita dal territorio di Ravenna - "esarcato", perché sottoposto all'autorità dell'esarca - e da altri territori sparsi nella Penisola: Istria, Veneto, Ferrara, Pentapoli, Roma, Perugia)[10] ma anche modificò radicalmente le strutture civile e militare, nettamente distinte nella Prammatica Sanzione emanata da Giustiniano nel 554, favorendo la graduale formazione di un struttura molto compatta, contemporaneamente militare e civile[11].

Le leggi bizantine relative all'esercito prevedevano la costituzione di speciali corpi di soldati, reclutati in loco e non trasferibili (limitanei), che avevano il compito di proteggere i confini (limites) dell'impero, a cui erano affidate terre del fisco nelle stesse zone che dovevano difendere[12].

Oltre a tali truppe, esisteva naturalmente anche l'esercito mobile, alle dipendenze di uno stratego. Tale esercito era suddiviso in meroi (comandati da merarches), ognuno dei quali era formato da tre moirai (guidati da un dux). A sua volta la moira era composta da diversi numeri, formati da 200-400 uomini, comandati da comites o tribuni[13].

L'organizzazione civile si modellò quindi su quella militare e le varie cariche avevano poteri nell'uno e nell'altro campo.

L'esarca (che corrispondeva allo stratego), rappresentante dell’imperatore, inviato in Italia da Costantinopoli e scelto tra gli alti funzionari dell'amministrazione, aveva poteri sia militari sia civili: guidava l'esercito, amministrava la provincia, pubblicava le leggi, nominava gran parte dei funzionari dell'amministrazione. Restava in carica per diversi anni[14].

Erano subordinati all'esarca, ed avevano anch'essi poteri civili e militari, i duchi, detentori di autorità civile e militare in un determinato territorio (in pratica erano governatori delle singole province: Pentapoli, Istria, Venezia...) e i tribuni (o conti), sottoposti ai duchi: anch'essi, comandanti dei singoli distaccamenti militari ("numeri"), esercitavano importanti funzioni civili nelle singole città[15].

Si può infine ricordare che, se in teoria tutto l'esercito obbediva  agli ordini dell'esarca, in pratica i duchi più importanti agivano quasi autonomamente[16]. Nel corso del secolo VII l'Impero Bizantino attraversò un periodo di grave crisi a causa della pressione di Arabi (nel Mediterraneo Orientale e in Asia Minore), Bulgari e Slavi (nella Penisola Balcanica). Tali problemi incisero sulle comunicazioni tra Costantinopoli e Ravenna e fecero sì che si sviluppasse, in Italia, il reclutamento locale[17]; ciò causò poi diversi problemi agli stessi Bizantini quando, ad esempio, sorsero contrasti di natura religiosa tra Imperatore e Papa: le truppe infatti tendevano a difendere i propri interessi e quelli dell'Italia più che quelli generali dell'Impero.

 

La Pentapoli.

Uno dei ducati della provincia d'Italia fu la Pentapoli[18], menzionata per la prima volta nel 649, ma costituita sicuramente in precedenza, probabilmente alla fine del secolo VI[19]. Essa comprende territori facenti un tempo parte della regione amministrativa "Flaminia" e, come si può desumere dal nome, era imperniata su cinque città, tutte costiere (era incontrastata la superiorità bizantina sul mare): Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona.

I motivi che spinsero i Bizantini a creare tale circoscrizione furono prababilmente militari (per difendere l'Esarcato, l’attuale Romagna, dove era posta la capitale della provincia, Ravenna) e strategici (permetteva il collegamento terrestre tra Ravenna e Roma, sede del papato e capitale religiosa, e quello marittimo tra Bisanzio e Ravenna: il porto di quest’ultima città, infatti, alla fine del sec. VI, non era più raggiungibile dalle navi di grande stazza e pertanto uomini e merci la potevano raggiungere, su imbarcazioni più piccole, da Ancona)[20].

E' comunque da sottolineare che, se la Pentapoli era importante per i Bizantini, lo era altrettanto per i Longobardi, dato che il controllo era vitale per assicurare i collegamenti tra Regno vero e proprio (Italia centrosettentrionale) e i ducati di Spoleto e Benevento.

La circoscrizione, in base a una delle più attendibili ricostruzioni, non si presentava come un blocco compatto ma era isolata dall’Esarcato (doveva essere in mano longobarda la zona a sud di Cesena e Cervia)[21]  ed era territorialmente frammentata in quattro blocchi non comunicanti direttamente l’uno con l’altro, sottoposti all’erosione dei longobardi: 1) Ancona, Osimo e Numana; 2) Rimini e Sarsina; 3) Pesaro, Fano, Fossombrone, Urbino; 4) Senigallia[22].

Era inoltre controllata dai Bizantini anche la via Flaminia, difesa da piazzaforti isolate[23]: tali dovevano essere, nel secolo VII, Cagli, Luceoli e Città di Castello, che conservavano pertanto, solo una piccola parte del loro antico territorio.

Non molto distanti dai presidi bizantini erano dislocati, come detto,  quelli longobardi; tra gli uni e gli altri correva una fascia più o meno ampia di "terra di nessuno", abbandonata dalla popolazione e lasciata all'incolto o alla foresta[24].

Vari indizi infatti farebbero supporre una presenza cospicua di Longobardi nel territorio della nostra provincia, a stretto contatto con i territori sotto controllo bizantino. Particolarmente consistente dovette essere la loro presenza nelle zone montane (e, in particolare, nel Montefeltro)[25].

Fondamentale comunque l'osservazione che "bisogna evitare di ricostruire le epoche barbariche con la mentalità e con le situazioni dei tempi posteriori, né tanto meno contemporanei. Quando si parla di confini non bisogna pensare a demarcazioni cartografiche moderne, a dogane, a termini in pietra o a filo spinato. Così pure bisogna evitare di pensare a stirpi etniche omogenee: i territori erano poco popolati, poco coltivati, con ampi spazi liberi a tutti. Nell'esercito bizantino militavano popolazioni barbariche che poi venivano dislocate su terre demaniali, non lontano da altre stirpi"[26].

 

L’Italia bizantina nel secolo VII

Nel secolo VII si verificarono nei territori bizantini d'Italia, e quindi anche nella Pentapoli, due importanti fenomeni.

Il primo di essi fu l’emergere di una spiccata tendenza separatista. L’Impero infati dovette affrontare lunghe e costose guerre nei Balcani e nel Mediterraneo Orientale: nell’impossibilità di mantenere un esercito regolare permanente in Italia, si ricorse ad un sistema di reclutamento sul posto. Ma le truppe (e gli ufficiali che le guidavano) delle varie zone, reclutate in loco, erano in questo modo più portate a sentire gli interessi locali piuttosto che quelli generali dell'Impero: l'inasprimento della pressione fiscale, necessaria per reperire denaro per gli eserciti che combattevano in Oriente, e le irregolarità nel corrispondere le paghe dell'esercito in Italia furono quindi il pretesto per sanguinose rivolte[27].

Secondo fenomeno fu la nascita di una nuova aristocrazia (quella vecchia, “romana”, era scomparsa durante la guerra gotica e nei primi tempi della conquista longobarda dell'Italia): nel secolo VII emerse una nuova classe di proprietari terrieri, coincidenti con gli ufficiali dell'esercito che, in modi diversi (per acquisto, con la forza, per enfiteusi ottenuta dalla gerarchia ecclesiastica), erano entrati in possesso di terre[28].

"Con l'emergere di un esercito reclutato interamente in Italia, la sovrapposizione fra gerarchie politiche e socioeconomiche della provincia divenne praticamente completa. Con l'eccezione dell'esarca, gli ufficiali dell'exercitus italicus erano tutti grandi proprietari terrieri. Gli ufficiali di rango meno elevato provenivano dalla famiglie meno ricche, mentre i soldati semplici erano piccoli proprietari terrieri"[29].

Emergeva, in definitiva, un nuovo ceto dirigente la cui fortuna era sempre meno legata a Costantinopoli o a Ravenna e sempre più alla realtà locale.

 

Le rivolte antibizantine

Nel 619 quando l'esarca di Ravenna, Eleuterio, si ribellò al legittimo imperatore e, insieme a un numeroso seguito, si diresse verso Roma. A Luceoli (presso l'odierna Cantiano), castrum posto a difesa del passo della Scheggia, sulla Flaminia, fu tuttavia ucciso da soldati che non avevano aderito al movimento. Terminava così ingloriosamente la ribellione[30].

Nel 692 l'Italia centrale si ribellò al potere imperiale. L'imperatore Giustiniano II Rinotmeto infatti aveva ordinato al protospatharius Zaccaria di raggiungere Roma, catturare papa Sergio, che aveva rifiutato di firmare i canoni del Concilio Quinisesto, e portarlo a Costantinopoli. Gli eserciti di Ravenna e "del ducato pentapolitano" si misero però in marcia verso Roma per difendere il papa. Il protospatario fu scacciato da Roma tra gli insulti e le ingiurie, il Papa rimase al suo posto e la rivolta rientrò solo nel 694[31].

Nella rivolta non era messa in discussione l'autorità secolare, ma solo quella religiosa dell'imperatore, "ma le due autorità rappresentavano due facce della stessa medaglia: cancellare l'una voleva dire svalutare l'altra" [32].

Il pieno controllo di Ravenna fu ottenuto dall'imperatore Giustiniano II solo nel 709, quando fu inviata nella città una flotta per punire i Ravennati, sotto la guida di Teodoro Monstronico. L'arcivescovo Felice fu accecato, vari cittadini uccisi. Non si può escludere che l'imperatore, in tale occasione, avesse il sostegno, almeno in diritto, del Papa: alla fine del 709 il Pontefice visitò Costantinopoli ottenendo da Giustiniano II il rinnovo di tutti i suoi privilegi, compreso quello di esercitare un controllo sulle elezioni arcivescovili di Ravenna[33].

 

La seconda Pentapoli.

Nel 726 e nel 742 abbiamo le prime menzioni di una "Decapoli" o di una doppia Pentapoli. In pratica alla Pentapoli vera e propria (Pentapoli marittima o litoranea) si affiancò una provincia interna (Pentapoli interna o annonaria), comprendente comunque territori almeno in parte già sotto controllo bizantino. La costituzione della seconda Pentapoli, sicuramente successiva alla prima, può essere attribuita agli inizi dell'VIII secolo, in ogni caso posteriormente al 680, nato che in tale anno, nel Sinodo Romano, mentre i vescovi di Rimini, Pesaro, Fano, Ancona, Numana e Osimo risultano appartenere alla eparchia Pentapoleos, quello di Jesi non inserisce nella sottoscrizione, l'indicazione della regione di provenienza[34].

Non tutti gli studiosi sono concordi nell'elenco delle città facenti parti di questa provincia. Generalmente si considerano Urbino, Fossombrone, Jesi, Cagli e Gubbio, ma alcuni fanno rientrare nella Pentapoli interna anche S. Leo o Osimo.

Forse da identificare con la Pentapoli interna è la "provincia dei castelli", menzionata intorno al 700 dall'Anonimo Ravennate e da Guido di Ravenna, ma anche in tale caso i pareri sono discordi[35].

 

La lotta tra Imperatore e Papa

Poco dopo la restaurazione del potere imperiale a Ravenna (709), la città insorse e fu assassinato il nuovo esarca, Giovanni Rizocopo (709-710). La situazione era critica in tutto l'Impero: gli anni 711-717 furono contrassegnati da deposizioni di imperatori, usurpazioni, lotte intestine, attacchi esterni, che sarebbero terminati solo dopo l'elezione di Leone III. L’Italia fu probabilmente lasciata a se stessa[36].

Contemporaneamente, con l'ascesa al trono di Liutprando (712-744), aveva fine il periodo di instabilità che aveva caratterizzato, nel Regno Longobardo, l'inizio del secolo. Subito il nuovo re si interessò dell'Italia bizantina e, nel 717, approfittando delle gravi difficoltà dei Bizantini, attaccò l'Esarcato occupando il porto di Classe. Quando Leone III inviò in Italia un nuovo esarca, il patrizio Paolo, Classe gli fu però restituita[37].

Ben presto l’esarca si scontrò con il potere del pontefice, in quegli anni enormemente rafforzato. Un primo grave momento di tensione si ebbe nel 723, quando il papa rifiutò di pagare le nuove tasse decise a Costantinopoli che colpivano duramente anche i patrimoni ecclesiastici. Paolo, che aveva avuto  il compito di soffocare la ribellione, radunò le truppe dell’Esarcato e della Pentacoli, dirigendosi verso Roma. Qui però fu attaccato e sconfitto da Romani e Longobardi (di Spoleto) e dovette tornare a Ravenna senza aver ottenuto risultati apprezzabili[38].

Il conflitto si inasprì negli anni 726-727, quando Leone III decise di appoggiare l'iconoclastia, una dottrina che vietava qualsiasi forma di rappresentazione e di culto alle immagini della Vergine e dei Santi. Accanto al papa, che manifestò la sua ferma reazione, si schierarono gli eserciti (cioè le aristocrazie militari) di Ravenna, Venezia e Pentapoli: nelle varie zone furono eletti duchi locali, a Ravenna una rivolta costò la vita all'esarca, i Longobardi colsero l'occasione per attaccare i possedimenti bizantini[39].

 

La prima offensiva di Liutprando  (727-729).

Liutprando infatti, per motivi religiosi (i Longobardi rifiutavano decisamente l'iconoclastia) e politici (possibilità di ingrandimenti territoriali), prese (senza esserne stato richiesto) le difese del papa e attaccò, nello stesso 727 o nell'anno successivo, varie città dell'Esarcato, la Pentapoli e la città di Osimo, conquistandole[40].

La situazione successiva è alquanto ingarbugliata: papa Gregorio si oppose ai ribelli di Venezia e Ravenna che volevano creare un nuovo imperatore; riuscì ad ottenere Sutri da Liutprando; si alleò con i duchi di Spoleto e Benevento (suscitando in tal modo i sospetti di Liutprando) contro l'esarca Eutichio (che si trovava a Napoli). A questo punto Liutprando si alleò con l'Esarca e attaccò i duchi ribelli, mentre Ravenna veniva liberata dall'intervento di una flotta veneta (quest'ultimo fatto si può però riferire alla seconda offensiva longobarda contro i possedimenti bizantini in Italia centrale, del 738). Finalmente, nel 729, un'intesa a tre tra papa, esarca e Liutprando assicurò la pace: anche se non conosciamo i termini precisi dell'accordo, possiamo presumere che l'esarca riebbe il controllo di una parte dell'Italia centrale (almeno una parte della Pentapoli rimase nelle mani  dei Longobardi: Osimo, Ancona e Numana sarebbero state restituite solo nel 742) ma dovette accettare di non imporre con la forza l'iconoclastia[41]. Anche se non de jure (rimase l'esarca Eutichio a Ravenna), de facto la nascita di uno stato indipendente nell'Italia centrale (per il momento limitato a Roma e ducato di Perugia) sotto la guida del papa si può far risalire a questi anni[42].

 

La seconda offensiva longobarda (738-742).

Nel 738 il duca Agatone di Perugia, approfittando della malattia che aveva colpito il re Liutprando, cercò di occupare Bologna, ma fu respinto. A loro volta Ildebrando, nipote di Liutprando e reggente, e Paradeo, duca di Vicenza, attaccarono e conquistarono Ravenna. L'esarca fu costretto a fuggire e a questo punto il papa chiese aiuto ai Veneziani che liberarono la città: Paradeo fu ucciso e Ildebrando preso prigioniero[43].

La guerra interessò, nei mesi e nell'anno successivi, varie zone dell'Italia centrale (Lazio, ducato di Perugia, ducato di Spoleto) e vera e propria pace si ebbe solo con il successore di Gregorio III (morto il 29 novembre 741), papa Zaccaria (eletto il 3 dicembre dello stesso anno), che, abbandonata la politica antilongobarda del suo predecessore, si schierò decisamente con Liutprando. Nel 742 pertanto il sovrano restituì al papa quattro città occupate nel 739 (Amelia, Orte, Bomarzo e Bieda), nonché Sutri, Narni, Osimo, Ancona e Numana[44]. Un avvenimento bellico ricordato da Paolo Diacono interessò la nostra zona: il re Liutprando, che, durante la campagna contro il duca di Spoleto Trasmondo, da Fano si dirigeva verso Fossombrone, fu assalito da Spoletini e Romani, probabilmente nell'aprile del 742. L'esercito regio comunque, anche per il valore di Rachis e Astolfo (futuri re), riuscì ad uscire dall'agguato senza gravi danni[45].

 

La terza offensiva longobarda (743).

Un ultimo tentativo longobardo di occupare l'Esarcato fallì, nel 743, per l'energica protesta del papa, che riuscì a convincere Liutprando a "restituire" al papa gli acquisti colà nel frattempo fatti (Cesena). E' evidente che il Pontefice considerava appartenente alla "Repubblica di S. Pietro" (con tale termine si chiamava in quel tempo quello che sarà poi lo Stato della Chiesa) anche Esarcato e Pentapoli (ma, a dire il vero, gli abitanti di tali regioni, pur accettando, o anche sollecitando il suo aiuto, desideravano essere autonomi da Bisanzio come da Roma). Durante questa crisi, che interessò anche la Pentapoli, avvenne lo storico incontro tra papa Zaccaria e l'esarca Eutichio alla basilica di S. Cristoforo ad Aquilam, presso Colombarone (tra Pesaro e Gabicce)[46].

 

Le conquista di Astolfo e l'intervento dei Franchi.

Liutprando morì all'inizio del 744. Il brevissimo regno di Ildebrando, nipote e correggente del defunto re, terminò nel settembre dello stesso anno quando costui fu deposto e venne eletto in sua vece Rachis, un esponente "moderato" e "filoromano" del ceto dirigente longobardo[47].

Anche il suo regno è brevissimo. Nel 749, non si sa per quali motivi, attaccò anch'egli la Pentapoli e Perugia. Ma papa Zaccaria, andatogli incontro, lo convinse a desistere dall'assedio di quest'ultima città[48].

Pochi giorni dopo il re depose la corona ed entrò in convento; al suo posto fu eletto Astolfo (inizio di luglio 749), che, riaffermata l'autorità regia nei confronti dei duchi di Spoleto e Benevento, attaccò e conquistò, nel 751, l'Esarcato e la Pentapoli[49]. Furono subito instaurati ottimi rapporti tra il re e l'arcivescovo Sergio[50], che non aveva particolari motivi per mostrarsi fedele a Roma.

Astolfo, non pago dei suoi successi, dopo aver attaccato l'Istria e firmato una pace con Venezia, mostrò intenzione di muovere contro Roma[51]. Il papa ricorse allora ai Franchi, il cui re Pipino fu nel 754 unto re dallo stesso Stefano. Egli scese in Italia nella primavera del 755, sconfisse dopo una rapidissima campagna i Longobardi, costrinse Astolfo a pagare un tributo e "restituire" al papa Ravenna, Pentapoli, Narni e Ceccano[52].

Il re in realtà non rispettò quanto aveva promesso, consegnò le città occupate all'arcivescovo di Ravenna e addirittura attaccò il Ducato Romano[53]. Suscitò così la reazione del papa e un nuovo intervento dei Franchi, nel 756: furono imposte ai Longobardi condizioni più dure e questa volta nel trattato erano elencate con precisione le località da consegnare. Chiavi e ostaggi delle varie città furono quindi raccolte da un inviato franco e consegnate a S. Pietro[54].

Le città in questione, "restituite" al papa, erano le seguenti: Ravenna, Rimini, Pesaro, Conca (nei pressi di Cattolica), Fano, Cesena, Senigallia, Jesi, Forlimpopoli, Forlì (con Sussubio), Montefeltro (= S. Leo), Arcevia, Mons Lucatium (una località vicino a Cesena), Serra dei Conti, San Marino, Sarsina, Urbino, Cagli, Cantiano, Gubbio, Comacchio, Narni[55].

 

Desiderio e la fine del Regno Longobardo.

Morto Astolfo, sempre nel 756, ritornò re Rachis, ma solo per  pochi mesi: Desiderio, duca di Tuscia, riuscì in breve tempo a scalzarlo, anche con l'aiuto di papa Stefano II, a cui aveva promesso la "restituzione" di altre città ancora in mano longobarda, tra cui, nella Pentapoli, Ancona, Numana e Osimo. All'inizio di marzo 757 Desiderio era ormai re dei Longobardi[56] e non mantenne gli impegni assunti; fece anzi una scorreria nella Pentapoli e provvide a sottomettere i ducati meridionali[57].

Qualche anno dopo i rapporti erano ancora tesi: viene ricordata da un cronista anche una scorreria, nel 764, durante la quale Desiderio occupò (presumibilmente per breve tempo) le città di Senigallia, Jesi, Montefeltro, Urbino e Gubbio, in quarum expugnatione civitatum multi gladio perierunt[58].

In quegli anni il potere papale era in rapida crisi, anche a causa di una serie di disordini e brutalità commesse a Roma da partigiani delle diverse fazioni che si contendevano il soglio pontificio. I contrasti interni poterono considerarsi risolti solo con l'elezione di Stefano III, nell’agosto 768, che dovette subito affrontare un nuovo focolaio di disordini: l'8 agosto 769 infatti moriva l'arcivescovo di Ravenna e il duca di Rimini, Maurizio, appoggiato da Desiderio, fece eleggere uno scriniarius di Ravenna, Michele. A sua volta il re longobardo penetrava in Istria, regione in cui la Curia vantava dei diritti[59]. Il papa ricorse all'aiuto del nuovo re dei Franchi, Carlo, che mandò a Ravenna un suo emissario, un certo Ugbaldo, il quale catturò l'arcivescovo Michele e fece consacrare il candidato sostenuto dal papa[60].

La situazione precipitò rapidamente: all'inizio dell'autunno 771 Carlo aveva ripudiata la moglie, figlia di Desiderio; il 4 dicembre dello stesso anno moriva Carlomanno, fratello di Carlo, che si appropriava dei domini del fratello, la cui moglie e i cui figli fuggivano presso il re longobardo.

Costui diresse le sue armi contro i territori sotto controllo papale e, in particolare, contro la Pentapoli: occupò infatti Senigallia, Iesi, S. Leo, Gubbio e altre città[61], mentre il papa (Adriano I, essendo nel frattempo morto, nel gennaio 772, Stefano III) attendeva l'arrivo delle forze franche.

Finalmente Carlo scese in Italia e, sconfitti i Longobardi alle Chiuse di Susa alla fine del 773, ne assediò la capitale, Pavia, che si arrese nel giugno dell'anno successivo. Il sovrano franco si fece quindi incoronare rex Langobardorum.



[1]Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II 6 (Sassoni) e 26 (Certum est autem, tunc Alboin multos secum ex diversis, quas vel alii reges vel ipse ceperat, gentibus ad Italiam adduxisse. Unde usque hodie eorum in quibus habitant vicos Gepidos, Vulgares, Sarmatas, Pannonios, Suavos, Noricos sive aliis huiuscemodi nominibus appellamus).

[2]PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, II, 4: Et haec quidem mala intra Italiam tantum usque ad fines gentium Alamannorum et Baioariuorum solis Romanis acciderunt.

[3]Agnello di Ravenna, Vita Petri senioris (in Migné, "Patrologia Latina", vol. 106, col. 673): ponentes ignem Petram Pertusam incendio concremaverunt. Per la provenienza dall’Umbria dei devastatori vds. B. FELICIANGELI, Longobardi e Bizantini  pungola via Flaminia nel secolo VI, Camerino 1908, n. 3 pp. 10-11.

[4]Proprio in questi anni (592) il papa Gregorio Magno si adoperò presso il vescovo di Ravenna per il riscatto dei prigionieri di Fano (Epistulae, II, 7, 32-33). In un'altra lettera dell'aprile 592 il papa affida al vescovo di Ravenna la cura di quei vescovi che pro interpositione hostium non possono venire a Roma (Epistulae, II, 28).

[5]Gregorio I scrive nel 559 che Osimo, per le vicende belliche, era rimasta diu pastorali sollecitudine destituam. E' probabile che anche Jesi fosse occupata in un primo periodo dai Longobardi.

[6]Paolo Diacono, Historia Langobardorum, IV, 8: Hac etiam tempestate Romanus patricius et exharchus Ravennae Romam properavit. Qui dum Ravennam revertitur, retenuit civitates quae a Langobardis tenebantur quarum ista sunt nomina: Sutrium, Polimartium, Hortas, Tuder, Ameria, Perusia, Luceolis, et alias quasdam civitates. Questo è il passo in cui per la prima volta si legge il nome di Luceoli.

[7]Nel febbraio 599 il viaggio da Ravenna a Perugia è tutt'altro che sicuro: papa Gregorio I deve chiedere al curatore di Ravenna, Teodoro, una scorta per la moglie del prefetto di Roma (A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 3-54, a pag. 26).

[8]Vds. Paolo Diacono, Historia Langobardorum, IV, 8.

[9]T.F.X. NOBLE, La Repubblica di S. Pietro - Nascita dello Stato pontificio (680-825), Genova, 1998. p. 34.

[10]I ducati di Napoli e Calabria, profondamente ellenizzati, furono successivamente posti sotto l'autorità del  patrizio di Sicilia: Noble, Repubblica, p. 34.

[11]Noble, Repubblica, p. 34; E. BALDETTI, Per una nuova ipotesi sulla conformazione spaziale della Pentapoli, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", 86 (1981), pp. 779-894, a pag. 822.

[12]Baldetti, Per una nuova ipotesi, p.823.

[13]Baldetti, Per una nuova ipotesi, pp. 823-4.

[14]Noble, Repubblica, p. 35.

[15]Noble, Repubblica, p. 36.  Per quanto, nei documenti del VI e dell'VIII secolo, si parli ancora di iudices e consules, questi titoli non designavano più mansioni civili distinte, ma indicavano le funzioni civili di duchi e tribuni (ivi).

[16]Baldetti, Per una nuova ipotesi, p. 824; Noble, Repubblica, p. 36. Tutte le città di una certa importanza, infine, disponevano di una milizia locale formata dai cittadini adulti di sesso maschile che potevano essere richiamati in servizio, o rastrellati, per difendere la città quando se ne presentava l'esigenza.

[17]Noble, Repubblica, p. 26; O. BERTOLINI, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi (Storia di Roma IX), Bologna 1941, p. 298.

[18]Tale  è l'opinione più seguita: la Pentapoli era un ducato (vale a dire una circoscrizione militare e giurisdizionale pari al reclutamento di 2000/3000 uomini armati) con centro a Rimini (tenuto conto che nel sinodo romano del 680 il vescovo di Rimini precede nelle segnature quello di Pesaro, Fano, Ancona). Ci sono comunque divergenze tra gli storici e alcuni, sulla base del fatto che viene definita ducato una sola volta, nel 693, e a causa della menzione di vari duchi "urbani" all'interno della Pentapoli stessa (Osimo, Ancona, Rimini), propendono per intendere tale termine come indicante un  magistrato-capo militare cittadino ("conte" o"tribuno").

[19]A. CHERUBINI, Presenza longobarda nel territorio jesino,  in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", 86 (1981), pp. 515-550, a pag. 541.

[20]Baldetti, Per una nuova ipotesi, pp. 822 e 842-3.

[21]Baldetti, Per una nuova ipotesi, pp. 858-859.

[22]Baldetti, Per una nuova ipotesi, p. 844. Tutte le città menzionate disponevano di un territorio poco esteso, ma sufficiente per il sostentamento di cittadini e soldati, difeso da una serie di castelli e torri

[23]Baldetti, Per una nuova ipotesi, p. 847: "Il silenzio delle fonti su di una territorializzazione continua da parte bizantina lungo il percorso della Flaminia è da mettere forse in relazione con le diverse caratteristiche dell'ambiente fisico. Dopo Fossombrone la strada lascia le basse colline per immettersi in un ambiente collinare più aspro, caratterizzato dalla presenza di colli e strette valli, e quindi nell'area appenninica. E' evidente che su questo terreno la strada è difficilmente presidiabile in senso longitudinale, ma la difesa del tracciato può essere meglio attuata tramite fortilizi isolati situati in punti strategici, mentre i collegamenti sono assicurati dal traffico carovaniero".

[24]Baldetti, Per una nuova ipotesi, p. 855.

[25]Indizi della presenza longobarda sono, tra gli altri, la presenza di coppie di chiese nella stessa località (in origine una ariana e una cattolica) e le dedicazioni delle chiese (alcuni santi erano tipici del culto longobardo). Inoltre la scarsa attestazione di dediche a S. Giorgio (il cui culto si diffonde tra i Longobardi verso il 680 e di S. Teodoro (santo ravennate a cui son dedicate chiese dopo il 680, sembrerebbe indicare una presenza consistente dei Longobardi in Montefeltro prima di tale date (F.V. LOMBARDI, Il Montefeltro nell'Alto Medioevo, in "Studi Montefeltrani", II (1973), pp. 21-59, alle pagg. 51-57). Sono anche da ricordare i vari indizi toponomastici e le carte rogate secondo la lex Langobardorum tra quelle di Fonte Avellana.

[26]F.V. LOMBARDI, Mille anni di Medioevo, in AAVV, "Il Montefeltro", vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, a pag. 93.

[27]Bertolini, Roma, pp. 298-299. Per amor del vero, la tendenza separatista è ampiamente attestata in altri luoghi soggetti ai Bizantini, ma non nella Pentapoli, dove mancano le fonti. Ma si può ipotizzare uno sviluppo parallelo a quello delle altre regioni d'Italia appartenenti all'Impero.

[28]Noble, Repubblica, p. 36.

[29]Noble, Repubblica, p. 37.

[30]Bertolini, Roma, pp. 301-2.

[31]Paolo Diacono, Historia Langobardorum, VI, 11: Hic (sc. Giustiniano II) Sergium ponteficem, quia in erroris illius synodo, quam Constantinopolim fecerat, favere et subscribere noluit, misso Zacharia protospathario suo, iussit Constantinopolim deportari. Sed militia Ravennae vicinarumque partium iussa principis nefanda contemnens, eundem Zachariam cum contumeliis ab urbe Roma et iniuriis pepulit.

[32]Noble, Repubblica, p. 47.

[33]Noble, Repubblica, p. 49.

[34]Cherubini, Presenza, pp. 541-2; Baldetti, Per una nuova ipotesi, p. 869.

[35]M. PINDOR - G. PARTHEY, Ravennatis Anonymi et Guidonis  Geographica, Aalan 1860, p. 247: item Annonaria Pentapolensis est super ipsam Pentapolim, id est provincia castellorum, quae ab antiquis ita vocabatur; p. 502: Quinta provinciarum Italiae Annonica Pentapolensis est super quam regio est quae castellanorum appellata est ab antiquis.

[36]Noble, Repubblica, p. 51.

[37]Noble, Repubblica, pp. 52-3.

[38]Noble, Repubblica, p. 55.

[39]Noble, Repubblica, p. 56. Nel 726, in una lettera a Leone Isaurico, papa Gregorio II scrive: Longobardi (...) miseram Decapolim incursionibus infestarunt.

[40]Liber Pontificalis, Gregorii II papae, cap. 18: Igitur dissensione facta in partibus Ravennae (...) Longobardi (...) Pentapolim quoque Auximana civitas se tradiderunt. L'occupazione di Rimini è attestata anche dall'iscrizione funebre del re longobardo. Ancona e Osimo furono costituiti in ducati, direttamente dipendenti dalla Corona e destinati a fronteggiare il ducato di Spoleto e a contenerne le velleità espansionistiche (G. FASOLI, La Pentapoli fra il Papato e l'Impero nell'alto medio evo, in "Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Marche", 86 (1981), pp. 55-88, a pag. 59).

[41]Fasoli, La Pentapoli, p. 59; Noble, Repubblica, p. 61.

[42]Noble, Repubblica, p. 64.

[43]Noble, Repubblica, p. 65. Vds. anche ivi, p. 317, nota 131: "E' molto difficile fissare la cronologia: alcuni la anticipano al 729. Paolo Diacono ritiene l'attacco contro Ravenna quasi contemporaneo all'aiuto fornito da Liutprando a Carlo Martello in Provenza contro i Musulmani. Tale campagna ebbe luogo nel 739. Nel 740 Gregorio scrisse a Carlo dicendo che preterito anno Ravenna era stata occupata. Ciò farebbe risalire  l'avvenimento al 739 se la lettera dei Gregorio  deve essere collocata nel 740 e se le sue parole vanno prese alla lettera. Nessuna delle due cose, tuttavia, è certa. Dopo la conquista di Ravenna, Gregorio scrisse al duca Orso di Venezia che morì nel 737. Dato che fu assassinato, è probabile che Gregorio non fosse venuto immediatamente a conoscenza del fatto. Giovanni Diacono narra che Eutichio fuggì a Venezia durante il governo di Ipatio, uno dei governatori di Venezia dopo la caduta di Orso fra il 737 e il 741. L'ipotesi che ritengo più attendibile è il 738".

[44]Noble, Repubblica, pp. 67-73.

[45]Paolo Diacono, Historia Langobardorum, VI, 56: Rex igitur Liutprand talia de Spoletio sive Benevento audiens, rursum cum exercitu Spoletium petiit. Qui Pentapolim veniens, dum a Fano civitatem Forum Simphronii pergeret, in silva, quae in medio est, Spoletini se cum Romanis sociantes, magna incommoda regis exercitui intulerunt. Qui rex in novissimo loco Ratchis ducem et eius fratrem Astulfum cum Foroiulanis constituit. Supra quos Spoletini et Romani inruentes, aliquos ex eis vulneraverunt. Sed tamen Ratchis cum suo germano et aliquibus viris fortissimis omne illud pugnae pondus sustinentes viriliterque certantes, multisque trucidatis, se suosque exinde, praeter ut dixi pauci sauciatis, eximerunt... Ricostruzione della battaglia in A. CRESPI, La terza battaglia del Metauro (aprile 742 d.C.), Trento 1980. Per la datazione (aprile 742), vds. ivi, p. 10.

[46]Noble, Repubblica, p. 74-75; Carile, Pesaro, p. 27.

[47]Noble, Repubblica, p. 76-77.

[48]Liber Pontificalis, Zacharias, cap. 23: Ratchis Langobardorum rex ad capiendam Perusiam, sicut et cetera Pentapoleos oppida vehementi profectus est cum indignatione. Noble, Repubblica, p. 77.

[49]Noble, Repubblica, p. 78: "Nessuna fonte dell'epoca dà notizia della conquista di Ravenna, ma da un diploma reale del 5 luglio 751 apprendiamo che in quel periodo Astolfo risiedeva in città". Cherubini, Presenza longobarda, p. 515: "Delle invasioni di Astolfo si ha notizia dall'elenco delle città che egli nel 754 promette di restituire al papa, al quale è effettivamente costretto a cederle nel 756: Ravenna, Rimini, Pensauro, Conca, Fano, Cesinas, Sinogalias, Esis...".

[50]Noble, Repubblica, p. 80; Baldetti, Per una nuova ipotesi, p. 835. Agnello scrive che già Sergio arcivescovo (748-769) aveva governato come esarca la Pentapoli e tutto il territorio dalla Tuscia e Persiceto fino al Po (Agnello, De Sancto Sergio, cap. IV, in Migne, "Patrologia Latina", vol. 106, col. 729). Lo stesso Agnello, narrando gli avvenimenti successivi alla dipartita dei Longobardi, dice che l'arcivescovo Sergio reggeva l'Esarcato e la Pentapoli veluti exarchus, sic omnia disponebat, ut soliti sunt Romani (funzionari papali) facere.

[51]Noble, Repubblica, p. 89.

[52]Noble, Repubblica, p. 103.

[53]L'assedio di Roma cominciò il 1 gennaio 756: Noble, Repubblica, p. 104.

[54]Noble, Repubblica, p. 105. L'intervento del protaskretis Giorgio, che reclamava la restituzione delle città all'imperatore bizantino, non ottenne il suo scopo (Carile, Pesaro, p. 27).

[55]Noble, Repubblica, p. 328 nota 137.

[56]Noble, Repubblica, pp. 112-3; Fasoli, Pentapoli, p. 61.

[57]Noble, Repubblica, pp. 117-119.

[58]PAULI Continuatio tertia, in "Monumenta Germaniae Historica", Scriptores rerum Langobardorum et Italicorum, vol. 49, p. 211; Liber Pontificalis, Hadrianus, cap. 18.

[59]Noble, Repubblica, p. 127.

[60]Noble, Repubblica, p. 130.

[61]Liber Pontificalis, Hadrianus, cap. 18: (Desiderio) direxit multitudinem exercituum et occupare fecit fines civitatum id est Synogaliensis, Esis, Monteferetre, Orbino, Egubio et ceterarum civitatum Romanorum"; Pauli Continatio Tertia, p. 212: ... occupavit Sinigalliam, Aesim et Montem Feltri, Urbinum et Eugubium, in quarum expugnatione civitatum multi gladio perierunt.