Capitolo VI

 

Tra Sacro Romano Impero e Patrimonio di S. Pietro

 

La Pentapoli venne subito riconosciuta da Carlo Magno e dai suoi successori come diretto dominio del pontefice[1]. Ma il potere del papa era poco più che nominale: non esistevano infatti strutture amministrative dello Stato della Chiesa e le autorità locali, cioè i membri delle aristocrazie cittadine, non dovevano far altro che riconoscere l'alta supremazia della Chiesa romana (il che voleva dire che erano libere di agire come a loro sembrava opportuno, salvo il rispetto formale dovuto alla Curia).

Ma altri motivi concorrevano a limitare la sovranità papale: tra essi la necessità degli imperatori e dei re d'Italia di assicurarsi de facto il controllo della regione per mantenere i contatti con Roma (città santa della Cristianità) e con il Meridione, dove spesso erano chiamati per punire vassalli ribelli o per combattere i Musulmani, che dal IX secolo cercavano di stanziarsi nella regione.

Bisogna inoltre considerare che si appuntavano sulla Pentapoli le aspirazioni dell'arcivescovo di Ravenna, che si considerava successore dell'esarca bizantino ed aveva consistenti interessi economici nelle varie città. I rapporti tra il pontefice ed il presule ravennate furono particolarmente tesi negli anni 774-775: l’arcivescovo Leone, che si riconosceva erede del potere esarcale, non aveva alcuna intenzione di sottomettersi al Pontefice o di riconoscere i diritti della S. Sede sulla vicina provincia[2]. Alla fine del 774, e tre altre volte nell'anno successivo, Adriano I scriveva a Carlo Magno lamentandosi di Leone, che conservava il controllo di diverse città di Emilia e Pentapoli e impediva ai funzionari papali di portare a termine i compiti loro assegnati[3]: il papa però, oltre a stigmatizzare le azioni del potente presule, evidenziava anche il comportamento corretto delle città della Pentapoli, che non avevano voluto giurare fedeltà all’arcivescovo[4].

Anche altre difficoltà si frapponevano ad un'effettiva sovranità pontificia sulla regione: i collegamenti erano difficili (talvolta impossibili), a causa dei saccheggi di Saraceni ed Ungari; rendevano inoltre saltuaria l’azione el papato i contrati tra le fazioni nobiliaria romane (di cui anche i papi erano espressione), che si affrontavano spesso armi alla mano per le strade della città.

 

La donazione del 781

Una prima sistemazione della Penisola fu effettuata da Carlo Magno nel 781 quando, designando suo figlio Pipino alla corona del Regno d’Italia, estese ad esso vari elementi dell'amministrazione carolingia franca[5]. In quell'occasione furono definiti anche i rapporti con il papa, a cui fu assicurato il possesso del ducato di Roma e delle regioni limitrofe (Tuscia Romana, Campania Romana, ex ducato di Perugia), nonché, sull'Adriatico, di Esarcato e Pentapoli[6]. Di fatto si realizzò nel'Esarcato una specie di "diarchia" tra papa e imperatore, in base alla quale entrambi governavano congiuntamente la regione (ma la precisa demarcazione tra le due sovranità è impossibile da individuare): sappiamo che nel 783 e negli anni successivi ci furono gravi contrasti tra funzionari ravennati, che non riconoscevano la sovranità papale, e agenti pontifici; nel 788, alla morte dell'Arcivescovo, parteciparono all'elezione del successore gli ambasciatori di Carlo Magno, mentre il sovrano franco chiedeva al papa di impedire ai mercanti veneziani il commercio a Ravenna e nella Pentapoli; nello stesso periodo Papa e Re cercavano di bloccare le azioni di un duca ribelle all'arcivescovo di Ravenna[7]. Noble si spinge fino ad ipotizzare "che il governo di Ravenna si presentasse come una doppia diarchia: da un lato, il papa e il re condividevano il potere, dall'altro il papa e l'arcivescovo si dividevano l'autorità"[8].

Poco possiamo dire sull'amministrazione della Pentapoli. Probabilmente i funzionari locali erano scelti tra le personalità delle varie comunità locali, ma la nomina ufficiale doveva avvenire a Roma, e da Roma giungevano saltuariamente indicazioni ed ordini; le città poi dovevano giurare fedeltà al papa[9]. Salvo gli interventi degli imperatori o degli arcivescovi di Ravenna.

 

I primi Carolingi

Nell’817 fu emanato da Ludovico il Pio, successore di Carlo Magno, a favore di papa Pasquale I, il pactum confirmationis o Pactum Hludovicianum, nel quale si confermava il dominio papale sulla Pentapoli e, in particolare, sulle città di  Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Numana, Jesi, Fossombrone, Montefeltro, Urbino e il Territorio Valvense, Cagli, Luceoli e Gubbio con i rispettivi territori[10].

Divenne grave, sotto Lotario I[11], successore di Ludovico il Pio, il problema rappresentato dalle incursioni dei Saraceni nell'Italia meridionale e nell'Adriatico. Nel secolo IX infatti gli arabi di Tunisi conquistarono la Sicilia (827-965), ma anche altre zone d'Italia dovettero sopportare sia i saccheggi di pirati musulmani sia lo stanziamento sporadico di gruppi di Infedeli.  Anche la nostra zona fu interessata dalle incursioni specialmente nel decennio 840-850, nel quale sono ricordate saccheggi in zone limitrofe alla nostra provincia (Ancona, per due volte, intorno all'840 e all'850)[12]: presumibilmente anche nella nostra zona non mancarono le distruzioni e le violenze.

Abbiamo invece un documento che ci attesta la sopravvivenza, come scali commerciali di qualche peso, di Pesaro e Fano in questo periodo:  il 22 febbraio 840 l'imperatore Lotario concesse un privilegio commerciale a favore di Venezia. In esso vengono elencate le città del Regno aperte al commercio con la città lagunare: tra queste Pesaro, Fano, Ancona[13].

 

Conti e duchi nella Pentapoli.

Il successivo imperatore, Ludovico II, condusse una spedizione nel Meridione contro Saraceni e Longobardi, nell'865. In tale occasione attraversò la Pentapoli e riorganizzò l'amministrazione della regione, il cui possesso era indispensabile come collegamento tra il Regno d'Italia e le regioni meridionali della Penisola. Tale sua attività ci è attestata, in forma non molto chiara a dir il vero, dal Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, che ricorda come l'imperatore Pentapoli beneficiales ordines suis distribuit[14].

Come sostiene Fasoli, "fu dunque forse in questo periodo che nella Pentapoli venne introdotto un nuovo sistema di organizzazione territoriale, mettendo a capo delle varie città dei conti, ed attribuendo al territorio che ad essi facevano capo la qualifica di comitatus, senza tuttavia eliminare le antiche titolature"[15]. Comparvero pertanto in tale occasione, con notevole ritardo rispetto al resto d'Italia (in cui furono insediati all'indomani dell'occupazione franca del regnum Langobardarum), i conti, il cui territorio (comitato) coincideva di norma con quello delle diocesi cittadine. Tale organizzazione, comunque, doveva essere particolarmente debole, e in concorrenza con altri tipi di rapporti instauratisi nei decenni precedenti nelle nostre regioni; fu pertanto, in tempi successivi, modificata nei suoi caratteri essenziali o anche progressivamente svuotata di significato per la concorrenza di altri tipi di organizzazione e gestione del territorio, sopravvivendo tuttavia fino all'avvento dei Comuni.

Un personaggio vissuto alla fine del IX secolo fu il duca Orso (il titolo ducale era quello usuale nella Pentapoli, mentre quello comitale è, come detto, di derivazione imperiale), attestato nel Montefeltro sia dall'iscrizione nel ciborio del duomo di S. Leo nell'881-882[16], sia dal "placito sammarinese", del 20 febbraio 885 (che ricorda un contrasto tra il vescovo di Rimini e l'abate del monastero di S. Marino, giudicato, oltre che dal duca Orso, da Giovanni vescovo di Montefeltro)[17]. Altri documenti menzionano altri componenti la famiglia: la vedova di Orso, Bona (892 ca); il duca Leone, figlio di Orso e marito di Odeltruda (950 ca); Tebaldo, figlio di Leone (seconda metà del secolo X)[18]. Era con loro forse imparentato Ugo, figlio di Orso duca (non lo stesso del ciborio di S. Leo) e primo conte di Bertinoro[19].

 

Il Regno Italico indipendente (888-962).

Il periodo del Regno Italico indipendente (888-962) fu uno dei più disgraziati dalla nostra storia: esso è conosciuto anche come "anarchia feudale"[20] o, per quanto riguarda le vicende del papato "pornocrazia pontificia"[21]. Anche la Pentapoli, per quanto ne sappiamo dalle poche notizie a disposizione, fu coinvolta nelle lotte tra i vari pretendenti alla corona italica.

Sappiamo che papa Giovanni VIII, da Fano, citò Guido duca di Spoleto per i danni "da lui recati alle sue città della Pentapoli", durante le lotte da costui intraprese contro il re d'Italia Berengario[22].

Qualche decennio dopo, un re d'Italia, Ugo di Provenza, conquistò l'Esercato e quindi, con ogni probabilità, estese il suo potere anche sulla Pentapoli, per qualche anno, nel 926[23]. Anche il fatto che l'ultimo re d'Italia, Berengario II, si rifugiò a S. Leo dovrebbe evidenziare che in tale zona era sicuro il suo potere.

 

Ottone I (962-973) e la ricostituzione dell'Impero.

Nel settembre 962 scese nella nostra penisola Ottone re di Germania, che aveva sposato Adelaide, la quale vantava diritti, in quanto ex consorte di un precedente sovrano, sul Regno d’Italia; mentre Berengario II si chiudeva, con la moglie Willia, nella fortezza di S. Leo, nel Montefeltro, Ottone si recò a Roma, dove, il 31 gennaio 962, fu incoronato imperatore da papa Giovanni XII. Celebrata la Pasqua a Pavia (19 aprile), si diresse a S. Leo, che cinse d'assedio. Nel novembre, allontanatosi dalla città feretrana (ma lasciato ivi l'esercito assediante), si reca a Roma dove, durante le celebrazioni natalizie, viene raggiunto dalla notizia della resa di Berengario. La famiglia regale italiana fu mandata in esilio in Baviera[24].

Ottone I già il 13 febbraio 962 aveva confermato la donazione di Carlo Magno al papa con il privilegium Othonis (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Osimo, Numana, Iesi, Fossombrone, Montefeltro, Urbino e il Territorio Valvense, Cagli, Luceoli e Gubbio); tuttavia, malgrado la donazione, Esarcato e Pentapoli furono (come nel periodo carolingio) spesso direttamente controllati dai funzionari imperiali: la seconda regione in particolare era indispensabile come zona di passaggio verso Roma e verso il Meridione[25].

"La diretta intromissione dell'Imperatore negli affari del patrimonium, che avveniva in accordo con l'ideologia della defensio ecclesiae, con gli interessi privati e familiari dei dignitari ecclesiastici e in rispondenza della legale sovranità dell'impero sullo Stato della Chiesa, determinò la formazione di una classe di grandi possessori fondiari, una vera e propria aristocrazia feudale, in parte di origine germanica, ma saldamente incrociata con il precedente ceto dirigente locale, erede dell'amministrazione esarcale"[26].

 

Le successive donazioni.

Nel 997 il giovane imperatore Ottone III (983-1002 ma incoronato, raggiunta da poco la maggiore età, nel 996), dopo aver affidato al governo dell'arcivescovo di Ravenna l'Esarcato (insieme al Montefeltro[27]), offrì e donò a S. Pietro gli otto comitati di Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Fossombrone, Cagli, Iesi, Osimo[28]. Come si vede non viene fatta dall'imperatore menzione di Rimini che presto, con il Montefeltro, si staccherà dalla Pentapoli gravitando sull'Esarcato. 

La successiva donazione dell'imperatore Enrico II (1020) conferma alla chiesa i territori compresi negli atti precedenti ad Ottone III[29].

 

La riforma della Chiesa.

Ma l'azione della Chiesa, per secoli limitata nel ruolo di alta sovranità, senza eccessiva incidenza su politica e società dei centri della nostra provincia, era destinata di lì a poco a crescere enormemente, al tempo della "riforma ecclesiastica" (che ebbe il suo aspetto più appariscente nel tentativo di moralizzare il clero, allora in parte preda di simonia e concubinato, ma che ebbe come conseguenze l'affermazione sia di un'organizzazione rigidamente gerarchica della cristianità, sia del potere del papa all'interno della Chiesa): in questo periodo si passò in particolare dall'egemonia ecclesiale ravennate nella regione a quella romana. E' inutile sottolineare che il fenomeno non era limitato alla sfera religiosa, dato lo stretto compenetrarsi degli aspetti temporale e spirituale in quei secoli in Europa (gli imperatori tedeschi si servivano spesso di ecclesiastici - vescovi in primo luogo - per l'amministrazione di città e comitati); anche in campo sociale le trasformazioni messe in moto dal movimento di riforma furono notevoli.

 

L'opera di S. Pier Damiani nel Pesarese.

La riforma fu propugnata nella Pentapoli da S. Pier Damiani[30], che fu uno dei più aspri nemici della corruzione del clero e si dedicò alla causa della riforma per tutta la sua vita. Si dovette pertanto scontrare con alcuni presuli marchigiani, alcuni dei quali furono costretti a lasciare le loro sedi (è quello che accadde ai vescovi di Pesaro, Fano, Fossombrone e Osimo); ebbe, viceversa, rapporti cordiali con i vescovi di Urbino, Senigallia, Gubbio e Cagli[31].

Uno dei centri maggiormenti colpiti dalla lotta per la riforma della Chiesa nella Pentapoli fu il Pesarese, dove il vescovo era contraria alla riforma. Nella lotta troviamo impegnati l'abbazia di S. Tommaso in Foglia[32], la famiglia de Benno[33], il papa e Pier Damiani strettamente uniti contro il vescovo di Pesaro e la famiglia comitale cittadina.

Sono rimaste alcune violente lettere del Santo scritte negli anni 1045-1046: la sua azione avrebbe influenzato in modo determinante la deposizione del presule, avvenuta di lì a poco, comunque non oltre il 1051[34]. Anche papa Clemente II, fautore della riforma, intervenne nella questione e, nel 1047, si trovava ospite del monastero di S. Tommaso, dove morì il 9 ottobre[35]. La lotta si concluse con una netta affermazione del partito della riforma: il vescovo, come già visto, fu deposto; i beni enfiteutici dei nipoti del conte Alberico, un vasto feudo nella zona di S. Angelo in Lizzola[36], passarono al monastero di S. Tommaso[37].

E' inoltre probabile che, intorno agli stessi anni, siano stati tolti dal pontefice al vescovo pesarese varie frange territoriali che, da questo momento, furono inglobate religiosamente nelle vicine diocesi di Rimini e Urbino (il passaggio ad altra diocesi ebbe incidenze anche nei campi amministrativo e politico, dato che i territori in questione furono accorpati nei comitatati di Rimini e Urbino)[38].

Sono ricordate nel secolo XI alcune concessioni di poteri comitali riguardanti il territorio della Pentapoli (si tratta presumibilmente di conferme di poteri che i personaggi già di fatto detenevano).

Una prima investitura fu effettuata da papa Benedetto (potrebbe essere Benedetto VIII, pontefice dal 1012 al 1024 o Benedetto XI (1032-1045 e 1047-1048) a favore del conte Rodolfo: riguardava il comitato di Rimini e metà di quello di Pesaro a nord del fiume Foglia[39].

"Più di uno storico, tra cui lo stesso Abbati Olivieri, si è cimentato a trovare una spiegazione plausibile della "locazione" di metà del comitato di Pesaro, dal Tavollo al Foglia, concessa da papa Benedetto IX al conte di Rimini. Ma pur rientrando in un periodo in cui la disgregazione dei distretti pubblici costituiva materia di ordinaria amministrazione, forse non è casuale che l'infeudazione delle terre fin allora detenute dai nipoti del conte di Pesaro all'abbazia fogliense segua di pochi anni uno smembramento dell'unità giurisdizionale apparentemente così irrazionale e scabroso, lasciando spazio all'ipotesi che anch'esso s'inquadri in una precisa strategia di instaurazione di un nuovo establishement, determinata a delegittimare e abbattere le autorità periferiche che si erano mostrate insensibili a più morbidi  tentativi di persuasione... La Chiesa pesarese si teneva in posizione di subalterneità (che si potrebbe definire ideologica dato che non rientrava tra le diocesi suffraganee) nei confronti degli arcivescovi di Ravenna, i quali da parte loro erano assai poco disponibili a sottomettersi a Roma e quindi scarsamente inclini alle istanze della riforma tendenti all'accentramento"[40].

In pratica l'opera della Curia nella regione colpì in particolare modo il vescovo di Pesaro, fedele alla tradizione filoravennate dei suoi predecessori attraverso: lo sviluppo dell'Abbazia di S. Tommaso in Foglia (a spese di famiglie feudali fedeli al vescovo pesarese); l'insediamento di un famiglia riminese in parte del contado di Pesaro; la ridefinizione dei confini diocesani a favore di Urbino e Rimini.

 

L'azione di Pier Damiani in altri luoghi della Provincia.

Particolarmente duro fu anche la polemica di  Pier Damiani nei confronti del vescovo di Fano, Alberto (1027-1048), che  qualificò come Fanensem latronem, probabilmente più interessato, almeno a stare al tono dell'invettiva, agli affari temporali che a quelli spirituali[41]: l'indegno presule perse i suoi poteri, forse per una sedizione popolare, nel 1048[42]. Nel 1063 un altro vescovo di Fano, Michele, accusato di malversazione del patrimonio dell'episcopato, fu deposto: era probabilmente colpevole di aver seguito l'arcivescovo Enrico e l'antipapa Onorio II.

Analogo intervento venne fatto contro il vescovo scismatico di Fossombrone, Fulgovino: Gregorio VI chiese consigli a Pier Damiani per la scelta del nuovo vescovo[43]. Anche questa città fu coinvolta nella ridefinizione dei confini diocesani, ottenendo da papa Vittore II il plebato di S. Giovanni di Sorbetolo, fino a quel momento di pertinenza del vescovo di Senigallia[44].

"Se si pensa che l'azione damianea era riuscita nel giro di pochi anni a scalzare dalle rispettive sedi gli ordinari diocesani di Fano e Pesaro (ambedue prima del 1051), nonché a piegare alla sua ragione o quantomeno a ridimensionare le velleità dei presuli di Fossombrone e Senigallia, proprio mentre l'arcivescovo di Ravenna Witgero era costretto ad allontanarsi e il successore Unfrido veniva sospeso dal papa nel 1050, si è portati a concludere che più della condotta pastorale dei suoi rappresentanti periferici, alle massime gerarchie ecclesiastiche impegnate nella grande riforma centralistica dovesse premere il controllo degli episcopati pentapolitani che persistevano nell'ubbidienza alla Chiesa di Ravenna, con la quale nel frattempo si mantenevano aperti gravissimi contrasti visto che in nuovo arcivescovo Enrico fu scomunicato anch'egli per aver seguito lo scisma dell'antipapa Onorio II, ovvero Cadalo già vescovo di Parma"[45].

 

La lotta per le investiture

Ma ci si avviava a grandi passi verso la lotta per le investiture, tra papa e imperatore (1076-1122), causata dalla volontà di entrambe le parti in lotta di aver diritto alla consacrazione dei vescovi, ma intrecciatasi con la volontà teocratica del pontefice (Gregorio VII) di affermare la supremazia papale sull'impero e con il desiderio dell'imperatore di controllare la sfera religiosa.

Nello scontro si inserì anche l'arcivescovo di Ravenna Guiberto (o Wigberto), fervente partigiano imperiale, eletto antipapa col nome di Clemente III nel giugno 1080 e rimasto in carica fino al 1100, anno della sua morte. Con lui si schierò la Pentapoli, legata da secoli a Ravenna dal punto di vista geografico, politico, economico (le chiese ravennati vi avevano vasti possedimenti) e religioso: vescovi scismatici filoimperiali si trovano a Rimini (Opizone di Rimini, già amico di Pier Damiani), Pesaro (Servusdei), Osimo, Numana (e, a sud della Pentapoli, a Camerino e a Fermo)[46]. Anche il vescovo di Montefeltro, Landolfo si schierò con Ravenna e l'antipapa[47].

Alla morte di Guiberto si succedettero a Ravenna altri quattro arcivescovi scismatici; il primo metropolita ravennate di osservanza romana fu Gualtiero, eletto nel 1118. Non è possibile precisare invece quando i vescovi di Pesaro e Rimini si spostarono su posizioni filopapali.

 

La nascita della Marca di Ancona

Nella seconda metà del XII secolo abbiamo le prime attestazione della Marca di Ancona, l'entità amministrativa, affidata ad un marchese, di nomina papale (poi imperiale), che aveva il controllo, oltre che di Fermo e Camerino, dell'antica Pentapoli, ridotta però d'estensione, con lo scorporo di Rimini e del Montefeltro.

Nel 1054 estese il suo potere sul versante adriatico dell'Italia centrale il duca di Lorena (e Toscana) Goffredo II, fratello di papa Stefano IX, che occupò in quell'anno Spoleto, Fermo e, probabilmente, anche la Pentapoli[48]. Fu quindi investito del ducato di Spoleto e della Pentapoli, ormai ristretta agli otto comitati menzionate nella donazione di Ottone III (Ancona, Fano, Pesaro, Senigallia, Osimo, Jesi, Fossombrone, Cagli)[49], nel 1057, ma nulla si sa della sua azione nella regione e il suo potere, almeno su una parte dei comitati, fu contrastato[50]. La morte di Goffredo, comunque, nella seconda metà del 1068[51], mise fine a questo primo tentativo di organizzare con più efficienza la regione, demandandone il controllo ad un vassallo della Santa Sede.

Nel pieno della lotta delle investiture, ci pensò l'imperatore Enrico IV ad imporre un suo fedele nella regione: il primo marchese di Ancona fu probabilmente Rainerio, ricordato con i titoli di "duca di Spoleto" e "marchese di Camerino" negli anni 1081-1085, ma che estese i suoi poteri anche nelle Marche settentrionali[52]. Morto costui nel 1085, troviamo, qualche anno dopo, nel 1093, come duca di Spoleto e marchese di Ancona, un ministeriale di nome Guarnerio (o Werner), che mantenne tale carica fino alla morte, avvenuta nel 1120 circa[53].

"Sotto Werner, che pare abbia esercitato una grande influenza politica in Italia (in occasione dell'elezione del papa si distinse per l'appoggio fornito al candidato imperiale Maginulfo, futuro papa Silvestro IV, contro Pasquale II; nel 1111 vediamo che partecipa all'accordo tra Enrico V e il papa), il territorio della Marca d'Ancona si consolidò probabilmente  nei confini geografici e amministrativi dei secoli XII e XIII, per cui il territorio di Ancona, la marca di Camerino, la marca di Fermo come pure le città della Pentapoli, ad eccezione forse di Rimini, facevano parte del territorio amministrato dal margravio Werner"[54].

I marchesi trovarono nella nostra provincia una realtà sociale difficilmente governabile: conti (collegati, tramite parentele, a famiglie feudali di Toscana, Spoleto ed Esarcato); vescovi (detentori di poteri comitali); piccoli signori feudali (figure feudali minori, spesso vassalli dei vescovi e dei conti, che controllavano, dai loro castelli, il contado delle città e che erano spesso di fatto indipendenti); monasteri, detentori di enormi possedimenti ottenuti per la salvezza dell'anima da pii testatori (beni che erano spesso ceduti in enfiteusi, per 33 o 99 anni, a membri delle consorterie rurali feudali, alle quali spesso gli abati dei vari monasteri appartenevano); città, in cui si sarebbe presto formato un nuovo organismo politico-amministrativo (il Comune) che avrebbe riorganizzato secondo le sue esigenze il  territorio.

"Di conseguenza la base economica, fiscale e patrimoniale, e le relazioni di clientela politico-militari e parentale delle famiglie marchionali, su cui si fondava il loro parre reale, continuarono ad insistere prevalentemente nell'area del vecchio Ducato", cioè nella Marca meridionale, "mentre le città della vecchia Pentapoli si limitarono ad accettare con più o meno continuità l'autorità comitale, sia che fosse espressione del potere sovrano dell'impero, che di quello locale della curia marchionale, senza per qusto rinunciare alla propria crescente autonomia fondata sui poteri concorrenti del vescovo e del comune. I marchesi di casa guarneria o i loro messi quindi furono presenti a nord del Potenza poiuttosto saltuariamente, delegando spesso le loro funzioni ai comites cittadini, che avevano evidentemente una certa autonomia"[55].

La lotta per le investiture e i successivi contrasti tra partigiani papali e imperiali (poi "guelfi" e "ghibellini") avrebbero poi esasperato le tensioni e radicalizzato i contrasti tra i vari soggetti menzionati, tutti tesi al controllo del territorio: il compito dei Marchesi di controllare efficacemente la regione era destinato al fallimento.



[1]Anche prima del 781, anno in cui Carlo Magno confermò la donazione che suo padre Pipino aveva fatto al pontefice delle città e territori della Pentapoli, i Franchi riconoscevano la legittimità del dominio pontificio sulla regione.

[2]A. GUILLOU, Esarcato e Pentapoli regione psicologica dell'Italia bizantina, in Studi Romagnoli XVIII (1967), pp. 297-319, alle pagg. 297-298.

[3]T.F.X. NOBLE, La Repubblica di S. Pietro - Nascita dello Stato pontificio (680-825), Genova, 1998, p. 165 e 233.

[4]G. FASOLI, La Pentapoli fra il papato e l'impero, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", 86 (1981), Ancona, pp. 55-88, alle pp. 66-67; Noble, Repubblica, p. 233. A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 3-54, a pag. 27 riporta estratti di due lettere del papa a Carlo Magno, databili all'ottobre e al novembre 775, nel quale viene sottolineato l'atteggiamento di obbedienza delle città della Pentapoli nei confronti della S. Sede. L’arcivescovo Leone sarebbe morto il 14 febbraio 777.

[5]Noble, Repubblica, p. 172.

[6]Noble, Repubblica, p. 164. Il testo della donazione non ci è pervenuta, ma si può ricostruire sulla base del Ludovicianum dell'817, che ne riprende e ricorda vari aspetti.

[7]Noble, Repubblica, p. 166.

[8]Noble, Repubblica, pp. 167 e 234 ("E' difficile trarre conclusioni chiare e definite. Il papa deteneva ed esercitava il potere e l'autorità a Ravenna e nella Pentapoli, ma doveva condividerli con l'arcivescovo e il re ed era effettivamente limitato dal fatto di doversi servire di Carlo Magno come braccio esecutivo ").

[9]Noble, Repubblica, p. 233.

[10]J.F. LEONHARD., Ancona nel Basso Medio Evo, Bologna 1992, p. 26.

[11]Re d'Italia dall'818 all'855; imperatore dall'823. Nell'816 aveva guidato una spedizione contro i Saraceni stanziati in Italia meridionale ed era transitato con l'esercito lungo la costa adriatica.

[12]Leonhard, Ancona, pp. 25 e 66 (citando IOHANNIS Chronicon Venetum, in "Monumenta Germaniae Historica", vol. VII, pp. 17-18); M. FRENQUELLUCCI, Alle origini del comune. Città e territorio di Pesaro dalla disgregazione tardo antica all'età comunale, Pesaro 1999, p. 43.

[13]Leonhard, Ancona, p. 25; Carile, Pesaro, p. 29; Frenquellucci, Alle origini, p. 43.

[14]Fasoli, Pentapoli, p. 69.

[15]Fasoli, Pentapoli, p. 70.

[16]Per il testo si veda F.V. LOMBARDI, Mille anni di Medioevo, in AAVV, "Il Montefeltro", vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, a pag. 99.

[17]L. TONINI, Storia di Rimini (o "Storia civile e sacra riminese"), vol II, Rimini 1856, doc. XXV, pp. 468-470.

[18]Lombardi, Mille anni, p. 99.

[19]Lombardi, Mille anni, p. 99.

[20]Furono eletti re per breve periodo, e regnarono generalmente solo su una parte del territorio italiano, spesso contrastati da rivali e oppositori, vari esponenti delle casate feudali di Spoleto, Friuli e Ivrea; scesero in Italia per assumerne la corona anche i re di Germania, Provenza, Borgogna; ebbe un ruolo rilevante anche la casata feudale di Toscana.

[21]I papi vennero fatti e disfatti (spesso violentemente assassinati) da nobili romani; tra costoro si distinsero Teofilatto e Marozia (che fece eleggere al pontificato i suoi amanti).

[22] G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. I, Fossombrone 1903, p. 153

[23]Fasoli, Pentapoli, pp. 72-73.

[24]Lombardi, Mille anni, p. 104 (citando OTTONIS FRISINOENSIS Chronica libri VI, in "Monumenta Germaniae Historica", Scriptores rer. germ., p. 162). Confermano la presenza dell'imperatore all'assedio di San Leo anche diversi diplomi rilasciati da Ottone dal 10 maggio al 12 settembre dai dintorni della città.

[25]Fasoli, Pentapoli, p. 73.

[26]Carile, Pesaro, p. 31. Vds. anche Fasoli, Pentapoli, p. 73.

[27]Fasoli, Pentapoli, p. 75: "Con Ottone III il problema della Pentapoli e dell'Esarcato si pone in maniera nuova e diversa: l'Esarcato viene affidato al governo dell'arcivescovo di Ravenna (insieme al Montefeltro, nella Pentapoli), mentre la S. Sede conserva l'amministrazione del resto"; O. OLIVIERI, Monimenta Feretrana (introduzione, edizione critica e traduzione a cura di Italo Pascucci), Rimini 1981, p. 166 (commento di Pascucci): "Il 7 luglio 997 Gregorio V unì l'episcopato feretrano alla chiesa di Ravenna. L'atto verrà riconfermato dallo stesso Gregorio V il 28 aprile 998. Non molto tempo dopo (scil. nel 999) Ottone III conferma a Leone II, arcivescovo di Ravenna, il contado feretrano con il suo episcopato". Tale giurisdizione fu tolta all'arcivescovo Uffrido nel 1050. Vds. anche Lombardi, Mille anni, p. 101.

[28]Carile, Pesaro, p. 28.

[29]Fasoli, Pentapoli, p. 77: Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Osimo, Numana, Jesi, Fossombrone, Montefeltro, Urbino e territorio valvense, Cagli, Luceoli e Gubbio.

[30]Nato a Ravenna nel 1007, si ritirò intorno al 1035 nell'eremo di Fonte Avellana, sul Catria, fondato circa vent'anni prima da S. Romualdo. Si spostò quindi, su invito dell'abate di Pomposa, in quell'abbazia intorno al 1040, tornando quindi nella nostra zona, a S. Vincenzo in Petra Pertusa, nel 1042 (P. PALAZZINI, S. Pier Damiani nel contado di Urbino, Urbino 1973, pp. 10-12).

[31]Mainardo, vescovo di Urbino (proclamato, dopo la sua morte, beato), ebbe "l'elogio di San Pier Damiani, il quale sappiamo molto restio alla lode anche per i migliori e piuttosto procline al biasimo. Nell'opuscolo De Elemosina, diretto proprio a Mainardo, lo chiama "Vescovo di Veneranda santità" e tra le altre virtù gli riconosce "una somma prudenza e una carità sconfinata verso i poveri di Cristo" (B. LIGI, Memorie ecclesiastiche di Urbino, Urbino 1938, p. 86). Vds. anche M. NATALUCCI, La missione riformatrice di San Pier Damiani, in "Atti e Memorie di Storia patria per le Marche", serie VIII, vol. VII (1971-1973), pp. 71-81.

[32]Carile, Pesaro, p. 29: "S. Tommaso costituisce una sorta di alternativa al dominio fondiario del vescovo pesarese, costituisce un centro di influenza papale nel territorio e un tramite di ingresso nel pesarese delle istanze di riforma della Chiesa che dal papato si vennero diffondendo dalla metà dell'XI secolo".

[33]Carile, Pesaro, p. 15.

[34]In una lettera (in Mignè, Patrologia Latina, vol. 144, col. 206) così si esprime: Nisi enim praedicta ecclesia (Pisaurensis) de manu illius adulteri incestuosi, perjuri atque raptoris auferatur...Frenquellucci, Alle origini, p. 60; S. PRETE, San Pier Damiani, le Chiese marchigiane e la riforma del secolo XI, in "Studia Picena", XIX (1949), pp. 119-128;  Carile, Pesaro, p. 15.

[35]Frenquellucci, Alle origini, p. 61.

[36]Vds. ricostruzione dell'estensione del feudo in Frenquellucci, Alle origini, p. 56-58.

[37]Carile, Pesaro, p. 15. La decadenza della concessione feudale della famiglia del conte Alberico e il possesso del feudo da parte dell'abbazia di S. Tommaso fu poi confermato da papa Nicolò II nel 1060. Le investiture delle terre già del conte Alberico sono riportate in A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie della Badia di S. Tommaso in Foglia, Pesaro 1778, pp. 135-137 e Frenquellucci, Alle origini, pp. 168-171.

[38]Frenquellucci, Alle origini, pp. 60-61: "Tra il 1060 e il 1069 alla curia di Urbino sarebbe stato attribuito il plebato di S. Eracliano in spiritualibus con la piena proprietà di tutte le pertinenze ecclesiastiche, mentre nel 1070 al vescovo di Rimini fu riconosciuta una sorta di patronato giurisdizonale sulle corti di Fageto e di Montecchio e forse anche su altre terre ricadenti a sud-est del Tavollo; infatti il fiume poco più a valle segna il limite col comitato romagnolo così da far pensare ad una naturale connessione di questo lembo di confine col territorio di Pesaro della cui diocesi, peraltro, continuò a far parte la parrocchia di San Giovanni in Arale nella corte di Montegridolfo almeno fino alla fine del Duecento".

[39]Leonhard, Ancona, p. 27; Carile, Pesaro, p. 29. Si tratta della zona su cui nei secoli successivi il comune di Rimini cercherà di imporre la sua supremazia

[40]Frenquellucci, Alle origini, pp. 57-58.

[41]Natalucci, La missione riformatrice, p. 75; R. BERNACCHIA, Politica e società a Fano in età medievale (secoli VI-XIII), in AAVV, "Fano medievale", Fano, 1997, pp. 11-40, a pag. 24.

[42]Prete, San Pier Damiani, p. 122; Frenquellucci, Alle origini, p. 62.

[43]Vernarecci, Fossombrone, I, p. 196 ss.; S. PRETE, San Pier Damiani, le Chiese marchigiane e la riforma del secolo XI, in Studia Picena, XIX (1949), pp 119-128, a pag. 123; Natalucci, La missione riformatrice, p. 76.

[44]Frenquellucci, Alle origini, p. 62.

[45]Frenquellucci, Alle origini, p. 61.

[46]Frenquellucci, Alle origini, p. 64.

[47]Alla morte di Landolfo, vescovo di Montefeltro, Gregorio VII si rivolgeva (2 gennaio 1075) a clero e popolo feretrano affinché  scegliessero un pastore degno: ex quo Ecclesiam vestram viduatam esse cognovimus... quoniam in retroactis temporibus non satis vigilantem vobis Pastorem praefuisse cognovimus (Lombardi, Mille anni, p. 104).

[48]Carile, Pesaro, p. 31; Leonhard, Ancona, p. 27.

[49]Carile, Pesaro, p. 31; Leonhard, Ancona, p. 27; Fasoli, Pentapoli, p. 83.

[50]Leonhard, Ancona, p. 27: "E' dubbio che Goffredo esercitasse davvero il suo potere almeno sui comitati di Osimo, Ancona e Pesaro. Infatti, mentre l'antipapa Benedetto X poté accaparrarsi il comitato di Osimo, Ancona oppose una fortissima resistenza al duca di Lorena (come emerge da una lettera di Pietro Damiano dell'estate 1059)".

[51]Leonhard, Ancona, p. 67.

[52]Carile, Pesaro, p. 31; Leonhard, Ancona, pp. 27 e 67.

[53]Leonhard, Ancona, pp. 27, 28,

[54]Leonhard, Ancona, pp. 28 e 67. E’ probabile la partecipazione del marchese, e quindi, al suo seguito di uomini provenienti dalla Marca, alla prima crociata (1096-1099).

[55]V. VILLANI, Nobiltà imperiale nella Marca di Ancona. I Gottiboldi (fine sec. XII-sec. XIII), in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", 96 (1991), pp. 109-231, alle pagg. 142-143.