Capitolo VIII

 

La prima metà del XIII secolo

 

La lega contro Marcovaldo e la politica di restaurazione di Innocenzo III (1198).

Il 28 settembre 1197 morì improvvisamente Enrico VI, imperatore e re di Sicilia: oltre le Alpi si scontravano due diversi candidati alla successione imperiale; in Italia meridionale Costanza d'Altavilla, tutrice del piccolo Federico, riuscì provvisoriamente a placare i contrasti ma, dopo la sua morte, il Regno precipitò nell'anarchia.

Morto papa Celestino III, fu scelto come successore nel gennaio 1198 Lotario dei conti di Segni, che prese il nome di Innocenzo III. Uno dei primi atti della sua politica fu quella di portare sotto controllo ecclesiastico il Ducato di Spoleto (allora nelle mani di Corrado di Urslingen) e la Marca di Ancona (di competenza di Marcovaldo di Annweiler), regioni che nel periodo precedente erano considerate ormai da tutti parte integrante del Regno d'Italia. Innocenzo III riprendeva, con maggiore vigore e in un momento di grandi opportunità per la Curia, una politica di penetrazione nella regione già iniziata da Celestino III[1]. Ora, con la crisi dell'Impero in Germania e in Italia, il momento si presentava quanto mai favorevole: alcune città delle Marche e della Romagna (Ravenna, Rimini, Ancona, Osimo, Senigallia, Fermo) si erano infatti apertamente ribellate al rappresentante imperiale e avevano creato, già nel febbraio 1198, una lega contro Marcovaldo e i suoi sostenitori[2].

Innocenzo III si inserì nella rivolta e cercò di spostare la posizione delle città ribelli da antisveve a filopapali. Inviò a tal fine nella Marca, nella primavera del 1198, i cardinali Cinzio di San Lorenzo in Luscina e Giovanni di San Paolo in Santa Prisca, con l'incarico di sciogliere le città dai giuramenti di fedeltà prestati a Marcovaldo e al duca di Spoleto, e farli prestare alla Chiesa Romana[3].

La legazione ottenne, almeno secondo i biografi di Innocenzo III, un grande successo (per altro Marcovaldo era fuori regione, impegnato nell'Italia meridionale). Alla lega si aggiunse anche, il 31 agosto 1198, il comune di Fano[4]: rimasero dalla parte del Marchese solo alcuni esponenti della nobiltà (quali Goteboldo, conte di Senigallia e Cagli; Ramberto Monaldeschi; Walter, conte di Fano) ed alcune comunità minori[5].

L'affermazione del potere papale nella Marca di Ancona (1198-1202).

Tra 1198 e 1199 il papa provvide a regolare i rapporti con le singole città grazie a patti bilaterali: Fano già nel 1198 aveva visto tutelati i suoi organi amministrativi e i poteri cittadini[6]; Pesaro ebbe nel 1199 (23 novembre) la conferma dei suoi diritti e privilegi (compresa la nomina di consoli e podestà) in cambio dell'annuo censo consuetudinario di 50 lire di ravegnati (o 9 denari per "fumante")[7].

La conferma dei diritti fu ottenuta, a condizioni analoghe, dalle altre città della Marca: fu in generale un duro colpo al potere comitale di tradizione filoimperiale e un grosso incentivo per le autonomie comunali, che da questo momento si sarebbero sempre più affermate. La situazione della regione non era comunque ancora tranquilla: la fedeltà dei Comuni al Papa era tutta da dimostrare (alcuni di essi si opposero subito al pagamento del tributo annuo) e l'assenza di un'amministrazione stabile del territorio rendeva incerto il futuro della nuova provincia[8]; c'era inoltre sempre la possibilità, al momento ancora lontana, di un intervento del potere imperiale per riaffermare i propri diritti sulla regione[9].

Ma ancor più preoccupante era il problema dell'ordine pubblico: le varie città (o almeno quello costiere, più sviluppate dal punto di vista economico e politico) approfittarono del mutamento istituzionale per gettarsi in una serie di conflitti locali di tale virulenza da far sembrare che la Curia avesse ormai perso il suo controllo su tutto il territorio. I comuni si erano divisi in due gruppi: da una parte si trovavano Fermo, Osimo, Jesi e Fano (i quattro centri maggiori, per importanza economica e politica); dall'altra Ancona, Sant'Elpidio, Civitanova, Corridonia, Recanati, Castelfidardo, Camerino, Senigallia e Pesaro[10]. Solo all'inizio del 1202 le due leghe stipularono un precario trattato di pace (a Polverigi, presso Osimo)[11].

 

Dopo Polverigi (1202-1210)

Sono ricordati, anche dopo Polverigi, diversi conflitti tra città[12]. Nella Marca settentrionale due centri perseguivano una decisa spinta espansionistica: Rimini, che aveva assoggettata la città di Urbino[13] e che era impegnata contro Pesaro per il controllo della zona compresa tra il Conca e il Foglia; Fano, che cercava di allargare i suoi confini combattendo prevalentemente contro Pesaro e contro Fossombrone.

Contro la seconda città le fonti ricordano una guerra combattuta negli anni 1202-3, durante la quale i castelli di Montefelcino, Monte Montanaro e Fonte Corniale si sottomisero a Fano[14]; nel 1205 fu inoltre concluso un patto tra Fano e i massari de insula planensium (Isola del Piano), sempre rivolto contro Fossombrone[15], che dovette, in questo periodo, assoggettarsi (non sappiamo di preciso a quali condizioni) alla città costiera. Nel 1207 Rimini e Fano si collegarono contro Pesaro[16]: nel trattato firmato nel giugno la guerra è detta in corso e si prevedono forme di ostruzionismo anche nei confronti dei signori Bandi, che controllavano parte del contado di Pesaro[17]. I Fanesi, particolarmente attivi in questo periodo, firmavano il 10 giugno 1208 anche un patto di confederazione con la città dalmata di Ragusa[18].

Nel 1210, finalmente "sotto gli auspici dell'imperatore Ottone IV di passaggio a Ravenna, fu sancita una pacificazione generale di tutte le città di Romagna alla quale aderì anche Pesaro"[19].

 

La Marca di Ancona feudo estense

Il 4 ottobre 1209 veniva incoronato imperatore a Roma Ottone IV, il candidato sostenuto, nella guerra civile degli anni precedenti, dal papa; egli aveva rinunciato già dal 1201 (e aveva rinnovato la rinuncia il 22 marzo 1209) ad ogni diritto sulla Marca. Tuttavia, subito dopo l'incoronazione, cominciò ad interessarsi alla regione: concesse alcuni privilegi ai comuni più importanti e conferì ad Azzo VI d'Este, con il titolo di marchese, il dominio della Marca di Ancona[20]. Subito diversi comuni riconobbero il suo potere, ma Innocenzo III, dopo aver scomunicato l'imperatore (18 novembre 1210), riuscì abilmente a recuperare il controllo della Marca attirando dalla sua parte Azzo, a cui riconobbe il dominio: il 10 maggio 1212 gli concedeva in feudo la regione, formata dalle seguenti città (con i rispettivi comitati e diocesi): Ancona, Ascoli, Numana, Fermo, Camerino, Osimo, Iesi, Senigallia, Fano, Pesaro, Cagli e Fossombrone[21]. Ne erano escluse Rimini e Montefeltro, in Romagna, e Urbino (che dal 1202 rientrava nell'area di diretta influenza riminese)[22].

Il tradimento di Azzo VI non assicurò comunque la regione al controllo del Papa. Infatti l'Este morì nel novembre 1212 e suo figlio e successore Aldobrandino, impegnato a difendere i possedimenti romagnoli e veneti della famiglia, non si curò più di tanto della Marca: Innocenzo III dovette minacciare di privarlo del feudo se non vi si fosse subito recato. Nel frattempo un gruppo di città importanti (Ancona, Fano, Fermo, Camerino, Gubbio, Fabriano e Ascoli) erano passate dalla parte di Ottone IV e non riconoscevano il potere del Marchese[23].

Nel 1214 il Marchese e la Curia riuscirono a far passare dalla loro parte Fano[24] e Fermo, ma le altre città ancora rifiutavano di ubbidire alle ingiunzioni papali di ribellarsi allo scomunicato Ottone[25]. Abbiamo ricordati anche nel successivo anno un gruppo di città filo-ottoniane (ma probabilmente più che dalla fedeltà all'imperatore, tali città erano mosse da interessi concreti, come ad esempio difesa o  espansione dei confini) comprendenti Ancona, Recanati, Castelfidardo, Numana e Cingoli (in lotta contro le città di Osimo, Jesi, Senigallia e Fano). Finalmente, nel 1215, Aldobrandino scese nelle Marche, dove sconfisse il conte di Celano, che intanto era stato investito della Marca da Ottone. Però nello stesso anno, o nel successivo 1216, morì, non lasciando figli[26].

Intanto la guerra minacciava di divampare nella regione: nel 1216, nello scontro tra Cesena e Rimini, si schierarono con la prima, Bologna, Ferrara, Reggio, Faenza, Forlì e Bertinoro; con la seconda, Ravenna, Fano, Pesaro (che sopisce probabilmente nell'occasione i contrasti con Fano, che perduravano dall'inizio del secolo), Urbino, i conti di Carpegna e i Montefeltro[27].

 

La tutela di Azzo VII, marchese di Ancona (1217-26)

Dal lato delle rivendicazioni imperiali, la situazione sembrava tranquilla. Federico II, in procinto di essere incoronato imperatore, aveva rinnovato nel settembre 1219 la cessione, già fatta il 12 luglio 1213, dell'Italia centrale al papa[28].

Malgrado ciò, l'amministrazione della Marca si presentava sempre problematico. Il più prossimo parente di Aldobrandino era il fratello Azzo (VII), minorenne: costui fu investito del feudo da papa Onorio III il 14 aprile 1217, anche se la politica di infeudare la regione alla famiglia Este non aveva dato fino a quel momento grandi risultati. In attesa della maggiore età di Azzo, il papa, per garantire un'efficiente amministrazione al territorio, affidò il governo della provincia, sempre nell'aprile 1217, ad Ottone Ramberti Munaldi[29].

Nel frattempo vari conflitti agitavano la provincia. Nel 1217 si era riaccesa la guerra tra Fano (ancora alleata a Rimini) e Fossombrone: la prima città fu scomunicata e fu ingiunto ai Fanesi dal papa di pagare i danni inferti alla seconda[30]. Il provvedimento però non ottenne i risultati voluti e anzi scoppiarono gravi disordini tra il podestà di Fano, Alberghetto Papazzoni da Bologna, e il vescovo Riccardo, che si era opposto al pagamento di una tassa imposta agli ecclesiastici: il presule dovette rintanarsi in episcopio dove, dopo ventidue giorni di assedio, irruppero i partigiani del Papazzoni a colpi di scure. Seguì la scomunica papale del podestà e dell'intero consiglio cittadino[31].

Negli stessi anni era confusa la situazione interna a Cagli, città che nel 1216 aveva firmata una pace con Gubbio (che fino a quel momento aveva esecitato la sua egemonia sulla città marchigiana); nel 1219 poi Cagli riconobbe la supremazia della potente città umbra di Perugia[32].

Nel 1220 il papa  rinnovò ad Azzo VII l'investitura della Marca, ma tolse dalla provincia affidata all'Este la città di Ancona e ciò indebolì ulteriormente la già non brillante posizione del marchese[33]. Del resto la politica papale nella regione era quanto mai confusa: veniva investito Azzo dei poteri marchionali, ma i poteri dei suoi rappresentanti venivano limitati dai legati pontifici mandati nella regione e, per assicurarsi l'appoggio dei comuni più importanti, venivano concessi importanti privilegi che indebolivano la posizione marchionale[34].

L'azione dell'Imperatore era invece in questo periodo molto decisa in Romagna, dove veniva destituito da Federico II, nel 1221, il conte di quella regione. Nel Montefeltro inoltre, la famiglia comitale, rimasta fedele a Ottone IV, era stata momentaneamente messa in disparte dall'Imperatore che, nell'ottobre 1220, investiva Giovanni, vescovo di S. Leo, dei poteri comitali[35].

 

Azzo VII  ultimo marchese della Marca (1227-1230)

Nel 1227 Azzo VII, finalmente maggiorenne, fu solennemente investito del governo della Marca e il papa scrisse ai podestà e ai comuni marchigiani affinché tutti gli obbedissero senza eccezione. Il nuovo marchese si fermò nella Marca in quell'anno, al ritorno dal viaggio a Roma, ma se ne allontanò ben presto: nell'ottobre 1228, in concomitanza con l'attacco alla Marca del legato imperiale Rainaldo di Spoleto e con disordini nella Marca Trevigiana, Azzo partì definitivamente per l'Italia settentrionale e si disinteressò completamente del suo Marchesato[36]. La destituzione ufficiale ebbe luogo nel 1230 e segnò la fine dell'esperimento, iniziato ventotto anni prima da Innocenzo III di governare la regione tramite un esponente di una casa feudale[37].

 

Guerra tra Rimini e Pesaro (1228-29)

Nel frattempo nella parte settentrionale della Marca di Ancona si  era di nuovo giunti ad una guerra, in cui si intrecciavano vari contendenti con diverse motivazioni.

Nell'Adriatico era particolarmente accesa la rivalità tra Ancona e Venezia: la seconda città riusciva, nell'estate 1228, a concludere una lega comprendente Osimo, Recanati, Castelfidardo, Numana e Cingoli[38]; si univano a queste città il 2 settembre dello stesso anno anche Rimini, Fano e Senigallia. L'alleanza era rivolta contro le città di Ancona, Jesi e Pesaro[39].

All'interno di questo conflitto è collocata la guerra (1228-1229) tra Pesaro e Rimini (alleata di Fano), iniziata perché alcuni esponenti pesaresi della famiglia Bandi (che deteneva beni e giurisdizioni nel Pesarese) impedivano ai loro congiunti riminesi il possesso di certe terre del contado della città; inoltre i Pesaresi non riconoscevano il dominio dei riminesi Azzo Rainaldo ed Oddo Berardini, investiti da Azzo VII del contado di Pesaro[40]. I Riminesi non nascondevano naturalmente le loro ambizioni (il motivo principale dello scontro era assicurarsi il controllo della zona tra Conca e Foglia, in diocesi di Pesaro ma in area di influenza riminese) e, durante la guerra, il 15 novembre 1228, il castello di Monte Peloso (presso l'attuale Tavullia) si assoggettava alla giurisdizione di Rimini e lo stesso faceva, il 24 dicembre 1228, quello di Fiorenzuola[41]. La pace tra le due città fu firmata, con la mediazione di Ravenna, il 12 dicembre 1229 e sanciva la sconfitta dei Pesaresi che dovevano ripristinare nel loro contado la giurisdizione dei Bandi riminesi, risarcirli dei danni subiti e riconoscere l'autorità dei conti Berardini[42].

 

Rimini, Città di Castello e conti di Montefeltro nel comitato di Urbino

Nello stesso periodo la città di Rimini attraeva nella sua orbita anche le più antiche famiglie del Montefeltro. Infatti nel 1226 era stato concesso da Federico II alla famiglia dei conti di Montefeltro la città e il comitato di Urbino, ma l'investitura non aveva avuto effetto dato che gli Urbinati non volevano ubbidire all'ingiunzione imperiale[43].

Nel 1228 Buonconte e Taddeo di Montefeltro (e i loro congiunti conti di Carpegna) giurarono pertanto la cittadinanza di Rimini nella speranza di avere aiuto nell'impresa di Urbino. I conti si impegnavano a risiedere a Rimini in tempo di guerra (e facoltativamente in tempo di pace), di aiutare la città nelle guerre, di assicurare libertà di traffico e commercio ai mercanti riminesi. In cambio la città romagnola prendeva sotto la sua protezione i conti con i loro possedimenti[44].

Fu anche firmata, poco dopo, una convenzione tra Rimini e Città di Castello per dividere in zone di influenza il comitato di Urbino, necessaria dato che i signori di una parte di questo territorio (Sassocorvaro, Castel delle Ripe e Torre Abbazia) avevano già giurato la cittadinanza tifernate. Rimini, secondo l'accordo, poteva inglobare tanta parte del comitato urbinate quanto essa riconosceva a Città di Castello[45].

Malgrado si fosse formata quindi questa ampia alleanza a spese degli Urbinati, questi per il momento resistettero e la risoluzione della questione fu rinviata agli anni successivi.

 

L'attacco alla Marca di Rainaldo di Spoleto (1228)

Nel frattempo la situazione della Marca era in ebollizione dato che Federico II, in procinto di partire (scomunicato) per la crociata, nominò vicario del Regno di Sicilia Rainaldo di Spoleto, dandogli anche il titolo di legato dell'Impero nella Marca, che per altro aveva riconosciuto negli anni precedenti appartenere alla Chiesa.

Durante l'assenza dell'imperatore, dall'ottobre 1228 alla primavera 1229, Rainaldo si spostò nella Marca, dove ottenne anche qualche successo, portando dalla sua parte alcune città. Tuttavia, con la pace di S. Germano (9 luglio 1230), Federico promise di restituire alla Chiesa tutte le terre occupate e pertanto di lì a poco anche le città che si erano schierate con Rainaldo tornarono all'obbedienza della Chiesa[46].

 

Milone di Beauvais rettore della Marca di Ancona (1230-32)

Con il ritiro di Azzo VII dalle Marche e la sua destituzione finiva, per il papato, l'infelice esperienza di governo della regione tramite una dinastia marchionale laica. Gregorio IX pertanto decise di inviare funzionari ecclesiastici, i rettori, che risiedessero permanentemente nella provincia e la governassero (o meglio rappresentassero il governo centrale in un'area dotata di poteri locali con numerosi diritti e privilegi) per un certo numero di anni[47].

Il primo di questi funzionari di cui si abbia conoscenza fu il sottodiacono Enrico di Parignano, che figurava già in carica il 9 giugno 1229, e che fu poi sostituito dal vescovo Milone di Beauvais, nominato il 25 settembre 1230[48].  Costui dovette vedersela con i Comuni, che già avevano mal tollerato i funzionari marchionali: di fronte agli oneri finanziari loro imposti, legittimi o illegittimi (la diocesi francese del legato era carica di debiti e, secondo accuse subito a lui rivolte, Milone cercava di rimpingurne le casse a spese delle città marchigiane) che fossero, i comuni di  Ancona, Jesi, Fano, Camerino, Cagli, Sassoferrato, Arcevia, Treia e, probabilmente, Pesaro si ribellarono e conclusero il 15-16 maggio 1232 un'alleanza contro il legato, con la riserva di non mettere in discussione i diritti e la sovranità della Chiesa[49].

Il papa a questo punto preferì deporre Milone e sostituirlo, il 23 ottobre 1232, con Giovanni Colonna, cardinale di Santa Pressede[50]. E' il primo caso di sostituzione di un funzionario papale sgradito ai poteri locali e diventerà quasi la norma nei decenni seguenti: i rettori non disponevano di mezzi adeguati, finanziari e militari, per sottomettere al loro volere i Comuni riottosi (che a parole erano fedeli alla Chiesa ma in pratica si opponevano ad ogni intervento che limitasse le loro libertà) e, se qualche governatore mostrava di assumere atteggiamenti troppo energici, i comuni trovavano a Roma appoggi e comprensione[51]. La sovranità pontificia sulla regione, indiscussa in linea di principio, era pertanto esercitata in modo debole e precario e una nuova azione del partito imperiale avrebbe di nuovo messo in discussione il sistema che la Curia cercava faticosamente di costruire.

 

Rimini e i Montefeltro alla conquista di Urbino (1234)

Proseguiva intanto il tentativo dei conti di Montefeltro e del potente comune di Rimini di assoggettare ai loro voleri la città di Urbino, concessa in feudo nel 1226 da Federico II a Taddeo e Buonconte da Montefeltro (che avevano giurato nel 1228 la cittadinanza riminese).

Il comune romagnolo, nei primi anni Trenta, riuscì a far schierare dalla propria parte un gruppo consistente di signorie e centri rurali del contado urbinate e del Montefeltro[52]. Ma, non riuscendo ancora ad aver ragione di Urbino, fu necessario chiedere aiuto al rettore imperiale di Romagna, Carnevalario di Pavia, che promise il suo aiuto[53]; a questo punto gli Urbinati si piegarono e fu conclusa, il 31 gennaio 1234, la pace, in base alla quale la città era rimessa negli obblighi del trattato con Rimini del 1202, consegnava ai Montefeltro tutto il contado, si riservava di ricorrere a Federico II e, se entro tre mesi l'imperatore non avesse accolto il ricorso, si impegnava a sottomettersi ai Montefeltro. Non sappiamo se il ricorso fu poi  fatto; da questo momento comunque la città risulta sottoposta ai Montefeltro[54].

Contemporaneamente agli avvenimenti sopra descritti, il contado di Urbino doveva anche registrare l'espansione nel suo territorio della vicina Città di Castello, che aveva assunto la protezione di piccoli signori rurali di Castel delle Ripe, Sassocorvaro, Torre Abbazia. I Montefeltro dovettero riconoscere i diritti che i Tifernati pretendevano di avere nella regione e nel 1230 strinsero un patto d'amicizia e cittadinanza con la città umbra[55]. Nel 1232 i Tifernati presero sotto la loro protezione anche il castello di Peglio, con l'appoggio di Taddeo e Buonconte di Montefeltro[56].

 

Fondazione di Pergola (1234)

Nel 1234 gli Eugubini e alcune comunità dell'alta valle del Cesano (tra cui ebbe un ruolo di primo piano Serralta, con cui gli Eugubini firmarono un patto per la fondazione del nuovo centro e a cui fu donato, da due cittadini eugubini, il terreno necessario) fondarono un castello alla confluenza dei fiumi Cesano e Cinisco, in una zona particolarmente interessante dal punto di vista economico e commerciale, dato che vi si incontravano le strade provenienti da Gubbio, Sassoferrato, Senigallia, Fossombrone e Cagli. Al castello venne dato il nome di Pergola[57] e numerose famiglie, anche eugubine, si trasferirono subito nel nuovo centro[58].

Ma i rapporti si mostrarono subito tesi con il comune di Cagli: il nuovo centro, situato proprio ai confini del suo territorio, minacciava di diventare un comodo asilo per tutti i malcontenti[59]; inoltre spingeva gli abitanti dei castelli confinanti, ricadenti sotto la giurisdizione cagliese, ad abbandonare i propri luoghi e ad emigrare, spinti dalla possibilità di lavoro e di miglioramento sociale, nel nuovo centro[60]. Cagli organizzò pertanto una lega contro Gubbio e Pergola, a cui aderirono molte città marchigiane e umbre (Ancona, Jesi, Fano, Urbino, Pesaro, Perugia), mentre con Gubbio si schieravano Assisi, Città di Castello e Roccacontrada (Arcevia)[61]. L'alleanza suscitò la preoccupazione della Curia e pertanto il Papa, il 10 febbraio 1235, comandò ai comuni interessati di scioglierla[62]; occorse però l'intervento personale del rettore, Sinibaldo dei Fieschi (il futuro papa Innocenzo IV), e ripetuti richiami del papa alle due parti in lotta[63], per ottenerne, il 13 novembre 1235, l'effettivo scioglimento[64].

Non per questo era finita la tensione tra Gubbio e Cagli e, negli anni successivi (1235, 1239, 1248), la zona di confine fu sconvolta da devastazioni, incendi, saccheggi, compiuti ora dagli uni ora dagli altri. La pace fu finalmente firmata il 29 agosto 1248[65].

 

L'offensiva sveva (1239-1244)

I rapporti tra papa e imperatore nel frattempo si erano deteriorati e Federico II, il 20 marzo 1239, fu scomunicato da Gregorio IX. Il duello tra le due supreme potestà del mondo cristiano ebbe ripercussioni naturalmente anche nella Marca, che, come corridoio tra il Regno di Sicilia e l'Impero, aveva una grande importanza strategica. Anche nella Marca i vari comuni si distribuirono in due diversi campi politici, i "guelfi" e i "ghibellini": i primi erano i seguaci del papa, i secondi dell'imperatore (ma, più dei motivi ideali, erano i concreti vantaggi economici e territoriali che spingevano una famiglia feudale o una città ad aderire ad una delle due fazioni).

La guerra giunse nella nostra provincia nel settembre 1239 quando entrò nella Marca il figlio di Federico II, re Enzo, che era stato nominato, il 25 luglio di quell'anno, legato imperiale[66]; a lui si contrapponeva il rettore pontificio Giovanni, cardinale di Santa Pressede, che però non potè impedire che un certo numero di città (Cagli[67] nella nostra provincia e, nel resto della Marca, Jesi, Osimo, Macerata, S. Fabriano e, probabilmente, Treia) passasse dalla sua parte. La maggioranza dei Comuni rimase però ancora fedele alla Chiesa[68].

Fu la volta quindi dell'Imperatore stesso che, nel giugno 1241, invase le Marche fermandosi ad assediare Fano. Non avendo potuto occupare la città, ne devastò il territorio; si diresse quindi verso Ancona e da lì ad Ascoli[69].

Negli anni successivi ci furono continue lotte tra imperiali e città fedeli al papa e il vicario imperiale Roberto di Castiglione riuscì a sottrarre al partito papale quasi tutte le città della Marca. Nel 1242-3 era ancora una volta assediata Fano, che si piegò alle truppe imperiali e ottenne, nell'aprile 1243, un diploma di assoluzione dalle condanne inflitte e di concessione di alcuni privilegi[70]. Seguirono Fano altre importanti città guelfe della Marca meridionale, quali Camerino e Recanati[71]: solo Ancona appoggiava la politica papale. Mai il potere della Curia nella regione era sceso così in basso.

 

La controffensiva guelfa (1244-50)

Le cose andarono meglio per i Guelfi dalla metà del 1244 grazie anche all'abile azione del cardinale Rainer, che papa Innocenzo IV aveva nominato suo rappresentante in tutto lo Stato della Chiesa e che dispiegò un'azione rilevante nella Marca partendo dalla città di Ancona.

Nel dicembre 1246 Fano tornava al partito ecclesiastico e, malgrado una sconfitta subita dalle forze ecclesiastiche nei pressi di Osimo, il rettore riuscì a ripristinare l'influenza papale in molti centri della regione[72]: nel 1248 la situazione era quasi rovesciata e solo Civitanova, Macerata, S. Severino e Osimo sostenevano ancora la parte imperiale[73], oltre a Gubbio, nel ducato di Spoleto, che ebbe per l'occasione dall'Imperatore il dominio su Pergola (su cui esercitava una sorta di protettorato dalla fondazione del centro)[74].

 

L'ultima offensiva imperiale (1250)

L'11 marzo 1250 i rappresentanti di Ancona, Jesi, Arcevia e Fabriano si riunirono in una lega filopapale. Il 12 luglio dello stesso anno si formò una nuova lega tra Ancona, Jesi, Senigallia, Fano, Pesaro, Fossombrone e Cagli: queste città promisero di non unirsi mai al partito imperiale[75].

Ma, contro la lega guelfa, Federico II inviava nella Marca quale vicario imperiale, nel febbraio 1250 Rinaldo di Brunforte, sostituito, nell'agosto dello stesso anno, da Gualtiero di Paleria, conte di Monappello: costui riuscì a sconfiggere a Cingoli le forze guelfe e pertanto passarono dalle sue parti Fano, Urbino, Pesaro, Senigallia e varie altre città[76]. Anche Gubbio e Città di Castello erano di parte imperiale, così che nella nostra zona solo Cagli era ancora fedele al papa[77].

Ma il tentativo imperiale di riaffermare il proprio potere nella Marca si concluse nello stesso anno con la morte dell'Imperatore, avvenuta il 13 dicembre 1250, che segnò la momentanea crisi del ghibellinismo italiano[78].

 

La disfatta imperiale in Romagna negli anni 1247-48 e la divisione dei Montefeltro

La guerra infuriava nel frattempo anche in Romagna, dove Innocenzo IV aveva dichiarato nulle le investiture di Taddeo di Montefeltro su Urbino e aveva scomunicato tutti i seguaci di Federico II nella regione[79].

Nel 1247 i ghibellini romagnoli, malamente guidati dal vicario imperiale Tommaso da Matera, furono ripetutamente sconfitti dal legato papale Ottaviano degli Ubaldini. A questo punto un gruppo di nobili, tra cui Roberto di Giovanni Malatesta, Malatesta da Verucchio, il conte Ugo di Carpegna e Taddeo, conte di Montefeltro e Urbino, cambiarono bandiera e, il 16 aprile 1248, occuparono Rimini cacciandone i partigiani imperiali[80]. Subito entrò nella città il cardinal legato Ottaviano Ubaldini.

La defezione del 1248 segnò una frattura all'interno della famiglia Montefeltro: Taddeo si sarebbe distinto negli anni successivi nel partito guelfo di Romagna e il ramo che da lui ebbe inizio assunse la denominazione di "conti di Pietracuta" dal principale castello del suo dominio; l'altro ramo della famiglia, costituito dai nipoti di Taddeo, tra cui Montefeltrano e Ugolino, vescovo di S. Leo, sarebbe invece rimasto fedele al partito ghibellino.



[1]J.F. LEONHARD, Ancona nel Basso Medio Evo, Bologna 1992, p. 94; A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 3-54,a pag. 33. Il 22 dicembre 1197 Celestino III ordinava a Presbitero vescovo di Fermo e a Pandolfo abate di Farfa di raccogliere tutti i giuramenti di fedeltà dalla varie comunità della Marca di Ancona (e dalla città di Rimini), di imporre una tregua, nella speranza che tali territori venissero di nuovo sottoposti alla Chiesa Romana.

[2]2 febbraio 1198. Leonhard, Ancona, p. 95; Carile, Pesaro, p. 33: "Le città marchigiane si impegnano a fornire ogni anno a Ravenna e Rimini 150 milites da condurre contro Marcovaldo e contro coloro che aggrediscono le due città "pro imperii vel occasione imperii", dalla rotta di Ricarolo al Foglia, area degli interessi politici ed economici delle due città collegate di Ravenna e Rimini. Pesaro è dunque una delle città marchigiane che devono far la spesa degli interessi di Ravenna e Rimini a nord del foglia e se ne esclude pertanto l'ingresso nella lega". Il testo della lega è in TONINI L., Storia di Rimini, vol. II, Rimini, 1856, doc. LXXXXIIII, pp. 610-614.

[3] Leonhard, Ancona, pp. 94-5.

[4]Carile, Pesaro, p. 33.

[5]Leonhard, Ancona, p. 94. Preso atto della situazione, Marcovaldo, nella prima metà di novembre 1198, si ritirò definitivamente nel Regno di Sicilia, dove sarebbe morto tra 1201 e 1202  (Leonhard, Ancona, p. 96; Carile, Pesaro, p. 33; V. VILLANI, Nobiltà imperiale nella Marca di Ancona. I Gottiboldi (fine sec. XII-sec. XIII), in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", 96 (1991), pp. 109-231, a pag. 150)

[6]La lettera di Innocenzo III, del 1198, che conferma le confenzioni fatte tra la S. Sede e il comune di Fano è in P.M. AMIANI, Memorie istoriche della città di Fano, Fano 1751, vol. II, parte III, pag. XVII.

[7]L'atto è stato pubblicato da A. DEGLI ABBATI OLIVIERI GIORDANI, Memorie della badia di San Tommaso in Foglia, Pesaro 1778, doc. n. VII, pp. 141-2 e da  M. FRENQUELLUCCI, Alle origini del comune. Città e territorio di Pesaro dalla disgregazione tardo antica all'età comunale, Pesaro 1999, regesto di documenti, n. V, pp. 176-177).

[8]Leonhard, Ancona, p. 97: "Quando Innocenzo scriveva che tutti gli abitanti della Marca erano ritornati alla Chiesa romana, ciò corrispondeva più al desiderio del papa che alla realtà".

[9]Ma l'8 giugno 1201, uno dei candidati al trono imperiale, Ottone (IV), prometteva di rispettare i territori dell'Italia centrale "riconquistati" dal papa.

[10]Leonhard, Ancona, p. 99.

[11]18 gennaio 1202 (Leonhard, Ancona, p. 100). Il trattato di pace, datato 1202, è stato pubblicato da Amiani, Memorie istoriche,  II, parte III, pagg. XVIII-XIX. Pesaro e Fano non la sottoscrissero per quanto reciprocamente le riguardava e continuarono le ostilità  per i castelli di Mombaroccio e Novilara. La guerra era ancora in corso nel 1207 (Frenquellucci, Alle origini, p. 125).

[12]Leonhard, Ancona, p. 100: "La Marca di Ancona continuò a trovarsi, come prima, in una situazione di instabilità politica ".

[13]Vds. L. TONINI, Storia di Rimini,vol. III, Rimini 1862, doc. III, pp. 381-382: Obbligazioni giurate dagli Urbinati nel porsi sotto la protezione e difesa de' Riminesi (19 ottobre 1202) e G. FRANCESCHINI, Documenti e regesti per servire alla storia dello Stato d'Urbino e dei conti di Montefeltro, vol. I (1202-1375), Urbino 1982, n. 1, pp. 7-8). Tra gli obblighi contemplati, "gli Urbinati dovevano dare a Rimini quattro pallii l'anno e la metà delle collette che riscuotessero nel territorio; dovevano fornire 40 cavalieri e 100 arcieri a loro spese per otto giorni e dopo a spese di Rimini; tenere per amici gli amici dei Riminesi e nemici i loro nemici, far giurare al podestà e rettori di Urbino obbedienza al podestà e rettori di Rimini; non far pace, guerra, tregua senza consenso di Rimini; ogni dieci anni far giurare tutti i cittadini d'Urbino dai 14 ai 70 anni d'osservare questa convenzione. A loro volta i Riminesi li dovevano difendere, reggere, guidare, e tenere nel loro buono stato" (F. UGOLINI, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, Firenze 1859, pp. 20-21).

[14]Amiani, Memorie istoriche, I, p. 167.

[15]L. TOMASSINI - P. PISTILLI, Isola del Piano dal feudo alla democrazia, Roma 1993, p. 13.

[16]Fano e Pesaro non avevano firmato la pace di Polverigi e la tensione, probabilmente trasformatasi episodicamente in guerra aperta, tra i due comuni non era cessata in quegli anni. L'istrumento di confederazione tra i Riminesi e i Fanesi - 1207 dia sexta exeuntis Mensis Junii - è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pagg. XX-XXII e Tonini, Rimini, III, docc. nn. XVI (Patti e promesse dei Fanesi agli Ariminesi, 25 giugno 1207, pp. 401-404) e XVII (Patti e promesse dei Riminesi ai Fanesi, stessa data, pp. 404-406).

[17]Carile, Pesaro, p. 35.

[18]L'istrumento di confederazione tra Fanesi e città di Ragusa - 1208 die X mensis Junii - è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pagg. XXII-XXIII.

[19]Frenquellucci, Alle origini, p. 126.

[20]Leonhard, Ancona, p. 102.

[21]Leonhard, Ancona, p. 103. Il 24 gennaio 1212 Ottone aveva messo al bando il marchese di Ancona.

[22]D. CECCHI, Dagli Stati signorili all'età postunitaria: le giurisdizioni amministrative in età moderna, in S. Anselmi (a cura di), "Economia e Società: le Marche tra XV e XX secolo", Bologna 1978, p. 63.

[23]Leonhard, Ancona, p. 102: "L'opposizione di un nutrito gruppo di città (Ancona, Fano, Fermo, Camerino, Gubbio, Fabriano e Ascoli) al margravio però era meno espressione di lealtà nei confronti dell'impero e dell'imperatore, quanto piuttosto un segno del gioco alternato che i comuni tenevano, per motivi tattici, nei confronti dell'impero e del papato e da cui cercavano di trarre il massimo vantaggio per la propria autonomia". A Pesaro era stato investito dal Marchese del titolo comitale presumibilmente un Berardini (Frenquellucci, Alle origini, p. 85).

[24]La lettera di Innocenzo III al Comune di Fano perché, abbandonata la fazione di Ottone, ritorni al partito della Chiesa - 1214 X Kalendas Maij - è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pag. XXV. Aldobrandino poco dopo ricompensava il comune di Fano con la concessione della  giuridisizione sulla città e sul territorio: il Privilegio di Aldobrandino, col quale esime i Fanesi dal governo del Marchese della detta provincia - datato 16 die exeuntis mensis Maij 1214 - è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pagg. XXIII-XXIV.

[25]Leonhard, Ancona, p. 102.

[26]Leonhard, Ancona, pp. 102-103.

[27]Frenquellucci, Alle origini, p. 126; Tonini, Rimini, III, pp. 16-21. Vds. anche ivi, doc. XXV, pp. 419-423: Buonconte di Montefeltro fa quietanza per sé e per Taddeo suo fratello al Comune di Rimini sulle paghe ricevute per sé e per cento uomini di Borgo San Sepolcro (2 dicembre 1216).

[28]Leonhard, Ancona, p. 103.

[29]Leonhard, Ancona, p. 103.

[30]G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. I, Fossombrone 1903, p. 220. Nella scomunica fu coinvolta anche Rimini, che ne fu assolta il 29 maggio 1217 (Tonini, Rimini III, doc. XXVI, pp. 423-424). L'alleanza tra Rimini e Fano fu confermata nel novembre 1218 (Ivi, docc. XXVII-XXIX, pp. 424-425).

[31]Amiani, Memorie istoriche, I, 182-184; Vernarecci, Fossombrone, I, p. 226; R. BERNACCHIA, Politica e società a Fano in età medievale (secoli VI-XIII), in AAVV, "Fano medievale", Fano, 1997, pp. 11-40, a pag. 31. La bolla di scomunica di Onorio III contro i Fanesi per le violenze usate a Riccardo vescovo e ai suoi canonici, datata 2 Kal. Octob. Pontificatus nostri Anno 2, è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pagg. XXVII-XXIX, che la data erroneamente al 1218 (l'anno II del pontificato di Onorio III, eletto e consacrato nel luglio 1216, va dal luglio 1217 al luglio 1218. Il settembre indicato nella data è evidentemente quello del 1217). Vds. anche la lettera di Onorio III con la quale comanda la restaurazione dei danni fatti a Riccardo vescovo di Fano e alla chiesa di Fossombrone, del 1218, X Kalenda Apriles, anno Pontificatus nostri III, in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pag. XXXIII.

[32]Gubbio, premuta da Perugia in Umbria, cercava di esparndere il proprio territorio al di qua dell'Appennino: assorbito parte del territorio di Luceoli, scomparsa probabilmente agli inizi del secolo XII, nel 1199 riceveva la sottomissione di Cagli, riconfermata nel 1203; nel 1234 edifica il castello di Pergola e acquista il territorio nocerino di Serralta. F. BRICCHI, Annali della Città di Cagli, vol. I, Urbino 1641, pp. 61-62 e 85. V. VITALI, Sassoferrato, il castello e il territorio dalle origini all'età comunale (scoli XI-XIII), Sassoferrato 1999, p. 110.

[33]Cecchi, Dagli stati signorili, p. 63; Leonhard, Ancona, p. 104.

[34]Leonhard, Ancona, p. 104.

[35]G. FRANCESCHINI,  I Montefeltro, Varese 1970, p. 20.

[36]Vernarecci, Fossombrone, I, pp. 238-239: "Ma l'eco della guerra, mossa agli stati e ai possessi di Azzo nella Marca Trevigiana, specialmente dagli Ezelini, ripercotendosi nella nostra, lo chiamava alla difesa de' suoi diritti nella terra nativa. E allora, sia per questa ragione, sia per dare alla città nostra (Fossombrone) un paterno regime, sia per premiare il vescovo Monaldo, volle infeudargli per tre anni e più l'intero contado di Fossombrone, con città, castelli, terre, ville e tutto ciò che fosse di pertinenza della curia marcionale (12 luglio 1228) ". Per comitato si devono intendere le  terre e i castelli spettanti al demanio pontificio. Gli Este avevano già ceduto il comitato di Fano al comune di Fano nel 1214 (Frenquellucci, Alle origini, p. 137).

[37]Leonhard, Ancona, p. 144.

[38]Leonhard, Ancona, p. 107.

[39]Tonini, Rimini III, n. XLVII, pp. 448-450; Leonhard, Ancona, pp. 107-8.

[40]Frenquellucci, Alle origini, p. 128; Carile, Pesaro, p. 36. La famiglia Berardini aveva il titolo comitale di Pesaro probabilmente dal 1214 (Frenquellucci, Alle origini, p. 85).

[41]Monte Peloso: Tonini, Rimini, n. XLIX, pp. 454-456. Fiorenzuola (che era già in orbita riminese nell'anno 1200): Tonini, Rimini, n. LI, pp. 460-462. Vds. anche Frenquellucci, Alle origini, p. 129.

[42]Tonini, Rimini, n. LV, pp. 466-470. I Riminesi erano stati assolti dalla scomunica, in cui erano incorsi per la guerra contro i Pesaresi, in data 29 novembre 1229 (Tonini, Rimini, n. LIX, pp. 465-466). Vds. anche Carile, Pesaro,  pp. 36-37 e Frenquellucci, Alle origini, p. 130.

[43]Franceschini, Montefeltro, p. 23.

[44]Franceschini, Montefeltro, p. 24; Ugolini, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, pp. 21-22; F.V. LOMBARDI, La contea di Carpegna, Urbania 1977, p. 47. Il giuramento di cittadinanza, sottoscritto il 28 settembre 1228 da Buonconte e Taddeo da Montefeltro e da Rainerio di Carpegna, è in Tonini, Rimini III, n. XLVIII, pp. 450-454 e in Franceschini, Documenti, n. 5, pp. 13-16. Sono elencati anche i castelli a loro sottoposti.

[45]La convenzione, datata 18 novembre 1228, è in Tonini, Rimini III, doc. L, pp. 456-460 e in Franceschini, Documenti, n. 6, pp. 16-20. Vds. anche V. LANCIARINI, Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912 (ristampa anastatica, S. Angelo in Vado, 1988), p. 229.

[46]Leonhard, Ancona, p. 105; L. ZAMPELLI, Federico II, Manfredi e Percivalle Doria nella Marca d'Ancona, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie IV, vol. VII, fasc. I-II (1930), alle pagg. 136-138.

[47]Il governo tramite rettore era abituale nelle altre provincie dello Stato della Chiesa già dal tempo di Innocenzo III.

[48]Leonhard, Ancona, pp.  110 e 143.

[49]Leonhard, Ancona, p. 110; Carile, Pesaro, p. 37.

[50]Leonhard, Ancona, p. 111.

[51]Leonhard, Ancona, pp. 111-3; Vernarecci, Fossombrone, I, p. 266.

[52]Vds. Tonini, Rimini III, doc. n. LXVII, pp 492-495 (Ugo conte di Carpegna a nome proprio e di Ranierio suo fratello sottomette sè e le sue terre al Comune di Rimini giurandone la cittadinanza; e i Riminesi gli promettono difesa e ajuto, in particolare per la ricuperazione di Miratojo - 2 settembre 1232); n. LXVIII, pp. 495-496 (Guido di Miratojo sottopone sè e sue terre al comune di Rimini - 3 ottobre 1232); n. LXIX (Ugolino di Ridolfo da Lauditorio sottopone Ugolino e Paganuccio suoi nipoti fanciulli figli del quondam Alberico dal Miratojo e loro terre al Comune di Rimini - 3 ottobre 1232);  n. LXXI, pp. 498-500 (Lega e concordato tra il Comune di Rimini e podestà, sindaco e signori di Castel Cavallino e Verucola - 13 giugno 1233); n. LXXII, pp. 501-502 (signori di Monte Fabbri - 30 giugno 1233); n. LXXIII, pp. 501-502 (signori e uomini di Macerata Feltria -4 luglio 1233); n. LXXIV, p. 505 (altri signori di Monte Fabbri - 8 luglio 1233); n. LXXV, pp. 506-507 (altri signori di piccole terre - 29 agosto 1233); n. LXXVI, pp. 507-508 (Guglielmo signore di Majolo - 21 settembre 1233); n. LXXIX, pp. 516-517 (Bianco da Monte Sirico sindaco del Mon. di S. Tommaso in Foglia sottomette al Comune di Rimini le terre del detto Monastero poste nel Contado d'Urbino - 29 novembre 1233)

[53]La convenzione con Carnevalario di Pavia è in Ugolini, Storia dei Conti e Duchi di Urbino, II, doc. n. 1, pp. 495-497 e Tonini, Rimini III, n. LXXVII, pp. 508-510 (22 e 27 settembre 1233).

[54]Ugolini, Storia, pp. 25-27.

[55]Franceschini, Montefeltro, pp. 28-29.

[56]Franceschini, Documenti, n. 9, pp. 22-23

[57]Gli istrumenti concernenti le donazioni di terreni fatte da due nobili eugubini, Alberto di Griffoleto e Marsiliano Corrado al comune di Serralta per l'edificazione di Pergola sono riportati da L. NICOLETTI, Di Pergola e suoi dintorni, Pergola 1899,  nota 1 pp. 37-38 (15 marzo 1234) e nota 1 pp. 40-41 (7 settembre 1234).  Anche i patti tra Gubbio e comune di Serralta, del 25 giugno 1234, sono ivi riportati, n. 1 pp. 39-40.

[58]La fondazione di Pergola attesta la grande floridezza alllora raggiunta dal comune umbro (ricordiamo anche che, nello stesso periodo, Gubbio fondava Serra S. Abbondio) e la necessità di espandere i confini della propria zona di influenza in proporzione all'accrescersi della popolazione e dell'attività economica.

[59]Sorta dissensione a Cagli nel 1234 alcuni nobili di Serralta e Montavate si rifugiarono a Pergola (Nicoletti, Pergola, pp. 42-43).

[60]N. CECINI, Pergola, Lettura della città e del territorio, Pergola 1982, pp. 28-30.

[61]Carile, Pesaro, p. 37

[62]Leonhard, Ancona, p. 113; Carile, Pesaro, p. 37. La lettera di Gregorio IX, che comanda lo scioglimento della lega fatta da Cagliesi e da altre città (Perugia, Ancona, Fano, Iesi, Urbino, Pesaro "e altre della Marca") a distruzione della terra di Pergola - datata 1235, Quarto Idus Februarij, Pontificatus notri anno octavo, - è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pagg. XLV-XLVI. Vds. anche il breve del papa datato sempre 10 febbraio 1235 inviato al vescovo di Assisi perchè distornasse le città di Ancona, Fano, Jesi, Urbino e Pesaro dalla lega con Cagli minacciando scomunica e multa di mille marche, in Nicoletti, Pergola, nota 1, pp. 43-44.

[63]Vds. brevi papali del 17 ottobre 1235 e del 22 ottobre 1235 riguardanti il possesso di Monte Episcopale, su cui entrambe le comunità vantavano diritti, riportati da Nicoletti, Pergola, nota 1 p. 47 e nota 1 p. 48.

[64]Leonhard, Ancona, p. 113.

[65]S. SEBASTIANELLI, Un castello avellanita, Monte Insico di Pergola, in AAVV, "Fonte Avellana nella società dei secoli XI e XII", Urbino 1979, pp. 281-303, a pag. 289. Vds. anche Bricchi, Annali, pp. 91-92 e 100-101.

[66]Leonhard, Ancona, p. 113.

[67]Bricchi, Annali, pp. 93-99; Leonhard, Ancona, p. 114.

[68]Leonhard, Ancona, p. 114; Carile, Pesaro, p. 37.

[69]Vernarecci, Fossombrone, I, p. 243; Zampelli, Federico II, pp. 142-143.

[70]Leonhard, Ancona, p. 115; Bernacchia. Politica e società, p. 32. Il Privilegio dell'Imperatore Fedrico II in favore dei Fanesi - datato 1243 mensis Aprilis - è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pp. XLVIII-XLIX.

[71]Leonhard, Ancona, p. 115.

[72]Leonhard, Ancona, pp. 116-117. Il documento con cui Innocenzo IV conferma i magistrati e le giurisdizioni e privilegi della città di Fano - datato dall'Amiani all'anno 1247, (nel documento X Kalend. Januarii. Pontificatus nostri anno quarto) - è in Amiani, Memorie istoriche, II, parte III, pp. L-LI. In realtà deve essere datato al 1246, dato che il sesto anno di potnificato di Innocenzo IV, eletto e consacrato nel giugno 1243, va dal giugno 1246 al giugno 1247. Il dicembre in questione è quindi quello del 1246.

[73]Leonhard, Ancona, p. 117.

[74]Nel 1240 Federico II occupò Gubbio che si arrende e passa alla parte imperiale. Il contado della città fu evidentemente amministrato da funzionari imperiali, fino al 1244, quando fu restituita a Gubbio l'amministrazione dei castelli di Cantiano e Colmatrano, e al 1248, quando l'Imperatore concesse agli Eugubino Pergola (Nicoletti,  Pergola, p. 130; diploma di Federico II in cui concede a Gubbio Pergola in nota 2 pag. 130-131). Il dominio di Gubbio su Pergola di Serra S. Abbondio fu poi confermato da papa Urbano IV in data XII Kal. Maii, P.n.a. secundo, scil. 20 aprile 1263 (Nicoletti, Pergola,  nota 3 p. 134).

[75]Leonhard, Ancona, p. 118; Vernarecci, Fossombrone, I, p. 243. Per Cagli vds. Bricchi, Annali, pp. 106-107.

[76]Leonhard, Ancona, p. 118;  Zampelli, Federico II, p. 144.

[77]Bricchi, Annali, p. 107.

[78]Zampelli, Federico II, p. 144; Leonhard, Ancona, p. 119.

[79]Vds. Franceschini, Documenti, n. 18, p. 32 e n. 19, pp. 32-33.

[80]Franceschini, Montefeltro, p. 41; G. FRANCESCHINI, I Malatesta, Varese 1973, p. 31; Lombardi, Carpegna, p. 53.