Il testo qui riprodotto riproduce, con limitate  modifiche  riguardanti l'espressione, un approfondimento del primo volume della storia della provincia di Pesaro e Urbino (Fano, 2000).

                                                                                                                                Stefano Lancioni

 

 

Cristianizzazione ed organizzazione ecclesiastica

 

La diffusione del Cristianesimo

E' difficile datare con precisione le varie tappe che portarono alla cristianizzazione dell'Umbria adriatica, dato che mancano testimonianze archeologiche riferibili ai primi secoli dell’impero e anche quelle epigrafiche sono tarde e poco consistenti.[1]. Non è possibile del resto utilizzare le fonti agiografiche, opere in gran parte di fantasia, scritte a secoli di distanza dagli avvenimenti che descrivono e del tutto inattendibili[2]. Possiamo invece fare qualche congettura grazie all’analisi degli agiotoponimi, (i nomi dei santi a cui erano dedicate le chiese: anche nel caso di edifici caduti in rovina o trasferiti in altra sede, tali nomi non erano di norma cambiati), dato che dediche a S. Pietro e a S. Maria indicano l'antichità della fondazione; a martiri romani l’influenza della capitale; a S. Vitale, S. Apollinare, S. Severo o S. Teodoro quella ravennate; a S. Michele Arcangelo, S. Donato, S. Giorgio quella longobarda[3]. Dato che, nelle diocesi dell’Umbria adriatica gli agiotoponimi richiamano Roma, Ravenna o addirittura l'Illirico e l'Oriente, possiamo affermare che non ci fu una direttrice predominante e il cristianesimo penetrò sia dal Lazio e dall'Umbria (lungo la Flaminia e le altre vie che attraversavano gli Appennini dirette all'Adriatico)[4], sia da Ravenna[5], sia dal mare, attraverso i porti della costa, aperti ai traffici costieri e transadriatici[6].

La nuova religione si diffuse dapprima (secoli I-II d.C) tra gli appartenenti alle classi medio-basse di origine orientale, che dovevano essere presenti nelle città della costa, o nei centri attraversati dalla Flaminia (cioè in tutti quei luoghi aperti al contatto del mondo esterno). Mancavano tuttavia nella zona centri urbani di primo piano e rilevanti comunità ebraiche: la consistenza numerica dei seguaci della nuova religione non deve essere stata pertanto elevata[7].

Il numero dei Cristiani non dovrebbe essere di molto aumentato nel III secolo d.C., quando cui si manifestò da parte delle autorità un atteggiamento contraddittorio: a saltuarie persecuzioni si alternavano lunghi periodi di tolleranza. Le cose cambiarono nel IV secolo. Nel 313 d.C. l'imperatore Costantino emise il famoso Editto di Milano, in cui era reso lecito il culto della nuova religione; nel 381 l'imperatore Teodosio con l'editto di Tessalonica metteva al bando i culti tradizionali e dichiarava il Cristianesimo religione ufficiale dell'Impero. Tra queste due date possiamo datare la sistematica diffusione della nuova religione nell'Umbria adriatica.

 

La prima organizzazione ecclesiastica

La Chiesa si organizzò ben presto anche nel nostro territorio in circoscrizioni religiose, le diocesi (ognuna delle quali guidata da un vescovo)[8] che, come era usuale nell'Impero, coincidevano con le circoscrizioni civili (municipi o colonie) o con un raggruppamento di esse: nel Concilio Sardicense, tenutosi nel 347, si prescrisse, affinché il titolo vescovile non perdesse autorità (ne Episcopi nomen et auctoritas vilipendatur), non licere Episcopum constituere in aliquo pago vel parva urbe. La stessa norma fu ribadita da successivi concili[9].

La sede episcopale fu posta nella città, alla quale faceva capo così tutto il clero che era presente sia nel centro urbano sia nel territorio municipale. Bisogna comunque sottolineare che, nei primi secoli della Chiesa, non si ebbe che un clero cittadino, raccolto intorno al vescovo, né, in questo periodo, esistevano ancora le chiese parrocchiali di campagna[10]. Solo "nel sec. IV si comincia a trovare qualche sporadica traccia di chiese con ecclesiastici propri; ma solo più tardi si ha la dispersione del clero, dapprima raccolto presso il vescovo. A metà del secolo V il concilio di Calcedonia (sess. 15, can. 17) parla di paroikiai e precisa che, se sorgerà contestazione tra due vescovi sull'appartenenza di una parrocchia di campagna, ci si dovrà basare su ciò che si è praticato nei trent'anni precedenti; che, se l'imperatore fonderà una città, la divisione delle parrocchie ecclesiastiche dovrà coincidere con quella civile[11].

Un sistematico controllo delle campagne, nelle quali restò a lungo traccia dell'antico paganesimo, fu realizzato quindi nei secoli V e VI e pertanto solo in questo periodo nella campagna (nei vici e nei pagi), sorsero varie chiese: le chiese battesimali (ecclesiae baptismales, chiamate anche baptisteria o parochia: si sarebbero trasformate nelle pievi dell'età carolingia e ad esse sarebbero state ben presto sottoposte tutte le altre chiese e cappelle del cantone), di competenza di un archipresbiter; i monasteria (chiese minori, rette da un presbiter); le basilicae (sorte in area extraurbana in luoghi ove persistevano tracce di culto pagano). Sul reticolo di chiese dei secoli V-VI, fondate al tempo dell'evangelizzazione delle campagne, si organizzò poi il sistema plebano dei sec. VIII-IX (che pertanto, essendo modellato sulle ripartizioni amministrative – vici e pagi –  potrebbe rispecchiare la più antica ripartizione dei contadi cittadini)[12].

 

L'organizzazione plebale

Dal IX secolo un nuovo tipo di organizzazione ecclesiastica si era ormai strutturata: il territorio di ogni diocesi era diviso in plebati (o pivieri), aree di competenza di una "pieve"[13] (retta da un arciprete), in cui esisteva il fonte battesimale; il plebato comprendeva al suo interno chiese semplici, cappelle, chiese private, rette da preti o rettori, che potevano celebrare le cerimonie sacre e confessare, ma non battezzare.

Il fenomeno, maturatosi fra VII e VIII secolo, ebbe una generale diffusione in epoca carolingia ed assunse anche una concreta articolazione sul piano civile e amministrativo: per singoli plebati venivano imposte dalle autorità centrali o dai loro rappresentanti tasse e tributi; si facevano le leve dei soldati; si curava l'agibilità di strade e ponti; ecc. Venivano risolte all'interno del distretto (spesso da riunioni di capifamiglia negli edifici religiosi) le piccole controversie e i problemi comunitari; venivano aggiornati (forse oralmente) i catasti; ecc.[14].

I  plebati, allo stesso tempo ripartizioni religiose e civili, avrebbero perso molta della loro importanza solo dopo il Mille, quando, con il fenomeno dell'incastellamento, la distribuzione della popolazione rurale mutò radicalmente e su tale nuova distribuzione fu modellata la rete amministrativa (castelli) e religiosa (parrocchie) del Basso Medioevo.

 

Le diocesi nel Medioevo

In origine le diocesi erano modellate sul territorio dei municipi, ma è impossibile riconoscere i confini delle entità amministrative romane dallo studio di quelli diocesani medievali: una serie di sconvolgimenti politico-sociali interventi nel periodo tardo-antico (decadenza e distruzione di municipi, invasione dei Longobardi ariani, riorganizzazione della Pentapoli da parte dei Bizantini) provocarono una drastica modifica delle ripartizioni territoriali municipali e diocesani che, tranne in casi limitati, non coincidono più con quelle del mondo antico[15].

Le comunità locali (municipi e colonie) della nostra provincia (o delle zone limitrofe) erano, nei primi secoli dell'Impero, le seguenti: Fanum; Forum Sempronii; Pisaurum; Pitinum Pisaurense; Pititinum Mergens; Sena Gallica; Sestinum; Suasa; Tifernum MataurenseUrvinum Mataurense. E' controversa la situazione della media ed alta valle del Marecchia, dove non sono attestati municipi (ma alcuni studiosi ne ipotizzano la presenza): la zona poteva dipendere dai centri di Sarsina o di Arezzo.

Le diocesi attestate dopo il Mille sono, sulla costa, Pesaro e Fano; all'interno, Montefeltro, Urbino, Cagli, Fossombrone. Alcune zone (limitate) della nostra provincia erano in diocesi di Rimini, Senigallia e Città di Castello; si sarebbero inoltre ben presto formati i nullius, cioè i territori non dipendenti da alcuna diocesi (S. Lorenzo, Mercatello, Lamoli, Sestino).

 

La diocesi di Pesaro. I confini diocesani dovevano corrispondere, a parte marginali aggiustamenti, a quelli della colonia romana di Pisaurum. Confinava con i territori di Rimini a nord (confine era il torrente Tavollo)[16] e di Fano a sud (segnava il confine forse il fosso Sejore, forse l’Arzilla)[17]; all'interno il confine correva probabilmente nei pressi del monastero di S. Tommaso, alla confluenza di Apsa e Foglia[18]. La presenza di Cristiani è attestata da un'epigrafe con certezza solo nel IV secolo[19]. Il Lanzoni presenta come primo vescovo un Eracliano[20], nel  IV secolo, quindi Germano (496?, 499, 501) e Felice (578-90; 595)[21].

 

La diocesi di Fano. Il territorio diocesano, chiuso sulla costa da quelli di Pesaro e Senigallia, confinava all'interno con quelli di Urbino, Fossombrone e Cagli, nonché con la stessa Senigallia, il cui territorio si inoltrava nelle medie e alte valle dei fiumi Misa e Cesano. Una zona di confine tra le suddette diocesi (la "Ravignana") era di competenza del monastero ravennate di Classe. Buona parte del territorio tra Metauro e Cesano faceva probabilmente parte del territorio del municipio romano di Suasa: di questo centro non sono ricordati vescovi, ma è stata rinvenuta, a 10 km circa dal municipio, un'iscrizione cristiana[22]. Il suo territorio venne diviso tra le diocesi di Fano e Senigallia (una parte poi, la “massa di Sorbitolo”, sarebbe stata data nell'XI secolo a Fossombrone). Riguardo alla cristianizzazione, si possono accogliere le argomentazioni del Lanzoni[23]: il catalogo episcopale anteriore al 499 è stato formato cervelloticamente in tempi recentissimi; S. Paterniano, patrono della città, visse nel sec. IV ma la Vita è "documento tardivo e di nessun credito"; i primi vescovi attestati sono Vitale (495?; 499), Eusebio (502, 525) e Fortunato (590; morto 620-25).

 

La diocesi di Montefeltro. E' una diocesi anomala, che si stende sulle alte valle fluviali di ben cinque corsi d'acqua: fu creata verosimilmente nel VII secolo nell'ambito di una riorganizzazione dei territori pentapolitani in mano bizantina, per coordinare l'evangelizzazione e il controllo del territorio in una zona con forti infiltrazioni longobarde. Vennero unificati a tal fine i territori appartenenti a più municipi contermini (Pitinum Pisaurense, almeno per parte del suo territorio; Sestinum; forse una parte del territorio di Tifernum Mataurense; una zona - alta Valmarecchia - di difficile attribuzione) e posta la sede diocesana a S. Leo, che prima di questo periodo era una fortezza, non un centro amministrativo[24]. Forse ebbe un vescovo Pitinum Pisaurense[25], difficilmente Sestinum, in cui anzi una dedica al Genius Curiae nella seconda metà del IV secolo sembrerebbe indicare chiusura nei confronti della nuova religione[26].

 

La diocesi di Urbino. Era una delle più vaste della provincia e confinava, a nord, con quella di Rimini (il confine correva lungo il fiume Foglia, ma la zona di Montecalvo spettava all'Urbinate), a nord-est con quella di Pesaro, ad est con Fano e Fossombrone, a sud con Cagli (era confine il Candigliano), a est con  Città di Castello. Il territorio della diocesi dovrebbe essersi formato unendo al territorio municipale di Urvinum Mataurense frange dei municipi di Pitinum Mergens (altra parte a Cagli)[27], Tifernum Mataurense (in parte a Tifernum Tiberinum)[28] e Pitinum Pisaurense (in parte alla diocesi di Montefeltro). Le prime attestazioni vescovili risalgono al VI secolo, quando sono ricordati a Urbino i vescovi Leonzio (558-560) e Sebastiano (599)[29]. Alcuni vescovi del V-VI secolo potrebbero essere attestati a Tifernum Mataurense, ma la questione è controversa[30].

 

Si presume  che la diocesi di Cagli si sia formata sul territorio del municipio di Pitinum Mergens, della quale città, a parte un caso dubbio[31], non sono ricordati vescovi, probabilmente per la scarsa importanza del centro nel tempo della cristianizzazione: parte del suo territorio fu incorporata, come già detto, nella diocesi di Urbino (fino al fiume Candigliano, comprendendo quindi anche il luogo ove sorgeva Pitinum Mergens)[32]; parte fu di competenza di una nuova diocesi, quella di Cagli, sorta non prima dei secoli VII-VIII[33], nei pressi di una mutatio (o vicus) posto sulla Flaminia.

 

La diocesi di Fossombrone. Situata nella media valle del Metauro, era stretta, a nord ed est, da quella di Fano; ad ovest da quella di Urbino e a sud da quella di Cagli. Comprende il territorio dell'omonimo centro di Forum Sempronii e zone limitrofe sottratte presumibilmente allo scomparso municipio di Suasa. E' ricordata la presenza in città, nel V-VI secolo, della basilica dei martiri romani Lorenzo e Ippolito[34]. I primi vescovi attestati sono Innocenzio (499; 501; 502) e Paulino pseudo episcopus (558-560), al tempo di papa Pelagio II[35]; si ha quindi un lungo intervallo fino al vescovo Leopardo, che ci si presenta nell'anno 826[36].

 


[1] M.C. PROFUMO, Fano cristiana, in AAVV, "Fano romana", Fano 1992, pp. 505-524, a pag. 513: "L'unica iscrizione sicuramente cristiana rinvenuta a Fano (CIL XI.2, 6289) è databile, in base ai caratteri paleografici, al formulario usato e alla versione a croce del chrismon, alla seconda metà del IV secolo d.C.". Anche a Pesaro abbiamo solo su un'epigrafe sicura, di uno straniero (civis Gallus peregrinus), databile, dalla scripturae ratio, alla fine del IV secolo d.C. (E. RUSSO, Pesaro paleocristiana: monumenti e problemi, in AAVV, "Pesaro nell'Antichità", Pesaro,  1984, pp. 235-255, a pag. 235).

[2] L. ALLEVI, Origini cristiane delle Marche, in "Atti e Memorie di Storia Patria per le Marche", serie V, vol. II-III (1938), pp. 249-263, a pag. 259.

[3] F.V. LOMBARDI, Il Montefeltro nell'Alto Medioevo, in "Studi Montefeltrani", II (1973), pp. 21-59, alle pagg. 49-57.

[4] Richiamano a penetrazione lungo tale direttrice, oltre alle dedicazioni delle chiese, le notizie  relative a San Feliciano, vescovo di Foligno che, secondo una tradizione diffusa nell'alto medioevo, contribuì alla diffusione del Cristianesimo in tutta la regione: "Nel 1146, alla consacrazione della cattedrale di Foligno, dedicata all'illustre vescovo e martire, v'intervennero tutti i vescovi delle città in cui atti, memorie e tradizioni accennano che il santo avesse esercitato il suo apostolato: della nostra zona erano rappresentate le città di Cagli, Gubbio, Urbino, Montefeltro, Rimini, Pesaro, Fossombrone, Senigallia" (G. VERNARECCI, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, vol. I, Fossombrone 1903, pp. 98-99). Vds. anche G. VERNARECCI, Del Comune di Sant'Ippolito, Fossombrone 1900, pp. 11-17, per un'antichissima basilica a Fossombrone in cui erano venerati i santi Lorenzo e Ippolito, e Allevi, Origini, p. 262.

[5] Secondo la tradizione il ravennate S. Apollinare avrebbe introdotto il cristianesimo nel Montefeltro (O. OLIVIERI, Monimenta Feretrana (introduzione, edizione critica e traduzione a cura di Italo Pascucci), Rimini 1981, pp. 43-9). L'influenza ravennate è del resto attestata nella provincia dagli agiotoponimi. I possessi ravennati nella Pentapoli erano nell’Alto Medioevo consistenti: vds. A. VASINA, Possessi ecclesiastici ravennati nella Pentapoli durante il Medio Evo, in  "Studi Romagnoli", 18 (1967), pp. 1-35.

[6] Allevi, Origini, p. 262; Profumo, Fano cristiana, p. 505.  Anche S. Leone e S. Marino, i due santi connessi con il Montefeltro, legati ai centri che da loro presero il nome, sono di origine dalmata: entrambi, sullo scorcio del VI secolo si ritirarono a vita contemplativa nel Montefeltro e, secondo i racconti agiografici medievali, furono consacrati rispettivamente prete e diacono dal vescovo di Rimini.

[7] Allevi,  Origini, p. 249; Profumo, Fano cristiana, p. 505.

[8] Il primo vescovo sicuro dell'intera regione marchigiana è Faustino di Potentia, degli anni 418-422. Non sono come detto attendibili le fonti agiografiche, che ricordano due vescovi del III secolo: S. Paterniano a Fano, S. Eracliano a Pesaro. Come si vede, le prime attestazioni dei vescovi sono successive di diversi secoli alla comparsa dei primi nuclei cristiani nella regione.

[9] A. TARDUCCI, De' Vescovi di Cagli, Cagli 1896, p. 8; L. DOMINICI, S. Agata Feltria illustrata, Novafeltria 1959, p. 18.

[10] ENCICLOPEDIA ITALIANA, alla voce "parrocchia".

[11] Ivi.

[12] F.V. LOMBARDI, S. Cristoforo "Ad Aquilam" da basilica a pieve, in AAVV, "La pieve di S. Cristoforo ad Aquilam", Gradara 1983, pp. 17-34, alle pagg. 25-26. E' utile sottolineare che è impossibile risalire meccanicamente dal piviere medievale al distretto dell'ecclesia batismalis tardo-antica al vicus romano, dato che per cause diverse, climatiche, sociali, militari, si è modificata radicalmente, nell'età tardo-antica e in quella alto-medievale, la distribuzione della popolazione. Vds. l'opportuna precisazione di Campagnoli, La bassa valle, p. 121, che si riferisce al territorio pesarese ma che ha validità generale: "Neppure la constatazione, già a suo tempo evidenziata dall'Olivieri a proposito di Colombarone e di Novilara, che in età medievale molti degli abitati ai quali si è fatto riferimento erano divenuti sedi di pieve, è motivo per ritenere che la distrettuazione plebana possa rispecchiare in toto o in parte quella che è stata la strutturazione amministrativa del territorio durante l'età romana. Insomma la suddivisione del territorio in pagi, aventi confini ben precisi, è probabile ma non recuperabile".

[13] La parola deriva dal latino "plebs", che significa popolo, nel senso di "popolo di Dio".

[14] F.V. LOMBARDI, Territorio e istituzione in età medievale, in AAVV, Il Montefeltro - Ambiente, storia, arte nelle alte valli del Foglia e del Conca, vol. I, Villa Verucchio 1995,  pp. 127-154, a pag. 129; C. LEONARDI, Monasteri benedettini nella valle del Metauro, in AAVV, "I Benedettini nella Massa Trabaria", Città di Castello 1982, pp 29-106, a pag. 41.

[15] Campagnoli, La bassa valle, p. 81: "Com'è noto la ricostruzione dei limiti amministrativi di età romana sulla base delle circoscrizioni diocesane di età medievale è un metodo che soprattutto nel passato ha avuto ampio credito tra gli studiosi, ma che di recente è diventato oggetto di fondate riserve, soprattutto nel caso in cui venga applicato in modo acritico o meccanicistico".

[16] In età romana confine era il Conca, che però scorreva nella sua parte inferiore sul letto dell'attuale Ventena (M. FRENQUELLUCCI, Alle origini del comune. Città e territorio di Pesaro dalla disgregazione tardo antica all'età comunale, Pesaro 1999, pp, 53 e 60-61).

[17] A. CARILE, Pesaro nel Medioevo, in  AAVV, "Pesaro tra Medioevo e Rinascimento", Venezia 1989, pp. 3-54, alle pagg. 3-5. La pieve di S. Anastasio di Roncosambaccio, situata tra Fosso Sejore e Arzilla, nel X secolo era in diocesi di Pesaro (Frenquellucci, Alle origini, p. 54).

[18] Ma, seguendo Annibale degli Abbati Olivieri, Memorie del monastero di S. Tommaso in Foglia, pp. 74 ss, e Frenquellucci, Alle origini, pp. 59-63, dobbiamo includere nella diocesi, fino all'XI secolo, anche il territorio della pieve di S. Eracliano di Coldelce, poi passato ad Urbino.

[19] Russo, Pesaro paleocristiana, p. 238: "Di Terenzio, protettore, titolare della chiesa cattedrale, festeggiato il 24 settembre, possediamo una passio assai tarda, scritta originariamente in volgare, del tutto inattendibile e priva di valore storico. Da un simile racconto (secondo cui Terenzio sarebbe un martire del III secolo) non possiamo neppure sapere chi veramente fosse il titolare della cattedrale. La passio è adattata da quella, leggendaria, dell'omonimo San Terenzio di Luni". Ugualmente inattendibili le vite dei santi Decenzio e Germano.

[20] Ma vds. Russo, Pesaro paleocristiana, p. 238: "Dal catalogo dei vescovi pesaresi dovrebbe poi senz'altro essere espunto il Sant'Eracliano venerato a Pesaro il 9 dicembre, che solo una tradizione tarda e priva di fondamento ricollega al presule ravennate del IV secolo".

[21] F. LANZONI, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII, Faenza 1927,  pp. 501-502.

[22] Corpus Inscriptionum Latinarum, vol. XI, n. 6168.

[23] Lanzoni, Le diocesi, pp. 497-499.

[24] F.V. LOMBARDI, Il Montefeltro nell'Alto Medioevo, in "Studi Montefeltrani", II (1973), pp. 21-59;  F.V. LOMBARDI, Mille anni di Medioevo, in AAVV, Il Montefeltro, vol. 2 (Ambiente, Storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio 1999, pp. 88-145, a pag. 91. Il primo vescovo attestato di Montefeltro è Agatone, nell'826.

[25] Non è presente in Lanzoni alcuna scheda sui vescovi di Pitinum Pisaurense. Solo una nota con la precisazione che l'Ughelli (X, 158) pose il vescovo Romanus, citato nel 499 (ed inserito da Lanzoni tra quelli di Pitinum Mergens), sotto Pitinum Pisaurense (Lanzoni, Le diocesi, p. 495). Vds. anche Allevi, Origini, p. 255.

[26]F. GALLI, La raccolta epigrafica sestinate, Urbino 1978, p. 41 (datata al 374-375 d.C.).

[27]G. BURONI, La scomparsa della diocesi di "Pitinum Mergens" nella zona del Furlo, in "Studia Picena", 16 (1941), pp. 97-116;  F.V. LOMBARDI, Due pievi all'origine del Comune di Fermignano, in M. Luni (a cura di), "Castrum Fermignani, castello del Ducato di Urbino", Urbino 1994, pp. 113-124, a pag. 115.

[28]V. LANCIARINI V., Il Tiferno Metaurense e la Provincia di Massa Trabaria - Memorie storiche, Roma 1890-1912, p. 104.

[29] Lanzoni, Le diocesi, p. 503. Non è sicuro che l'Evandro menzionato nel Concilio Romano del 502 sia stato vescovo di Urbino (Allevi, Origini, p. 255).

[30] Il Lanzoni, Le diocesi, p. 495, ricorda che: 1) il primo (ed unico) vescovo attestato è Lucifero, che nel 453 sottoscrive  gli atti del Concilio Romano come vescovo "Tifern. Metaur." (che Lanciarini, Tiferno, pp. 98-99, con buone ragioni, corregge in "Trium Tabernarum"..; 2) il vescovo Mario, nel 499 sottoscrive "ecclesiae tifernatium" (di T. Tiberinum per Lanzoni; per altro nel 501 vescovo di Tifernum (Tiberinum?) è Innocenzo); 3) il vescovo Eubodio si sottoscrive nel 465 "Tifernas Episcopus" (di T. Tiberinum per Lanzoni). Lanciarini, Tiferno, pp. 101-102 sostiene che, escluso Lucifero, gli altri vescovi menzionati (Eubodio, Innocenzo, Mario) sono di Tifernum Mataurense.

[31] Lanzoni, Le diocesi, pp. 494-495: Nel Sinodo Romano del 499 Valentino, vescovo di Amiternum, sottoscrisse pro Romano episcopo ecclesiae Pitinatium. Esistevano almeno altre due località, oltre alle due delle regio VI, con il nome Pitinum.

[32] Buroni, La scomparsa, p. 98; Lombardi, Due pievi, p. 115.

[33] Insostenibile l'ipotesi dell'esistenza in epoca precedente di un municipio: vds. G. MOCHI, Istoria di Cagli dalla sua origine all'anno 800 dell'era volgare, Cagli 1878, p. 18: "Non abbiamo niuna memoria, che riguardi la storia particolare di Cagli, né prima né durante la dominazione romana fino all'anno 359 d.C.". Insostenibile anche la presenza di sede vescovile prima di tale data. Sul presunto Greciano, vescovo di Cagli nel  359, vds. Lanzoni, Diocesi, p. 494: "S. Ilario nei suoi frammenti (v. LXV del CSEL p. 96) ricorda il discorso fatto a Rimini (359) da Grecianus a Calle. Non comprendo come Ilario, se si trattasse di Pitinum, non avesse adoperato il titolo ufficiale della diocesi. Piuttosto cercherei Grecianus in Cales (Calvi) in Campania". Vds. anche Ivi, p. 495: "Vaticanus, posto dall'Ughelli II, 810 sotto Cagli nel 501, appartiene ad altra sede".

[34] Vernarecci, S. Ippolito, p. 12; Lanzoni, Le diocesi, p. 495; Allevi, Origini, p. 256. Vds. anche Vernarecci, Fossombrone, I, p. 113: "Si ha tutta la ragione di credere che, sulla fine del IV secolo o al principio del V, a Forum Semproni la comunità dei cristiani fosse relativamente notevole, e che a questa potesse essere preposto un vescovo".

[35] Vernarecci, Fossombrone, I, 124-126; Lanzoni, Le diocesi, p. 497; Allevi, Origini, p. 255.

[36] Vernarecci, S. Ippolito, p. 13.